Di Gabriele De Paolis
L’Italia corona l’ultimo trentennio di denatalità cronica facendo registrare nel 2020 un calo record delle nascite del 10,3% rispetto al 2019. Il crollo vertiginoso non si interrompe. Il dato nel 2021 secondo il presidente dell’ISTAT sconterà un’ulteriore flessione del 3-5% a causa delle restrizioni connesse alle ondate della pandemia[1]. Il saldo negativo dello scorso anno tra le poche nascite (404.000) e il numero di decessi (746.000) è inferiore solo al dato storico del 1918, con la Prima guerra mondiale e l’epidemia di Spagnola[2]. La situazione demografica italiana è critica e rende necessarie delle misure ingenti e straordinarie.
INTERVENTO – Il disegno di legge delega presentato alla Camera nel giugno 2018 per semplificare e potenziare le misure per i figli a carico attraverso l’Assegno unico e universale ha ricevuto l’approvazione definitiva da parte del Senato il 30 marzo 2021. La Legge delega 46/2021, coinvolgendo tre ministeri (pari opportunità e famiglia, lavoro e politiche sociali, economia e finanze), incarica il Governo di riordinare entro dodici mesi la materia del supporto alla natalità e alla genitorialità, varando il progetto già finanziato con la Legge di bilancio pluriennale dello Stato 2020-2022 (€ 1.044.000.000 per il 2021 e € 1.244.000.000 dal 2022)[3].
ASSEGNO – Il beneficio è concesso come erogazione diretta, oppure nella forma di credito d’imposta, ripartito in pari misura tra i genitori. La dotazione finanziaria annuale dal 2022 è stabilita in totali 16 miliardi, di cui 1,2 da nuovi stanziamenti, la restante maggior parte è reperita dal graduale superamento o dalla soppressione di sei prestazioni a sostegno del reddito finora percepite dai contribuenti: detrazioni fiscali per figli a carico, assegni al nucleo familiare (ANF), assegno per il terzo figlio, assegno di natalità, premio alla nascita per le madri e fondo natalità per le garanzie sui prestiti[6].
UNICO – Non sarà una misura uguale per tutti. È definito unico perché raccoglie diverse prestazioni già esistenti. La diversità di trattamento invece è anche maggiormente marcata rispetto al passato. Decorre dal settimo mese di gravidanza e fino alla maggiore età del figlio. L’importo è aumentato per i figli successivi al secondo e in caso di disabilità. In misura ridotta può essere corrisposto direttamente al figlio maggiorenne inserito in percorsi formativi fino al ventunesimo anno. Qui già la prima importante esclusione: le precedenti detrazioni prevedevano solo che il figlio fosse a carico, senza limiti di età.
UNIVERSALE – Il richiamo all’universalità rappresenta l’allargamento della platea dei beneficiari. Dal 1988 gli assegni al nucleo familiare (ANF) sono appannaggio esclusivo dei lavoratori subordinati (nuclei con reddito per almeno il 70% derivante da lavoro dipendente o assimilato). A dire il vero questo limite non investiva le altre cinque misure assorbite. Per il futuro l’assegno spetterà a tutti i genitori: subordinati, autonomi, disoccupati, incapienti e percettori del reddito di cittadinanza. È previsto che la misura riguardi 11 milioni di famiglie. Non venendo menzionato il matrimonio, è più corretto dire 22 milioni di genitori con figli.
PROGRESSIVO – L’importo è parametrato all’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente). Più risulterà alto e più sarà esigua la prestazione, fino all’azzeramento. Le misure precedenti consideravano talvolta solo il dato reddituale. Con l’ISEE assumeranno rilievo le proprietà: nuclei identici nei componenti e nei redditi, però patrimonio mobiliare e immobiliare di consistenze diseguali, riceveranno importi diversi. Anche la scala di equivalenza ISEE (riferita al numero di componenti del nucleo), con il criterio di crescita meno che proporzionale, penalizza i nuclei con più di tre figli nel determinare le soglie di accesso al diritto[7].
MISURA – La legge non si esprime sugli importi e sulle soglie ISEE di riferimento, demandando ai decreti attuativi. Lo studio simulato condotto dall’ISTAT[8] è tranciante sugli effetti distributivi dell’assegno unico così concepito, «la riforma determinerebbe un incremento del beneficio per la gran parte dei nuclei con figli (il 68%) potenzialmente beneficiari dell’assegno unico. Per il 2,4% dei casi la situazione non cambierebbe, mentre per il restante 29,7% il saldo tra l’introduzione della nuova misura e l’abolizione delle preesistenti risulterebbe negativo»[9].
