Di John Wyse (Direttore Accademico e Senior Lecturer in Strategy, Innovation and Entrepreneurship European School of Economics)
Governments will increasingly need to move away from broad support to more targeted measures…Government intervention is best focused on addressing market failures, and to managing the pace of the needed creative destruction.
I governi dovranno allontanarsi dal fornire aiuti su larga scala e fornire invece misure più mirate…Qualsiasi intervento è meglio orientato se risponde alle imperfezioni di mercato ed accompagna il ritmo della necessaria distruzione creativa.
Group of 30 (2020) Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid DESIGNING PUBLIC POLICY INTERVENTIONS, Washington D.C. Dec. 2020, Foreword, pg. Ix
Comunismo 4.0
A più di 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, la burocrazia di Bruxelles promuove oggi un piano economico quinquennale alla maniera del Politburo sovietico, in teoria per il rilancio delle economie UE. Déjà vu, disaient-ils!
Qualcuno assevera che non sia stato Putin – antico membro del KGB ed egli stesso figlio della cultura del vecchio comunismo – ad imporre tale regime centralista, ma che sia stata una misura autoinflitta da Bruxelles e dai governi UE. Paradossalmente, lo stesso Commissario UE Gentiloni, ha ammesso recentemente che non sarà il Piano di Rilancio e Resilienza (PNRR) a far ripartire le economie europee. La riapertura post-Covid 19 fornirà, invece, tali condizioni.
La domanda sorge spontanea: a cosa serve il piano Next Generation UE se non aiuta a rilanciare l’economia come più volte annunciato? Secondo Gentiloni, esso darà “qualità” al rilancio (Musso, Atlantico Quotidiano, 13 maggio 2021). Cosi Draghi ha usato il concetto Schumpeteriano di distruzione creativa (veda sopra) in un contesto non di innovazione tecnologica basato sulle forze di mercato ma di sostituzione industriale di vasta scala guidato da una ipotetica politica industriale con forte base finanziaria .
I più maliziosi dicono che il piano serva a giustificare l’esistenza della folta burocrazia di Bruxelles nell’era post-Brexit, quando mancano i contributi di uno dei principali finanziatori della UE: il Regno Unito, appunto. Nelle pieghe del piano si troveranno le nuove risorse finanziarie per far sì che la burocrazia possa autoperpetuarsi. E così sia!
Una formula molto vecchia per un mondo nuovo
Siamo schietti. Noi abbiamo più di un dubbio sull’efficacia del Next Generation EU. E non lo nascondiamo. Una prima osservazione. Come può un piano di rilancio composto da tasse (plastic tax, digital tax, carbon tax), vincoli (riforma della giustizia, riforma del catasto, taglio delle agevolazioni fiscali e aliquote ridotte) e maggiori debiti (dunque maggiori interessi), fornire le basi per un rilancio economico continentale in tempi brevi? Un tale ragionamento avrebbe senso se il differenziale (positivo) di valore economico generato attraverso investimenti mirati e i suoi effetti moltiplicatori, assieme a una maggiore efficienza amministrativa (minori costi e tempi più veloci), superasse il valore negativo di maggiori tasse, interessi, e spese di personale amministrativo richiesti per l’attuazione del piano.
Le alternative esistono e sono l’indebitamento dello Stato italiano attraverso buoni comprati dalla BCE e una minore tassazione alle aziende (riduzione dell’IRAP), con una riduzione dei costi di fornitura energetica, ottenibili con opportuni tagli degli oneri di sistema che gravano sulle bollette, condito con riduzioni dell’IVA su larghe categorie merceologiche.
Alla luce del fatto che solo a fronte di maggiori risorse di bilancio UE, nuovi titoli UE potranno essere messi sul mercato finanziario, va da sé che tali risorse dovranno provenire da nuove tasse e da tagli alla spesa dei bilanci nazionali (non di quello della UE) in prima battuta. Dunque, l’unica certezza (dell’altra non mi sembra il caso parlarne) sono le maggiori tasse e i tagli alla spesa pubblica prima dell’esborso di nuove risorse. Infatti, sarebbe la prima volta nella storia economica mondiale che una politica di austerity porti a una maggiore crescita economica dei territori sottoposti a tali regole restrittive. Non il contrario: cioè che l’austerity non possa esser foriera di crescita economica, come confermano numerosi studi economici (Cfr. Stubbs, Th, Kentikelenis A, Ray R. Gallagher K, 2021 un lavoro di ricerca fatto sull’impatto dei prestiti dell’IMF in 79 economie tra il 2002 – 2018 per non parlare di altri studi tipo Bagnai 2017, Ostry et al., 2016 Cornia et al., 1987; Pastor, 1987).
Una seconda osservazione si basa sul fatto che gli argomenti sulla maggiore efficienza amministrativa che richiedono nuove burocrazie si sono dimostrati nel tempo rappresentare una narrativa vacua, almeno da quando Monti fu al governo. Più stipendi all’amministrazione pubblica (più personale al MEF – Ministero di Economia e Finanza, task forces, comitati tecnici, etc.) non porta a meno spese, bensì avviene il contrario, in congiunzione con nuove regole e complicanze burocratiche (red tape). Guarda un po’!
