UN PROBLEMA SISTEMICO DI SOVRANITA’ ECONOMICA NAZIONALE: IL FENOMENTO DEL DE-LISTING E L’IRRILEVANZA DELLE P.M.I. QUOTATE IN BORSA A MILANO

UN PROBLEMA SISTEMICO DI SOVRANITA’ ECONOMICA NAZIONALE: IL FENOMENTO DEL DE-LISTING E L’IRRILEVANZA DELLE P.M.I. QUOTATE IN BORSA A MILANO

ESCP Impact Paper No.2025-64-EN

De Pedys Vittorio*

ESCP Business School

Abstract

EXECUTIVE SUMMARY

Il presente studio, commissionato dal Servizio Studi del Senato della Repubblica, analizza due problemi fondamentali che affliggono il mercato dei capitali italiano, con particolare attenzione alle PMI quotate a Milano: il fenomeno del de-listing e la mortificazione dei valori delle PMI quotate. Il mercato italiano dei capitali è caratterizzato da una cronica carenza di investimenti istituzionali nelle PMI, principalmente a causa della preferenza per investimenti liquidi pur in presenza di un’industria finanziaria nazionale robusta quantunque poco specializzata. Le PMI, essendo poco trattate, sono spesso ignorate dai fondi UCITS, che prediligono Large Cap più liquide. Questo scenario favorisce il de-listing sponsorizzato da operatori di Private Equity internazionali, con conseguente trasferimento di governance all’estero. Le operazioni di de-listing sono spesso sponsorizzate da operatori di Private Equity internazionali, che sfruttano la scarsa liquidità dei titoli delle PMI per acquisirle a prezzi e multipli molto bassi. Questo fenomeno porta a un trasferimento di governance in mani straniere, con conseguente perdita di capacità industriali e innovazione nazionale. Le società italiane che diventano oggetto di de-listing sono spesso eccellenze dell’economia e importanti datori di lavoro, fondamentali nel sistema industriale e produttivo italiano. Ciò è spesso confermato dai consistenti premi di Opa che gli acquirenti sono disposti a pagare per delistare le società scelte. La valorizzazione in Borsa di molti titoli di PMI è mortificata nonostante ottimi fondamentali e potenzialità. Questo fenomeno è dovuto alla mancanza di investitori disposti a sostenere aziende poco liquide con capitali costruttivi e soprattutto pazienti. I fondi UCITS, che dominano il mercato, cercano liquidità e non investono in società con capitalizzazione inferiore al miliardo di euro, lasciando le PMI senza adeguato sostegno.  Per affrontare questi problemi, il documento propone diverse soluzioni, suddivise in blocchi.

  1. Dal lato della domanda. Lo sviluppo di strumenti di Private Investment in Public Equity (PIPE): questi strumenti consentono di mantenere la governance aziendale italiana senza ricorrere alla leva finanziaria, evitando clausole di obbligo alla vendita tipiche del Private Equity; la costituzione di fondi di fondi pubblici/privati come il Fondo Strategico Nazionale con CDP, MEF e Borsa;  lo sviluppo di Fondi Chiusi e ELTIF: questi fondi sono più adeguati a supportare la crescita delle PMI quotate, ma devono essere attivati in numero maggiore per avere un impatto significativo; incentivi per investimenti diretti: è necessario incentivare gli investitori istituzionali a sostenere le PMI con investimenti diretti, superando la dipendenza dai fondi UCITS.
  2. Dal lato dell’offerta. Quotazione di holding di partecipazione che raccolgano più società di distretto/filiera: ogni sforzo va fatto per aggregare più aziende e superare il nanismo tipico italiano ; spin off ed affrancamento di porzioni innovative da aziende familiari già di successo.
  3. Rilancio dei PIR (Piani Individuali di Risparmio): I PIR dovrebbero essere tecnicamente incentivati per orientare maggiormente i risparmi verso le PMI quotate, aumentando la loro efficacia nel supportare la crescita di queste imprese.
  4. Proposte Normative e Fiscali: bonus IPO, capital gain tax, ACE, PEX possono essere rivisti anche alla luce della riforma in corso del T.U.F.

