Di Augusto Grandi
La sovranità italiana è terminata il 25 aprile del 1945. O forse l’8 settembre di due anni prima. Diventa dunque abbastanza patetico scatenare dei conflitti politici su qualcosa di totalmente inesistente. Le destre sostengono di non voler essere guidate da quella cosa strana che è l’Unione europea. Poi, però, fanno a gara a chi si mostra più ubbidiente agli ordini di Trump. Con il rischio, nel caso di sconfitta dell’attuale presidente Usa, di ritrovarsi senza un padrone davanti al quale scodinzolare felici.
Quanto al fronte opposto, la sovranità nazionale è vista come un obbrobrio. E non da oggi. Con un partito comunista eterodiretto sin dalle origini. Prima da Lenin, poi da Stalin e, infine, da tutti gli elargitori di rubli successivi. La capitale reale era Mosca, non Roma. E la posizione di Togliatti alla fine della guerra era quanto di più antinazionale si possa immaginare.
È cambiato qualcosa con l’ammucchiata degli eredi Pci/Dc nell’odierno Pd? Assolutamente no. Il partito resta antinazionale, nemico di ogni radice italiana, di ogni sentimento, tradizione, cultura che abbia a che fare con il sentimento nazionale, regionale, comunale. La politica immigrazionista, la politica culturale di Franceschini, la politica agricola di Bellanova, la politica del lavoro del governo (non si può certo imputarla all’inesistente ministro Catalfo) sono la dimostrazione pratica di questa lotta ad ogni forma di identità.
Lontanissima, ormai, questa sinistra radical chic, questa gauche caviar, da quel sentimento popolare che portava alla ricerca della musica della gente più umile, dei lavoratori. La scena di Peppone che parte dalla difesa di Mosca e poi marcia sulle note del “Piave mormorò…” ha lasciato il posto alle immagini di Renzi che copia il look di Obama o dei politici Pd che si indignano contro chi non fa passare “lo straniero”.
Però non basta frenare gli sbarchi di clandestini per restituire sovranità a un Paese. È evidente che, ormai, non si può puntare sull’autarchia per sopravvivere. Il commercio internazionale, gli scambi, gli investimenti finanziari esteri sono una realtà con cui non si può non fare i conti. Ed allora la sovranità va declinata in altre forme. La Francia di Macron e la Germania di Merkel hanno puntato sulla dimensione europea per tutelare la sovranità nazionale. Cedendo quel che poteva essere messo in comune e conservando ciò che doveva restare peculiare.
Una scelta di forza, non di debolezza. Però, per farlo, occorre una capacità che manca alla politica italiana. L’Italia è inesistente in politica estera, a partire dal Mediterraneo dove è stata soppiantata dalla Francia come rappresentante dell’Europa. Inesistente in America Latina nonostante i milioni di discendenti degli italiani. Inesistente ovunque. E debolissima sotto l’aspetto economico, con una classe imprenditoriale perennemente alla ricerca di aiuti pubblici. Industrie che non investono, non innovano. Che risolvono i problemi non crescendo ma licenziando o abbassando i salari. Mentre i giovani più preparati emigrano.
Si può avere sovranità senza giovani generazioni preparate, motivate? Ovviamente no. Si può avere sovranità senza un ceto politico preparato, credibile? Assolutamente no. Ma i politici, a destra, invece di creare nuove leve all’altezza delle nuove sfide, preferiscono affidarsi alla società civile. Che, se fosse adeguata al compito, non avrebbe portato l’Italia in fondo alle classifiche di competitività, produttività, ricerca.
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