INCIDENZA – L’ISTAT prosegue circoscrivendo la perdita non solo alle situazioni di reddito medio ed elevato (fino al 37,6%): riguarderebbe anche chi ha i redditi più bassi nel 24,7% dei casi[10]. Lo stesso Istituto, per scongiurare questa evenienza, suggerisce una clausola di salvaguardia che garantisca un importo perlomeno pari alle prestazioni ricevute fino al 2020. La clausola non è stata inserita nella norma, quindi non potrà trovare posto nei decreti attuativi senza che sia previsto dal Parlamento un idoneo finanziamento. In tal caso la dotazione secondo il Ministero dell’Economia e Finanza dovrebbe reperire ulteriori 800 milioni di euro all’anno[11]. In pratica impegnerebbe più del saldo netto dell’intera riforma.
POLITICA – La riforma è un tassello del così detto Family Act nel programma della maggioranza a sostegno del Conte bis. Si pone come sponsor il Ministro Elena Bonetti, promettendo fino a 250 euro per figlio[12] e invitando a considerare «le politiche familiari non più come costo, bensì come investimento»[13]. La presidenza Draghi, sebbene la confermi nell’esecutivo, da subito non si mostra entusiasta, eccependo di non gradire «interventi parziali dettati dall’urgenza del momento, senza una visione a tutto campo che richiede tempo e competenza»[14]. Guardando all’esperienza di altri paesi[15], il Presidente del Consiglio ritiene più opportuno un intervento fiscale complesso e su tutti i fronti, che assorba operazioni settoriali come l’assegno unico e anche l’intero Family Act.
REAZIONI – All’indomani dell’approvazione però si sono levati i primi dubbi. Non tanto nel merito e nelle cifre della riforma, quanto piuttosto nell’assodata strategia comunicativa di rimpastare diritti già acquisiti dai contribuenti – in questo caso le detrazioni per i figli a carico (da cui erano esclusi gli incapienti) – e promuoverli in nuova veste; senza alcun impegno ma con l’effimero risultato propagandistico di raccogliere consenso[16]. Nel frattempo, benché alla conferenza stampa del 3 maggio 2021 sia annunciato il rinvio dell’entrata in vigore al 2022, il 4 giugno il Consiglio dei Ministri delibera per l’anno in corso una misura “ponte“.
MISURA PONTE- Il Decreto Legge n. 79 dell’8 giugno 2021 prevede dal prossimo primo luglio al 31 dicembre per le categorie già percettrici degli ANF un aumento mensile massimo (quindi con i redditi più bassi) per il primo e secondo figlio di € 37,50 ognuno e di € 55,00 per ogni figlio successivo al secondo, inoltre introduce l’assegno ponte per le categorie finora escluse dagli ANF (autonomi, disoccupati e percettori di Reddito di cittadinanza). In questi casi la misura mensile massima con un ISEE fino a 7.000 potrà essere di € 167,50 a figlio per i nuclei che ne hanno fino a due, oppure € 217,80 a figlio per chi ne ha più di due. L’importo si riduce linearmente fino al 50% entro un ISEE pari a 15.000. Per i nuclei con un ISEE fino a 40.000, diminuisce arrivando a € 30,00 mensili (1-2 figli) ed € 40,00 euro (da 3 figli in su). Con un ISEE fino a 50.000 questi valori rimangono costanti. Se l’indicatore è maggiore, non si avrà diritto alla prestazione. Gli importi sono maggiorati di € 50,00 in caso di disabilità. La platea in questo caso riguarda 2,7 milioni di figli[17]. Ad esempio, una coppia con due figli che vive in locazione e già percepisce il Reddito di cittadinanza, potrà cumulare le prestazioni ricevendo € 1.515,00 al mese. Se invece i figli sono tre, avrà € 1.933,40.