  *Professor of finance, ESCP Business School. Visiting professor Università di Tor Vergata Roma; Pace university NYC, Usa; Donau Universitet Krems, Austria; Luiss Business School Roma; SDA Bocconi Milano; Beida University Beijing PRC; University American College Skopje, North Macedonia 

 

Introduzione e Definizione del Problema

Il presente studio analizza due criticità interconnesse che affliggono il mercato dei capitali italiano, minando la sovranità economica nazionale fondata sul tessuto delle Piccole e Medie Imprese (PMI): il pervasivo fenomeno del de-listing e la sistematica mortificazione dei valori borsistici delle PMI quotate sulla piazza di Milano. L’accesso a capitale di rischio costruttivo è essenziale per la crescita, l’aggregazione e la competitività internazionale delle PMI italiane, che tuttavia scontano una storica dipendenza dal canale bancario, orientato prevalentemente al debito piuttosto che all’equity. Il risparmio nazionale, pur cospicuo, viene allocato in maniera subottimale, con una limitata canalizzazione verso l’economia reale domestica, privilegiando investimenti liquidi, spesso esteri o in titoli di stato, a scapito del sostegno alle imprese nazionali.

Il mercato borsistico, teoricamente la via maestra per la raccolta di equity mantenendo la governance, risulta poco efficace per le PMI a causa della scarsa liquidità che caratterizza fisiologicamente le società con capitalizzazione inferiore al miliardo di euro. Tale illiquidità le rende poco attraenti per la maggioranza degli investitori istituzionali, in particolare i fondi UCITS, vincolati da requisiti di compliance fortemente orientati alla liquidabilità immediata degli asset. Questo scenario crea un terreno fertile per due fenomeni preoccupanti: primo, la mortificazione delle valutazioni borsistiche di molte PMI, nonostante fondamentali solidi e prospettive di crescita, rendendole svilite e vulnerabili; secondo, l’incremento delle operazioni di de-listing, frequentemente sponsorizzate da operatori di Private Equity (PE) internazionali, per la maggior parte statunitensi. Questi ultimi sfruttano le basse valutazioni per acquisire a premio aziende di eccellenza, determinando un trasferimento della governance all’estero, con potenziali ricadute negative su capacità industriale, innovazione e occupazione nazionale.

Analisi del Mercato e Problematiche Strutturali

Il mercato dei capitali italiano evidenzia un ritardo strutturale rispetto alle economie avanzate, caratterizzato da una capitalizzazione di borsa significativamente inferiore in rapporto al PIL se confrontata con partner europei come Francia, Germania o Svezia, e ancor più con USA o Giappone. La dimensione quantitativa ridotta si accompagna a volumi di scambio contenuti e concentrati sulle blue chip, lasciando le Small Cap in una condizione di marginalità.

Inoltre, solo il 7% del capitale delle aziende del FTSE MIB è detenuto da investitori domestici, evidenziando una dipendenza critica dagli investitori internazionali.

Le problematiche specifiche del segmento Small Cap sono molteplici. Si registra una carenza di investitori istituzionali domestici specializzati: i fondi di dimensioni ridotte (<100 Mln €) faticano a raggiungere scala e attrattività, mentre quelli maggiori (>300 Mln €) tendono a evitare investimenti in società poco liquide per non incidere eccessivamente sul flottante. La prassi interpretativa delle normative europee (ESMA) sulla liquidità degli asset da parte dei risk manager interni ai fondi risulta spesso eccessivamente restrittiva nei confronti dei titoli quotati sui mercati Growth (come EGM di EuroNext), assimilati a illiquidi, nonostante chiarimenti normativi contrari. A ciò si aggiungono i costi non trascurabili associati alla quotazione e al suo mantenimento. L’analisi comparativa dei fondamentali borsistici mostra che le Small Cap italiane, pur presentando multipli P/E simili e minor indebitamento rispetto alle Large Cap, scontano valutazioni inferiori su altri indicatori (Price/Cash Flow, Dividend Yield) e sottoperformano rispetto alle omologhe globali. Il segmento EGM, pur essendo un vivaio potenziale, soffre del passaggio delle aziende migliori ai listini superiori e di un elevato tasso di de-listing, rendendo la sua performance aggregata meno attrattiva.

