di Emanul Pietrobon
Nella prima puntata di questa rubrica abbiamo introdotto il pubblico al concetto di guerra economica, illustrando quanto essa sia antica – le sue origini affondano nelle guerre egemoniche dell’Antica Grecia – e quanto sia perniciosa oggi, nell’epoca della globalizzazione e della grande interdipendenza simbiotica tra gli stati-nazione. Questi ultimi, come abbiamo visto, spesso e volentieri possono diventare ostaggio degli investimenti diretti esteri e delle agende di saccheggio postmoderno e colonizzazione produttiva portate avanti dagli stati rivali mediante sottili instrumenta regni quali sono le corporazioni multinazionali.
È il momento di scendere nei dettagli. È il momento di spiegare capitolo dopo capitolo come vengono consumate le guerre economiche e in che modo ci si può difendere da esse. Questo episodio sarà dedicato alle banche multilaterali e alle organizzazioni internazionali.
Le organizzazioni internazionali e le banche multilaterali, allo stesso modo delle multinazionali, hanno dimostrato in più occasioni di essere dei cavalli di Troia e il loro ruolo nella guerra economica non dovrebbe essere né trascurato né sottostimato dato che la loro importanza negli affari internazionali è sempre più rilevante.
Le organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite, hanno storicamente sostenuto l’implementazione di regimi sanzionatori e d’embargo sponsorizzati dagli Stati Uniti, dando loro più legittimità e fornendo gli strumenti per potenziarli a livelli critici. Accadde contro l’Iraq di Saddam Hussein durante l’invasione del Kuwait, con la Serbia di Slobodan Milosevic durante le guerre iugoslave, e sta accadendo oggi con la Corea del Nord.
Un ruolo persino più importante sta venendo giocato dalle istituzioni finanziarie globali, come il Fondo Monetario Internazionale, che possono decidere chi aiutare e chi no – anche e soprattutto durante le guerre economiche. La stessa funzione è rivestita dalle banche multilaterali.
Ecco perché gli stati dovrebbero ridurre al massimo il tasso di stranierizzazione delle proprie economiche, dove per stranierizzazione si intendono investimenti di corporazioni multinazionali, prestiti condizionati di istituzioni finanziarie e “aiuti” di banche multilaterali.
Il Cile di Salvador Allende ci sarà d’aiuto per capire cosa succede quando gli statisti consentono agli attori non-statuali più del dovuto. Il presidente cileno aveva ereditato una situazione tragica dai predecessori: la nazione era virtualmente in possesso delle corporazioni nordamericane, considerevolmente indebitata nei confronti delle banche straniere e gli Stati Uniti erano il primo investitore straniero – fonte di due terzi di tutti gli investimenti diretti esteri e della presenza imprenditoriale straniera.
Questa infiltrazione si sarebbe dimostrata pivotale nel determinare il fato della guerra segreta degli Stati Uniti contro la presidenza Allende. Ecco come:
- Il Club di Parigi rifiutò di rinegoziare il debito estero cileno;
- L’Eximbank degli Stati Uniti rivalutò in maniera negativa la classificazione (credit rating) del Cile – da “B” a “D” – per poi azzerare letteralmente i crediti concessi al Paese – un’azione notevole considerando che nel 1967 aveva ivi concesso 234 milioni di dollari;
- Significativamente ridotti gli aiuti da parte dell’Inter-American Development Bank: dai 46 milioni di dollari del 1970 ai due milioni del 1972;
- Esposizione ridotta della Banca Mondiale per l’intero triennio 1970–73: né prestiti né aiuti;
- Erogazione di prestiti da parte delle banche nordamericane al Cile ridotto a livelli critici: dai 220 milioni di dollari del 1970 ai 32 milioni del 1972;
Il quasi azzeramento di investimenti, prestiti e aiuti sarebbe avvenuto sullo sfondo di manovre speculative sui mercati finanziari mondiali e dell’embargo invisibile – così ribattezzato perché non dichiarato, eppure tremendamente palpabile –, economicamente micidiale nel determinare un boicottaggio esteso e generalizzato delle esportazioni cilene e coartare le nazioni avanzate a non commerciare con il Cile.
Il collasso economico si sarebbe rivelato propedeutico al (violento) cambio di regime a mezzo di un colpo di stato militare. Perché un’economia ridotta allo stato brado, quasi precapitalistico, è protossido d’azoto per lo scoppio di instabilità teleguidate. Instabilità che sono particolarmente facili da accendere laddove siano presenti economie puramente troncate, ovverosia dipendenti dalla combo investimenti esteri ed importazione di beni stranieri.
La storia è la migliore maestra: imparate.
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