CONCLUSIONI – Valutando in generale le risorse stanziate e gli importi concretamente trasferiti ai genitori, la misura sembra essere timida e inadeguata per sostenere il reddito delle famiglie e risollevare le sorti demografiche della nazione. Per esaltarne il risultato politico, viene esibito l’assegno destinato a una coppia di nullatenenti con tre figli, come se potesse essere considerato un esempio statisticamente rilevante[18]. In realtà una famiglia comune del ceto medio-basso riceverà poche decine di euro mensili per figlio, appena sufficienti per l’iscrizione a un corso sportivo. Per quanto si possa ammirare l’ampliamento della platea, l’approccio esclusivamente venale omette di dedurre che il problema della natalità in Italia ha come prima ragione l’inconciliabilità tra lavoro e maternità. La mancanza di coraggio nel sostenere le giovani donne è un venir meno della solidarietà dello Stato. Finché il tema non sarà affrontato adeguatamente dalle politiche sociali, le riforme come questa rischiano di rimanere un’occasione perduta.
[1] Prof. Gian Carlo BLANGIARDO, Il crollo delle nascite non è ancora finito, «Il Sole 24 Ore», 4 maggio 2021, p. 5.
[2] La dinamica demografica durante la pandemia Covid-19, Statistiche report, ISTAT, 26 marzo 2021, p. 3.
[3] Legge 27 dicembre 2019, n. 160, art. 1, co. 339.
[4] Servizio del bilancio, (2020). Nota di lettura, «A.S. 1892: “Delega al Governo per riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e universale” (Approvato dalla Camera dei deputati)». NL174, ottobre 2020, Senato della Repubblica, XVIII legislatura.
[5] DataWarehouse-MEF, statistiche sulle dichiarazioni, persone fisiche, anno d’imposta 2018.
[6] Parte del Fondo assegno universale finanzia l’ampliamento dell’assegno di natalità (L. 160/2019, co. 340-341) con oneri pari nel 2021 a 410 milioni di euro e il bonus asili nido con oneri superiori ai 500 milioni annui fino al 2027 (530 nel 2021, 541 milioni, nel 2022, 552 milioni nel 2023, etc.) e superiori ai 600 milioni annui dal 2028 (609 milioni nel 2028, 621 milioni a decorrere dal 2029. Degli oneri del bonus asili nido solo una parte è a carico del Fondo assegno universale, con importi pari a 200 milioni di euro annui circa (200 milioni nel 2020, 211 milioni nel 2021, 222 milioni nel 2022).
[7] Michela FINIZIO, Chi rischia i tagli all’assegno unico: figli over 21, conviventi e patrimoni alti, «Il Sole 24 Ore», 15 marzo 2021, p. 5-6.
[8] Il modello di micro-simulazione delle famiglie dell’Istat, FaMiMod, consente di replicare il funzionamento del sistema vigente di tasse e benefici, confrontandolo con ipotesi di riforma. È un modello statico, misura gli effetti di impatto delle politiche sulle famiglie senza considerare reazioni di comportamento.
[9] Prof. Gian Carlo BLANGIARDO, Proposta di legge A.C. 2561. Delega al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia, Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica, XII Commissione (Affari sociali), Camera dei Deputati, Roma, 20 ottobre 2020.
[10] Ibid.
[11] On. Stefano LEPRI, Assegno unico: Lepri, nessuno ci perderà, News e comunicati, deputatipd.it, 28 marzo 2021.
[12] Vincenzo SPAGNOLO, L’assegno unico è “debito buono”. Proporrò l’aumento degli importi, «Avvenire», 26 marzo 2021, p. 5.
[13] Min. Elena BONETTI, Intervento di replica, Discussione della proposta di legge A.C. 687-A, Resoconto stenografico Assemblea, Camera dei Deputati, I luglio 2020.
[14] Dichiarazioni programmatiche del Presidente Draghi al Senato, Resoconto stenografico Assemblea, Senato della Repubblica, 17 febbraio 2021.
[15] Massimiliano JATTONI DALL’ASÉN, La riforma fiscale della Danimarca, citata da Mario Draghi, «Il Corre della sera», 18 febbraio 2021, p. 9.
[16] Paolo BALDUZZI, Caccia al consenso. Se l’assegno di famiglia non stimola la natalità, «Il Messaggero», I aprile 2021, p. 22.
[17] Marco MOBILI, Assegno unico fino a 653 euro pe le famiglie con tre figli, «Il Sole 24 Ore», 5 giugno 2021, p. 3.
[18] Ibid.
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