Il problema più critico e strutturale risiede nello scarso apporto degli investitori istituzionali domestici (fondi Ucits, fondi pensione, compagnie assicurative, fondi PIR). Ad es. i fondi pensione italiani, pur gestendo masse crescenti, allocano una quota irrisoria all’equity domestico (circa 4% nel 2023, escludendo i titoli di stato), privilegiando obbligazioni e investimenti esteri, a differenza di quanto avviene in Svezia (50%) o Regno Unito.

Analogamente, le compagnie assicurative italiane investono solo il 2,5% in azioni (contro una media europea del 14%), con una forte concentrazione sui titoli di stato. Questa tendenza all’esportazione del risparmio nazionale priva le imprese italiane, soprattutto le PMI, del capitale di rischio necessario, rendendo il sistema vulnerabile e dipendente da capitali esteri. Modelli virtuosi come quello svedese (forte coinvolgimento retail e dei fondi pensione nazionali) e le recenti riforme inglesi (ISA potenziati, riforma pensionistica) indicano direzioni possibili per invertire questa tendenza.

Il Fenomeno del De-listing: Dimensioni e Implicazioni

Il de-listing rappresenta una grave emorragia per il mercato dei capitali italiano e per la sovranità economica. Il fenomeno non si limita a casi isolati, ma ha assunto dimensioni sistemiche, portando alla perdita del controllo nazionale su numerosi marchi e aziende di rilievo in settori strategici (alimentare, lusso, meccanica, automotive, telecomunicazioni, etc.). L’analisi storica mostra un saldo netto tra quotazioni e cancellazioni estremamente modesto negli ultimi decenni, con un’accelerazione preoccupante dei de-listing negli anni più recenti (circa 40 Mld € nel 2022, oltre 11 Mld € nel 2023, 28 Mld € nei primi sei mesi del 2024).

Sebbene il de-listing sia un fenomeno globale, l’impoverimento progressivo del mercato italiano è particolarmente allarmante. Una ricerca specifica svolta dall’Autore ha evidenziato come, nel periodo 1995-2024, ben il 42% delle Offerte Pubbliche di Acquisto (OPA) finalizzate al de-listing abbiano comportato un trasferimento del controllo a soggetti esteri, in maggioranza extra-europei. Questo dato conferma la vulnerabilità delle imprese italiane quotate, spesso eccellenze industriali, che diventano “prede” a causa delle basse valutazioni e della scarsità di investitori domestici pazienti. Le motivazioni dietro i de-listing sono varie (cessione dell’attività, perdita dei requisiti, fusioni, SPAC), ma una quota significativa (cluster “Prede” e “Pentite”) è riconducibile ad acquisizioni esterne o a ritiri volontari da parte dei controllanti, spesso facilitati dalla sottovalutazione borsistica. Le acquisizioni esterne, in particolare da parte di gruppi industriali stranieri o fondi di PE internazionali, sono frequentemente caratterizzate da premi di OPA significativi (+28,9% sul listino principale, +42,4% su EGM in media), a riprova del valore intrinseco e delle potenzialità percepite in queste aziende, valore che il mercato domestico non riesce a esprimere o sostenere. Questo ciclo vizioso non solo depaupera il listino, ma sottrae al Paese governance, centri decisionali, potenziale innovativo e ricchezza futura.

Mortificazione dei Valori e Criticità dei PIR

Parallelamente al de-listing, e talvolta come causa di esso, si assiste a una marcata “mortificazione” dei valori delle PMI quotate. Questo fenomeno si è acuito a partire dalla seconda metà del 2022, con una drammatica divergenza tra la performance positiva degli indici delle Large e Mid Cap (FTSE MIB, FTSE Mid Cap) e quella stagnante o negativa degli indici delle Small Cap (FTSE Small Cap, Euronext Growth Milan). Le Mid-Small Cap trattano a multipli (es. forward P/E) significativamente inferiori rispetto alle medie storiche e ai valori riscontrabili nelle transazioni private (aste di Private Equity), indicando una sistematica sottovalutazione da parte del mercato pubblico.

