Recensione al volume “L’Italia del Miracolo” (Eclettica, 2023)
di Marco Leonardi
Mattei, chi era costui? Ultimamente questo nome è stato proferito almeno 25 volte dai capi di Stato delle nazioni africane, invitati a Roma, lo scorso gennaio, per dare forma e contenuti al summit “ItaliAfrica”. 30% delle risorse minerarie, 60% delle terre coltivabili, 60% della popolazione sotto i 25 anni di età: il futuro degli equilibri geopolitici mediterranei del Terzo Millennio si gioca in Africa, negarlo sarebbe miope. Immaginiamo quanti siano divenuti, a loro insaputa, degli epigoni di Don Abbondio, nel chiedersi chi fosse ‘questo’ Enrico Mattei. «Piano Mattei per l’Africa», «rilancio dell’Agip ad opera di Mattei», «rilanciare l’eredità lasciataci da Enrico Mattei»: non passa giorno senza almeno origliare, sui canali d’informazione, un riferimento all’operato del più rinomato Presidente dell’«Ente Nazionale Idrocarburi».
Quanti, però, conoscono realmente l’operato del partigiano bianco (alias cattolico e democristiano) che dal 1945 alla tragica scomparsa nel 1962 ha letteralmente inanellato un successo imprenditoriale dopo l’altro nell’attuazione di una politica economica volta all’indipendenza energetica del Paese-Italia dalle brame, elevate alla settima potenza, delle famigerate «sette sorelle», le multinazionali del petrolio di origine statunitense, britannica e olandese? Ad eccezione dei settuagenari e degli addetti ai lavori, quanti ricordano l’operato di Amintore Fanfani, dal 1954 al 1962 in prima linea per edificare l’Italia della piena occupazione? E che dire di quel ʻtecnicoʼ che in oltre trent’anni di permanenza tra i vertici dell’IRI e della Banca d’Italia non ha commesso neanche una marachella? Nulla di più scontato se conoscessimo l’operato di Donato Menichella!
«L’Italia del miracolo. Federico Caffè, Amintore Fanfani, Felice Ippolito, Enrico Mattei, Donato Menichella, Costantino Mortati, Adriano Olivetti»: la pubblicazione a cura dello studioso Francesco Carlesi per «Eclettica Edizioni» (pp. 210, Euro 16), cade al momento giusto. In questi ultimi mesi del 2023, il primo governo a trazione «destra-centro» nella storia della Repubblica Italiana sta varando una legge di Bilancio accompagnata da gesti dal forte valore simbolico.
Per gli ‘ignoranti’ in materia di scienza economica, la visita del Premier, il 28 ottobre 2023, ad Acqualagna (Marche) presso la casa natale di Enrico Mattei, vale molto di più delle inascoltate proiezioni sulle oscillazioni percentuali della Cedolare secca e dell’Iva. «Se non vedo e non metto il mio dito io non credo»: nell’epoca dell’economia invisibile che permea le nostre vite a furia di tassi variabili sui mutui, siamo quasi tutti come il discepolo Tommaso, che pretendeva di rivedere e toccare Gesù per credere alla sua Risurrezione. Nell’Italia del quarantennio 1945-1985, alle macerie ereditate dalla rovinosa sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, seguivano l’azione e gli effetti di una crescita economica tangibile per tutte le aree dell’Italia.
Lo sviluppo dell’edilizia e la nuova industrializzazione all’insegna dell’automobile, la crescita a dismisura del terzo settore con l’avvento della società dei consumi, trovavano i loro esegeti nei giornalisti, capaci di svelare, al pubblico dei curiosi, gli arcani di una realtà in profondo mutamento. Come dimenticare, tra gli aedi meditabondi sull’Italia del «Miracolo», i corsivi di Montanelli e di Cervi? Gli autori dei sette cammei sui principali artefici del «mutamento antropologico», sopraggiunto in Italia negli Anni Cinquanta del Novecento, cooperano con l’«Istituto Stato e Partecipazione», che promuove dal 2020 un’attività di ricerca e sensibilizzazione su tutti quegli aspetti della scienza economica, sottaciuti dalla vulgata ufficiale, nell’intento di «sostituire alle agenzie di rating, al freddo razionalismo, alla decadenza culturale e all’homo oeconomicus una nuova etica e l’idea di Patria».
La declinazione di tali premesse giustifica l’uso di un avverbio dal potenziale liberatorio: finalmente! «Il cinematico è il cuore meccanico di una macchina da scrivere, il meccanismo principale che, azionato dalla pressione delle dita, trasmette la battuta ai martelletti»: quanti studenti sarebbero ben lieti di partire da queste basi per apprendere il funzionamento delle macchine da scrivere prodotte da Adriano Olivetti (1901-1960)! Il Leitmotiv che lega la redazione dei sette profili biografico-professionali degli esperti di economia si riassume in una parola: continuità. Il tratto comune al giuspubblicista Costantino Mortati (1891-1985) e il professore keynesiano Federico Caffè (dichiarato morto nell’ottobre 1998) è quello di essersi formati nella temperie culturale propria dell’Italia tra la monarchia sabauda e la Prima Repubblica.
I saggi che ne ricostruiscono l’attività di studio e di ricerca non mancano mai di evidenziare il sostegno, comune a tutti i biografati, ad un’economia a misura d’uomo, antitetica sia agli eccessi di un capitalismo di rapina ai danni dei lavoratori sia agli «incappucciati della finanza», che tramano nell’ombra a favore di piccole lobbies a danno dell’economia sociale di mercato. I punti fermi che hanno permesso all’Italia di svoltare in direzione di una potenza industriale sono stati il risparmio, il lavoro visibilmente concretatosi nell’edilizia civile e nelle infrastrutture, la scelta atlantica, basata sulla tutela della proprietà privata, come opzione da preferire al collettivismo sovietico. La lettura del volume lascia, di primo acchito, una sensazione acre.
Essere passati dagli anni ‘grassi’ del «Miracolo economico» alle stentatezze del presente incide sul morale, con ricadute tanto più incisive quanti più argentei sono i capelli che sporgono dalle tempie. Per l’ennesima volta, la satira può lenire le nostre disillusioni. Nel film «Il Boom» del 1963, una delle pellicole-simbolo di quel periodo, tanto acriticamente mitizzato per le ricchezze in apparenza alla portata di ognuno, Giovanni Alberti, alias Alberto Sordi, impersonava al meglio l’italiano medio, che era disposto a vendere anche il suo occhio, pur di fare fronte alla montagna di debiti contratti per vivere al di sopra delle sue possibilità.
La riflessione sui teorici della rinascita postbellica dell’Italia può essere oggi una panacea per giovani e meno giovani, a patto di non confondere l’esempio, sempre lodevole, di un Adriano Olivetti con l’amara constatazione del «Belpaese» arenatosi nelle sacche di quel «Paese mancato», denunciato, a più riprese, dagli articoli di Pasolini e di Testori. Tra il dire e il fare c’è stato di mezzo un mare…di cambiali. Passare a contrappelo la storia del ‘benessere’ postbellico, con buona pace di Walter Benjamin, non darà certo alcuna redenzione agli sconfitti di ieri e di oggi, ma potrebbe aiutare le nuove generazioni a separare il grano dal loglio ereditato da quella stagione irripetibile della storia italiana, una storia così vicina a noi per i pochi decenni che ci separano da essa, così lontana da noi per l’affievolirsi dei suoi effetti sulla vita del nostro presente.
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