Di Spartaco Pupo
Pubblicato sul quotidiano nazionale “Libero” del 28 ottobre 2022, pag. 27
Questa guerra al merito da parte della sinistra viene da lontano. È uno dei modi tipici con cui il marxismo ha sempre cercato di umiliare il talento individuale, la competenza e la qualità per sostituirli con il livellamento, la burocrazia e la quantità.
Era nello schema mentale di Marx e di tutti i capi marxisti che a lui si sono succeduti porsi al comando di una massa di assoggettati, non certo di un popolo di individui dotati di personalità, libertà e immaginazione creativa. Nei regimi comunisti solo i capi politici, dall’alto della loro competenza, pensavano e decidevano; tutti gli altri, essendo incompetenti, non facevano altro che obbedire e svolgere attività formali e burocratiche. È forse questa la vera ragione del fallimento storico del comunismo. Ma a sinistra hanno sempre fatto finta di non capirlo, tanto che la battaglia per la burocratizzazione della società continua con tonnellate di libri contro “l’ideologia”, la “tirannia”, l’“imbroglio” di un concetto, quello di merito, che genererebbe solo differenze e discriminazioni. Si tratta di vere e proprie campagne di sovversione della meritocrazia: livellare capaci e incapaci, in ogni ambito, dalla scuola al mondo delle professioni, vuol dire distruggere ogni gerarchia di competenza e responsabilità.
La lotta alla meritocrazia fu al centro della contestazione del Sessantotto, che vedeva nel merito di una persona nient’altro che l’effetto della classe sociale di provenienza. Premiare i meritevoli, secondo il paradigma dei “contestatori”, voleva dire creare invidia, infelicità sociale e società “ingiuste”. La storia ha dimostrato il contrario, e cioè che molto spesso sono stati i figli delle famiglie umili, nella vecchia scuola disegnata da Giovanni Gentile, magari perché premiati con borse di studio vinte sulla base del merito, a raggiungere i profitti più alti nello studio e nelle professioni. La verità è che chi è meritevole, nel senso che ha raggiunto traguardi importanti grazie alla sua volontà, ha acquisito competenze tali da non tollerare di sottostare agli ordini politici dei burocrati di turno. I più grandi meriti sono da sempre conseguiti dagli spiriti indipendenti che non si sottomettono e seguono la loro strada senza curarsi delle mode, dei programmi livellanti e degli ordini burocratici. Non il livellamento ma la sana competizione derivante dal meccanismo “merito-premialità” è la vera molla della civiltà, ciò che consente alle persone di perfezionarsi, realizzare le loro più alte disposizioni e migliorare il mondo che le circonda.
La lotta contro il merito, poi, è storicamente perdente. La politicizzazione della scuola e dell’università, nel tentativo di livellare, ha finito per creare ciò che i missionari dell’egemonia dicevano di voler abolire, e cioè classismo, incompetenza diffusa e ingiustizie. Tutti i dati danno la scuola italiana in preda a un declino irreversibile sul piano della qualità dello studio e della preparazione dei nostri ragazzi. Siamo giunti al paradosso di leggere gli appelli dei docenti contro i loro stessi studenti “somari”. La fuga all’estero dei cervelli che cos’è se non il risultato di politiche e forme di malcostume mai seriamente combattute per le quali l’accesso alle carriere avviene quasi sempre per effetto di meccanismi di selezione basati sull’appartenenza a corporazioni di tipo ideologico-politico o territoriale?
Spiace che anche dei cattolici navigati come Rosy Bindi, pur di assecondare l’onda di odio ideologico contro il governo Meloni, dimentichino che il merito è parte integrante del magistero della Chiesa. Sant’Agostino con l’espressione “qui fecisti tua dona nostra merita” faceva del merito un dono di Dio da spendere per se stessi e per gli altri. Persino il Catechismo della Chiesa Cattolica legittima il merito come qualcosa di “relativo alla virtù della giustizia”, un diritto ad una “retribuzione dovuta da una comunità o da una società per l’azione di uno dei suoi membri riconosciuta come buona”.
Una società che non sia meritocratica, infine, non può essere democratica, poiché la democrazia, secondo la lezione di Tocqueville, si nutre dell’uguaglianza come punto di partenza, uguaglianza “delle condizioni”, che non mortifica anzi premia i sacrifici, le capacità, i talenti e le intelligenze individuali.
La sinistra farebbe bene a prendere atto che la lotta al merito è sbagliata perché è contro natura. A nessuno piace rassegnarsi al fatto che qualsiasi suo sacrificio sarà reso vano da una società che premia tutti allo stesso modo. È innaturale essere condannati a restare sempre fermi al punto di partenza e vedere altri meno meritevoli ricevere riconoscimenti palesemente “immeritati”. È la più grave delle ingiustizie e delle discriminazioni.
La destra, che ha sempre fatto della meritocrazia un punto fermo della sua cultura politica, ha oggi la possibilità di realizzare, a partire dall’istruzione, ciò in cui ha sempre creduto: fare del merito l’ideale della vita creativa e dell’immaginazione libera contro ogni pigrizia burocratica, ozio passivo e smania di livellamento e distruzione.
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