Questa situazione è esacerbata dalla contrazione della liquidità globale e specifica sul mercato italiano, con volumi scambiati sulle Mid-Small Cap in calo del 20-30% rispetto alle medie decennali.

Un fattore determinante in questa dinamica sono stati i flussi di riscatti dai Piani Individuali di Risparmio (PIR) ordinari. Lanciati nel 2017 con l’obiettivo di canalizzare il risparmio verso le PMI, i PIR hanno avuto un avvio promettente, ma la raccolta si è arrestata dopo il 2018. Al termine del quinquennio necessario per ottenere i benefici fiscali, sono iniziati ingenti riscatti (circa 3,45 Mld € tra H2 2022 e 2023), non bilanciati da nuove sottoscrizioni. Queste vendite forzate, pur avendo impatto trascurabile sui grandi fondi PIR data la bassa esposizione iniziale alle Small Cap, hanno depresso significativamente le quotazioni dei titoli delle PMI coinvolte, indipendentemente dai loro fondamentali.

L’analisi dell’allocazione dei PIR ordinari rivela la loro limitata efficacia nel sostenere le PMI: a fine 2023, solo il 3,9% del patrimonio era investito in Small Cap (appena lo 0,4% oltre il minimo normativo), e solo l’8% del flottante di queste ultime era detenuto dai PIR. La concentrazione del mercato PIR in pochi grandi gestori rende inoltre problematica la gestione attiva di posizioni significative in titoli poco liquidi. I PIR Alternativi, lanciati nel 2020 con vincoli più stringenti verso le PMI, hanno raccolto risorse limitate e si sono concentrati prevalentemente su asset non quotati, non contribuendo a risolvere il problema di liquidità e valutazione del mercato borsistico delle PMI.

Proposte Operative: Interventi dal lato della Domanda

Per contrastare i fenomeni descritti e rivitalizzare il mercato delle PMI quotate, è necessario agire prioritariamente sul lato della domanda di capitali, stimolando l’interesse e la capacità di investimento da parte di attori domestici qualificati. Si propongono le seguenti linee di intervento:

Promuovere attivamente lo schema del Private Investment in Public Equity (PIPE), trasferendo competenze tipiche del Private Equity (analisi approfondita, supporto strategico, orizzonte di medio-lungo termine) agli investimenti in società quotate. Questo approccio, svincolato dai vincoli di liquidità dei fondi aperti, permette di sostenere la crescita delle PMI con capitale paziente, senza necessariamente mirare al de-listing e preservando la governance italiana. Veicoli come fondi chiusi specializzati, holding di investimento ed ELTIF (soprattutto quelli di dimensioni contenute, <100 Mln €) sono strumenti idonei a implementare strategie PIPE e andrebbero incentivati.

È fondamentale dare pieno supporto e rapida attuazione al Fondo Nazionale Strategico (FNS), un’iniziativa di partenariato pubblico-privato (con CDP, MEF, Borsa Italiana) concepita come fondo di fondi per catalizzare investimenti in fondi chiusi dedicati alle PMI quotate italiane (fuori FTSE MIB). L’investimento iniziale pubblico (350 Mln €) mira a mobilitare capitali privati significativi (obiettivo > 1 Mld €), creando un ecosistema di gestori specializzati. Si suggeriscono meccanismi di implementazione che favoriscano un effetto moltiplicatore e una rotazione del capitale pubblico verso nuove iniziative (es. rimborso graduale delle quote pubbliche al crescere del NAV dei fondi sottostanti). A complemento, si potrebbe valutare la creazione di fondi di fondi PIR aperti, gestiti da operatori specializzati, per ampliare la platea degli investitori.

Ulteriori misure proposte includono: estendere il credito d’imposta “bonus IPO” anche ai costi sostenuti per operazioni di aggregazione (M&A, business combination) che incrementino la dimensione delle quotate; introdurre un credito d’imposta per le spese di ricerca indipendente sulle PMI per colmare il gap informativo; sostenere con agevolazioni fiscali o normative i cornerstone investors che assumono partecipazioni rilevanti (>5%) in IPO o PIPE; valutare la costituzione di fondi di PE nazionali o locali focalizzati su operazioni di ricapitalizzazione (debt-for-equity swap) per PMI. Cruciale è un’azione di moral suasion sui grandi investitori istituzionali (banche, assicurazioni, fondi pensione) affinché destinino una quota, seppur minima ma significativa, dei loro portafogli a investimenti diretti o indiretti (tramite fondi dedicati) nelle PMI quotate italiane, superando la delega esclusiva ad advisor internazionali focalizzati su Large Cap.

