Destino Nazionale VS Vincolo Europeo
«L’economia non è il nostro destino. Non esiste un sistema di leggi economiche autonome». Potrebbe sembrare strano cominciare una trattazione sull’Europa e sul Recovery Fund, quindi dedicata in primis all’economia, con queste parole del grande sociologo Werner Sombart, eppure non lo è. Dietro le percentuali, i numeri e le trattative che hanno caratterizzato e animato le burocrazie europee in questi tempi difficili si è nascosta una verità tanto lapalissiana quanto sempre meno compresa dagli europei: non esiste una “buona” economia senza spirito vitale, senza volontà di potenza, senza sentimenti comunitari, senza la consapevolezza di un destino che trascende il presente. La culla della civiltà, il Vecchio continente, è oggi sempre più stanca e fiacca proprio perché se lo è dimenticato, e l’inverno demografico ne è il suo tratto più evidente e drammatico. Anni di benessere fine a se stesso; ideali materialisti e individualisti che hanno caratterizzato le culture politiche del marxismo e del liberismo; l’«oicofobia», l’odio verso la propria stessa cultura, diffuso dalle università più importanti e dai grandi organi di stampa; la perdita del sentimento nazionale e infine lo svilimento delle politiche keynesiane sacrificate in nome di pretese «leggi economiche autonome»: tante le cause del declino. La timida gestione della questione vaccini e i tentennamenti negli investimenti per la ripresa socio-economica rischiano di dare il colpo di grazia a gran parte delle Nazioni europee. Anni a discutere di questioni secondarie e spesso strumentali, dal gender alle politiche di accoglienza e lotta alla discriminazione, hanno fatto perdere il contatto con la realtà alle classi dirigenti politiche. Nel frattempo, invece che un contesto dove armonizzare e potenziare le individualità nazionali, l’Ue è rimasta un’arena dove si scontrano i grandi interessi lobbistici e le strategie dei diversi Stati. Tra questi, la Germania è riuscita a sfruttare a suo favore il sistema euro, mentre l’Italia è rimasta stretta tra diktat e parametri troppo stringenti per le sue peculiarità strutturali. Ci si è accorti con il tempo che la frettolosa rinuncia a diversi colossi industriali, al sistema misto e ad alcune prerogative costituzionali (la programmazione e la disciplina pubblica del credito tra le altre) è costata carissimo in un mondo globalizzato. In questo volume, Daniele Trabucco e Camilla Della Giustina sottolineano correttamente come «le leggi di bilancio, sottoposte ad un pressante controllo preventivo da parte della Commissione europea, lungi dall’essere cartina tornasole degli equilibri tra Governo e Parlamento, siano divenute il luogo ideale in cui lo Stato costituzionale ha iniziato “carsicamente” a cambiare pelle, passando silenziosamente da sociale a neo-liberale».
(dalla prefazione di Francesco Carlesi)
Introduzione di Augusto Sinagra.
Contributi di Daniele Trabucco, Camilla Della Giustina, Gian Piero Joime ed Elisabetta Uccelo
Lascia un commento