Mi si passi l’analogia un po’ semplificatoria: nessun comitato sportivo potrebbe imporre ai gareggianti di una competizione automobilistica di inserire il freno di stazionamento prima di dare il gas e di lanciarsi oltre alla griglia di partenza, senza un minimo di naso storto o di lamentele da parte dei piloti.
Il re è nudo. Viva il re!
Nel caso del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), il naso storto dei politici e degli analisti finanziari, per il momento, si limita principalmente al dibattito sui maggiori prestiti versus denaro a fondo perduto: meno al fatto che la natura degli investimenti in motori a idrogeno, ad esempio, o all’infrastruttura digitale, debba essere autorizzata e controllata in ultima battuta a Bruxelles (in prima battuta dagli organi del MEF) piuttosto che a Torino, Vicenza, Bari, etc., dove, ossia, i fondi potrebbero essere utilizzati. Meno ancora si è aperta una discussione sulla provenienza delle tecnologie richieste per l’attuazione del piano stesso.
Sappiamo che, secondo il recente decreto semplificazioni e il PNRR stesso, un comitato tecnico del MEF potrebbe spostare la destinazione dei fondi del piano a Comuni e Regioni qualora le condizioni richieste e approvate a priori non venissero rispettate. Così come sappiamo che tale Comitato MEF potrebbe, addirittura, interromperle di sana pianta. Ancora non è chiaro su quali basi verrebbero prese tali decisioni già che non sono stati ancora resi disponibili protocolli attuativi o regole esecutive di alcun genere. Alla luce dell’ammontare delle risorse disponibili, potrebbe essere necessario un dibattito in parlamento su tali norme, altrimenti si potrebbe rischiare il ricatto degli organi burocratici centrali con un tradizionale orientamento partitico di sinistra: sempre pro-lotta all’evasione fiscale e non pro-sviluppo economico delle piccole e medie aziende. Possiamo, a questo punto, anche avere la “tentazione” di immaginare, tra l’altro, su quali regioni o comuni o su quali tipologie di aziende potrebbero dimostrarsi più severi.
Un altro importante tema riguarda la neutralità economica dei temi programmatici scelti: green e digitale. Sul digitale e green sappiamo che, non soltanto le aziende UE, ma anche le aziende cinesi, hanno tecnologie già pronte per l’uso. Il piano PNRR comporta il massiccio utilizzo delle tecnologie non lo sviluppo delle nuove. Le tecnologie esistenti vengono distribuite e finanziate, non create e sviluppate.
Non sarebbe meglio una gara per supportare lo sviluppo tecnologico UE con una parte dei fondi dedicati alla ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie, invece di promuovere il consumo di tecnologie digitali (5G, AI, semiconduttori), green (batterie, panelli fotovoltaici) già pronte, su vasti settori economici UE senza tenere conto di una possibile dipendenza strutturale su tecnologie ed aziende asiatiche, in buona parte provenienti dalla PRC (People’s Republic of China)? In fondo, questa è l’ambizione del governo Merkel più volte evidenziata, ma mai portata alla luce del sole.
In altre parole, il PNRR, così concepito, rischierebbe anche di far aumentare la ferita inflitta dalla mancanza di crescita economica e investimenti, piuttosto ch’esser volto ad aumentare le condizioni di effettiva competitività dell’economia italiana.
Il grande dilemma : e’ vero che niente e’ sicuro oltre la morte e le tasse? (Parafrasando Benjamin Franklin)
È probabile che con la grave crisi post-Covid – che ha colpito con ogni probabilità un buon 80% delle aziende italiane – il punto di attenzione primario degli operatori economici non sia tanto lo sviluppo di competenze di Project Management, quanto, piuttosto, la generazione di fatturato. Di conseguenza, e paradossalmente, molte delle risorse del PNRR andrebbero nelle mani di aziende che, avendo risorse umane e finanziarie da spendere, potranno sottostare ai tempi e alle complicanze delle procedure di accesso richieste dal piano. Tendo a pensare che, molto probabilmente, le aziende piccole con un organico di meno di 10 dipendenti non parteciperanno assiduamente al PNRR, mentre le medie e grandi aziende sì.
Se così fosse, sarebbe più utile per il rilancio dell’economia italiana ragionare su come ridurre tasse quali IRAP, i costi di approvigionamento energetico (minori detrazioni in bolletta) e IVA (per spingere ad un aumento dei consumi), piuttosto che focalizzare le risorse disponibili su d’un piano a cinque anni, controllato dalla burocrazia di Roma o Bruxelles, fino a ieri abituate a vedere come aumentare il gettito fiscale e, dunque, ignare delle forze di mercato o delle complesse regole delle supply chain globali.
Non abbiamo bisogno di trovare il modo di rendere lo Stato più efficiente a costo di un enorme debito e di maggiori tasse per continuare a giustificare i maggiori costi burocratici e finanziari come unico modo per alimentare la ripresa. Non ci dimentichiamo che, così come presentato, il PNRR rischia di alimentare gli interessi economici di una potenza economica che dista migliaia di chilometri dall’Italia, la quale ha già ampiamente beneficiato della crisi Covid-19 per rilanciare la propria di economia.
Non serve più autoconvincersi che una macchina più pesante possa aiutarci a vincere le gare (competizione internazionale per quote di mercato e maggiore sviluppo economico italiano), per quanto possiamo avere un serbatoio più grande.
Lascia un commento