Proposte Operative: Interventi dal lato dell’Offerta, della Regolamentazione Fiscale e sul Rilancio dei PIR

Sul lato dell’offerta, è necessario incentivare la presentazione sul mercato di società di dimensioni adeguate e favorire processi di aggregazione. Si suggerisce di promuovere la quotazione di holding che raggruppino più PMI appartenenti a filiere o distretti industriali strategici, superando il “nanismo” dimensionale. Anche gli spin-off di rami d’azienda innovativi da parte di gruppi familiari consolidati andrebbero incoraggiati. Le agevolazioni (come il bonus IPO esteso) dovrebbero premiare la creazione di entità consolidate di maggior rilievo. Andrebbe rivista la definizione europea di PMI e l’applicabilità dei relativi benefici, considerando approcci “look through” per holding che consolidano diverse PMI. Potrebbe essere introdotto un meccanismo di affrancamento fiscale agevolato del valore delle partecipazioni quotate (anche derivanti da business combination), con aliquote scalari inversamente proporzionali alla durata del periodo di detenzione (holding period), per incentivare l’imprenditore a rimanere investito nel lungo termine.

Dal punto di vista normativo e fiscale, si propone di rendere strutturale il bonus IPO, estendendolo alle aggregazioni e includendo un sostegno per i costi post-quotazione. È opportuna una riflessione strategica sulla tassazione dei capital gain e dei dividendi derivanti da investimenti in PMI quotate, valutando possibili riduzioni o differenziazioni (es. legate all’holding period) per rendere più competitivo l’investimento in capitale di rischio rispetto ad altre asset class (es. titoli di stato). Potrebbe essere utile reintrodurre una forma mirata di ACE (Aiuto alla Crescita Economica) per incentivare specificamente la patrimonializzazione delle PMI quotate. Si suggerisce di rivedere la normativa sulle PMI innovative per agevolare fiscalmente la creazione di newco da spin-off quotate e l’attrazione di capitali terzi. Per le holding familiari che investono in veicoli PIPE dedicati alle PMI, si potrebbe ipotizzare un regime di sospensione fiscale sui conferimenti e l’applicazione del regime PEX (Participation Exemption) sui proventi distribuiti. Infine, si potrebbe legare la concessione di regimi fiscali agevolati per neo-residenti facoltosi anche a specifici investimenti in PMI italiane quotate o fondi dedicati.

Per quanto riguarda i PIR, è necessario un rilancio incisivo. Si propone la creazione di nuovi PIR (ordinari o alternativi) con un vincolo di investimento minimo in PMI quotate significativamente più elevato dell’attuale 3,5%, e interamente focalizzati sul mercato quotato. Andrebbe eliminato il vincolo dell’unicità del PIR per singolo sottoscrittore. Per incentivare la detenzione di lungo periodo e smorzare l’effetto “scadenza” dei 5 anni, si potrebbero introdurre benefici fiscali continuativi (es. deducibilità annua di una quota dell’investimento dopo il quinto anno) o crediti d’imposta su eventuali minusvalenze. Andrebbe inoltre promossa la possibilità di investimento diretto in azioni di PMI con benefici fiscali analoghi ai PIR se mantenute per un periodo prolungato (es. >5 anni), sul modello degli ISA/ISK britannici e svedesi.

Una Visione Strategica e Conclusioni

Oltre alle misure specifiche, è necessaria una visione strategica di lungo termine. Si propone di candidare Borsa Italiana, all’interno del gruppo Euronext, a diventare il polo di riferimento europeo per la quotazione e la negoziazione delle PMI, sfruttando la sua leadership numerica nel segmento Growth e la forza del tessuto industriale italiano. Ciò richiederebbe un’azione di promozione a livello governativo e istituzionale.

