Di Cristian Leone
Uno dei temi fondamentali per la conservazione e prosperità di un popolo, ma tuttavia oggi poco considerato, è senza dubbio quello demografico. Il calo della natalità, in Italia come in Europa, è un dato significativo perché indica una marginalità assoluta della famiglia nel sistema capitalistico. Dalla cellula fondante della società, quale era considerata anticamente, la famiglia è diventata un’istituzione retrograda e superflua. In un mondo in cui conta solo ciò che può produrre ricchezza è inevitabile un attacco verso ogni istituzione che non sia quantitativa ma qualitativa, contro ogni ambito in grado di generare valori e non profitti. Ma questa aggressione alla famiglia quando comincia? Il fascismo individua, sul finire degli anni ’30, nell’ideologia borghese la causa principale della decomposizione dell’istituto familiare. L’ideologia individualista propugnata dalla borghesia è, secondo il fascismo, uno dei fattori maggiormente legati alla denatalità. L’individuazione di questo topos è particolarmente profetica se consideriamo che un recente sondaggio condotto da SWG dichiara: «un genitore su quattro non rifarebbe un figlio se potesse tornare indietro perché comporta troppi sacrifici, primo fra tutti di dover rinunciare al tempo da dedicare a sé stessi». Il movimento di Benito Mussolini è stato dunque precursore di molte tematiche oggi al centro del dibattito sulla famiglia.
Legislazione e cultura fascista
L’incremento demografico rappresenta uno dei temi maggiormente sentiti dal fascismo secondo il quale la natalità è l’elemento fondante che consente la sopravvivenza e garantisce la prosperità di un popolo. Il tema della demografia, della maternità e della natalità è una costante sempre presente durante tutto il regime, infatti, numerose sono le azioni poste in essere da Mussolini. In questo ambito, come in tutti gli altri, l’azione del fascismo coinvolge tanto l’aspetto culturale quanto quello legislativo. Dal punto di vista culturale viene esaltata la famiglia numerosa come base di una società florida e potente, dal punto di vista materiale vengono create una serie di norme atte a incrementare lo sviluppo demografico. La legislazione fascista volta a favorire la natalità è molto ampia e prevede la creazione di istituti come l’ONMI e l’attuazione di numerose nuove iniziative come gli assegni familiari, l’assistenza agli illegittimi, la tutela del lavoro in caso di maternità, premi di nuzialità e natalità, la befana fascista e molte altre. Tutte misure volte a garantire una stabilità sociale ed economica tale da assicurare delle solide basi materiali per creare una famiglia.
Il fascismo attacca la borghesia
Al di là delle realizzazioni materiali è sul campo della cultura e del costume che il regime imposta la sua campagna contro il concetto borghese di famiglia. Il fascismo accusa la borghesia di considerare la natura comunitaria della famiglia come un ostacolo alla realizzazione personale dell’individuo. La lotta antiborghese non può non ribellarsi al concetto atomistico di famiglia. La famiglia rappresenta, nella visione fascista, quella comunità caratterizzata dalla solidarietà gratuita, da generosità e altruismo, che consente la negazione dell’individualismo borghese e l’affermazione di una relazione non permeabile dal nesso mercantile. Il borghese, infatti, teme di non poter tramandare al figlio un patrimonio economico tale che lo assicuri dalle difficoltà e dalle lotte che la vita comporta. L’uomo economico non pensa, quindi, a un figlio come a una creatura a cui trasmettere dei valori spirituali come il coraggio, l’onore, la forza, l’intelligenza ecc., ma la sua preoccupazione riguarda la quantità di beni da trasmettere ai suoi successori. Roberto Pavese, con queste parole, esemplifica molto bene la mentalità insita nel concetto di famiglia borghese:
Il contadino fa figli senza preoccuparsi di quanto potrà lasciar loro per vivere, perché sa che essi hanno braccia al par di lui. Il borghese non vuol far figli pel timore di non poter farli tutti milionari: non i beni dello spirito vuol lasciar loro, il coraggio e l’azione disinteressata, ma un pesante sacco di monete d’oro che li ancori alla terra per paura che possano librarsi sulle ali dell’idealismo. Il male del borghese è un’inguaribile povertà spirituale alla quale invano tenta di sopperire mediante la ricchezza materiale. La sua bassa levatura spirituale e morale lo rende refrattario ad ogni motivo altruistico, assolutamente incapace di uscir dall’angusta cerchia del proprio io per cogliere l’essenza delle cose, per sentire il fascino della bontà, della bellezza, della fede; il borghese è insomma un evirato dello spirito, un bruto intelligente, anzi più furbo che intelligente: non è l’aquila né il leone, ma la volpe in veste umana.
È proprio questa natura economica ed egoista che porta il borghese a non accettare il concetto di famiglia, egli, infatti, chiuso nel proprio essere a sé, non vuole sacrificare le sue comodità e i suoi piaceri in nome di qualcun altro. La famiglia comporta dedizione e altruismo e per questo motivo è avversata dal borghese che conserva le sue energie per il lavoro, ambito nel quale egli realizza sé stesso. Il figlio porterebbe via tempo necessario anche per lo svago. Il tempo libero, infatti, è nella mentalità borghese un momento fondamentale perché propedeutico alla ripresa del lavoro. Il divertimento, la vacanza, secondo l’ottica borghese, ristorano, rigenerano il corpo in modo tale ritornare al massimo delle proprie energie e aumentare così la propria produttività. È il trionfo dell’ambito economico su quello sentimentale.
Geografia sociale della natalità
Il regime analizza in maniera statistica l’incremento della natalità nelle diverse classi sociali e constata che il numero delle nascite è inferiore tra le classi abbienti e maggiore tra le classi indigenti. Dietro questo dato si nasconde, più che un elemento economico, un fattore culturale. Sono le statistiche, secondo il fascismo, a dimostrare che il calo delle nascite è più alto, proprio in quegli strati sociali la cui ricchezza è maggiore e in quelle regioni italiane economicamente più floride. Lo studio statistico, sulla natalità correlata alla polemica antiborghese, viene pubblicato sulla rivista “Gerarchia” nel maggio 1937 in un articolo firmato da Guglielmo Tagliacarne. In questo scritto vengono analizzati i risultati raggiunti dalla campagna demografica intrapresa dal fascismo. L’autore nota sì un miglioramento della natalità grazie alle politiche del regime ma, allo stesso tempo, prospetta la pericolosità di una perdurante ideologia borghese, sottolineando come nella realtà dei fatti la crescita demografica, dopo un periodo di forte espansione, sia diminuita in maniera omogenea in tutte le regioni, anche quelle meridionali che per tradizione sono le più floride. Secondo Tagliacarne, in un’idea condivisa dal fascismo, c’è una relazione diretta tra lo sviluppo della mentalità borghese e la denatalità. Per l’autore dell’articolo è l’egemonia della cultura borghese, quella del «massimo un figlio» a determinare un calo delle nascite:
Gli uomini aspirano per loro natura alla vita comoda e ai piaceri, mentre sfuggono il più possibile i sacrifici e le responsabilità. È per ciò che limitano il numero dei figli. […] È uno di quei fenomeni di egoismo, di benessere, di comodità, che si diffondono facilmente da sé senza bisogno di incitamenti e propaganda; l’esempio è particolarmente suggestivo perché viene dagli strati di persone più elevate, alle quali si guarda come a un ideale da raggiungere.
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