In conclusione, il de-listing e la mortificazione dei valori delle PMI quotate rappresentano un grave problema sistemico che erode la base produttiva e la sovranità economica nazionale. È imperativo invertire questa tendenza, sostenendo la crescita delle imprese italiane e arginandone l’acquisizione sistematica da parte di operatori esteri, principalmente extra-europei. Ciò richiede un mercato dei capitali domestico efficiente, liquido e capace di attrarre stabilmente il risparmio nazionale. Le numerose proposte formulate in questo studio, che spaziano da interventi sulla domanda e sull’offerta a misure normative, fiscali e di rilancio dei PIR, mirano a creare un ecosistema più favorevole. L’ispirazione deve venire dai Paesi che hanno già sviluppato mercati dei capitali virtuosi (Svezia, UK, etc.), basati su una chiara percezione del ruolo sociale del mercato, un quadro regolatorio e fiscale incentivante, una forte attenzione alla previdenza complementare orientata all’equity domestico e una presenza significativa di investitori nazionali. Il superamento delle attuali criticità richiede uno sforzo congiunto e coordinato di tutti gli stakeholder della comunità finanziaria – istituzioni pubbliche, regolatori, intermediari, gestori, imprese e investitori – fondato sulla consapevolezza dell’urgenza e sulla volontà di implementare soluzioni efficaci, orientate al mercato ma supportate da un quadro normativo stabile e lungimirante. La tutela e la valorizzazione delle PMI italiane attraverso un mercato dei capitali funzionante non è solo una questione economica, ma una priorità strategica per il futuro del Paese.

Annexes

  1. Excel file “Studio ITAIM”, elaborazione a cura della dott.ssa Isabella Corno, Univ. Bocconi
  2. File “DELISTINGS”, elaborazione a cura del dott. Luca Magliano, Electa Ventures
  3. Excel file “Lista acquisizioni estere”, elaborazione dell’Autore
  4. Borsa Italiana, “Società revocate nel periodo gennaio 1995- 2024” vd.link : Revoche 12 2023 – Borsa Italiana oppure file “Revoche”, Borsa Italiana
  5. Excel file “Pmi eccellenti quotate”, elaborazione dell’Autore

 

References

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  • 7° quaderno di ricerca Intermonte-Politecnico di Milano “la presenza di fondi di investimento nel mercato azionario di Borsa Italiana”, febbraio 2024
  • Caselli, S., Gatti, S., 2023, “Capital Markets: Perspectives over the last decade”, EGEA
  • S. Caselli, S. Gatti, M. Zava “Gli investitori nel mercato azionario italiano: evoluzione o involuzione? “, Unversità Bocconi, Giugno 2024
  • “European equity markets, s.m.e.s and the growth challenge”, Casmef Luiss universtity con Event Group, 2024, a cura di N.Borri, G. Di Giorgio, F. Gaudenti
  • 6° quaderno di ricerca Intermonte-Politecnico di milano “sliding doors”, marzo 2022
  • Picco, F., Ponziani, V., Trovatore, G., Ventoruzzo, M., 2021, “Le OPA in Italia dal 2007

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  • G. di Giorgio, N. Borri “European Equity Markets, SMEs and the Growth Challenge”, Rivista Bancaria n° 1-2, 2024 
  • OECD Capital Market Review of Italy for 2020: Creating Growth Opportunities for Italian Companies and Savers (OECD Capital Market Series)
  • Senato della Repubblica- Servizio Studi, Camera dei Deputati-Servizio Studi, Dossier 94/2, “Interventi a sostegno della competitività dei capitali”, 2 febbraio 2023

Ringraziamenti

Le opinioni espresse nel presente studio e le valutazioni formulate sono esclusivamente riconducibili all’Autore; ciononostante esse sono anche il frutto di numerose discussioni effettuate con un certo numero dei massimi esperti del settore, che voglio qui formalmente ringraziare per i preziosi approfondimenti forniti ed il prezioso contributo di competenze e di passione per il tema. Corre l’obbligo menzionare, come particolarmente interessanti i contributi del Dr. Simone Strocchi, founder and CEO of Electa Ventures.

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