A cura del Gruppo di Studio Avser
Presentazione
«Canto di uccelli, profumo di fiori, serena pace, semplicità di vita sono, diremo così, la parte poetico-idilliaca della vita rurale; quella che vedono solamente i letterati. Ma la parte che più deve stare a cuore ai maestri delle scuole di campagna è quella concreta, quella che realmente il contadino vive. Il quale, pur respirandola con l’aria, della poesia poco si accorge e l’idillio non ha sempre tempo di gustarlo. Educare i figliuoli dei contadini all’amore della terra, della sua bellezza e del suo valore è il primo dovere nostro. Però niente lattemiele, niente lirismo vuoto, ma coscienza e conoscenza della vita campestre sotto ogni riguardo. È bella, sì, la farfalla; ma semina bruchi devastatori nel campo. È dolce il canto degli uccelli; ma alcuni di essi sono dannosi. C’è il canto dei grilli; ma ci sono anche la fillossera e le cavallette […] Vita che alla scuola non chiede davvero retorica, artificio e perditempo, ma concretezza, ma cose che rispondono alle sue vive necessità: comprensione […] Bandire ogni forma di astrattismo; cercare nella vita tutta la materia per il lavoro scolastico».
Scriveva così, nel 1932, Felice Socciarelli, “maestro dei maestri italiani delle scuole rurali” come lo definì Giuseppe Lombardo-Radice. Uno dei tanti personaggi cosiddetti secondari, ma non per questo minori, dimenticati dalla nostra Italia, oramai sempre più immemore di sé.
Seppur riferite ad un contesto ben diverso, ad un’Italia ancora eminentemente agricola, in cui si poneva il problema non solo di dare un’istruzione, ma anche una coscienza di popolo alle innumerevoli schiere contadine della penisola, tali parole hanno un valore ancora molto attuale. Perché, volenti o nolenti, la maggior parte di noi di fronte alla campagna e a chi vi opera, è tutt’oggi ostaggio di quel “lirismo vuoto” tanto deprecato dall’umile maestro di Canino. Con l’aggravante che la radice di questa visione semi-onirica dell’agricoltura non affonda nemmeno più in suggestioni, seppur deprecabili, per lo meno letterarie, ma in quelle ben più prosaiche e sciatte della pubblicità.
Il nostro immaginario è figlio del “Mulino Bianco”, del contadino con il cappello di paglia e la spiga in bocca, di orticelli ben curati, delle immagini rassicuranti e placide di vacche al pascolo, di cieli sereni e candide fonti. Supremo potere del marketing. Poi ci troviamo di fronte a silos di stoccaggio, a uomini che stanno sui trattori 12 ore al giorno, a coltivazioni di ortaggi fuori suolo, a stalle intensive con centinaia di capi di bestiame, a grandinate devastanti e a fiumi che straripano, rovinando in pochi minuti tutti gli sforzi profusi nell’arco di una stagione. Irrompe la realtà ed il sogno s’infrange.
L’unica maniera che abbiamo per sanare questa discrepanza, al fine di riequilibrare la nostra visuale sul variegato e complesso mondo dell’agricoltura è calarsi nella sua realtà, facendo parlare coloro che la vivono quotidianamente. In primis gli agricoltori, ma anche i tecnici, gli operatori commerciali e tutta quella schiera di uomini e donne che gravitano attorno al settore primario.
Ecco il perché della nascita della rubrica “Voci dalle campagne”. L’obbiettivo è proprio quello di far conoscere il mondo dell’agricoltura italiana senza giustapporvi sopra il filtro imbellettato delle odierne trasmissioni tv o di ideologie varie. Una finestra aperta per mostrare la varietà dei modelli di conduzione aziendale – dalle piccole aziende, alle più grandi realtà imprenditoriali – il differente approccio alla produzione e alla vendita, cercando al contempo di sviscerare, attraverso le interviste, problemi, prospettive, istanze, idee, proposte che provengano direttamente da quel mondo. Uno spazio utile non solo per far comprendere ad un più vasto pubblico le differenti realtà agricole della penisola, ma anche per aprire – ci auguriamo – confronti con i decisori politici e gli attori istituzionali, troppo spesso alieni o sordi alle istanze del mondo delle campagne.
Un piccolo passo intrapreso verso una conoscenza più approfondita del nostro settore primario, con la speranza di riaprire un proficuo dialogo tra mondo agricolo, società e politica, nel solco dei principi animanti la vita del nostro istituto: il recupero di un ruolo delle funzioni pubbliche nell’economia della nazione e la partecipazione più attiva del mondo produttivo alla vita politica.
Siamo tuttavia convinti che nel mondo globalizzato e sempre più competitivo in cui viviamo, non basti più guardarsi l’ombelico, ma sia assolutamente necessario confrontarsi anche con le realtà estere. Perciò proveremo anche a travalicare i confini d’Italia, usufruendo delle possibilità che ci fornisce la rete, per conoscere meglio agricoltori e operatori del settore primario di altre nazioni. Fedeli al monito che un grande patriota e studioso di questioni agrarie del XIX secolo, il milanese Gaetano Cantoni, pose in chiusura della sua introduzione al primo volume del suo “Trattato teorico-pratico di agricoltura” (1866): «Studiamo seriamente le nostre condizioni e confrontiamole con quelle delle altre nazioni. Ricordiamoci che l’Agricoltura è la prima chiamata a quest’opera di rigenerazione. Non perdiamo il tempo a lodare la produttività del suolo italiano finché, come attualmente succede, l’importazione agricola supera di qualche centinaio di milioni l’esportazione. E abbiate per fermo che il primo capitale per far prosperare un’industria qualunque è l’intelligenza!».
(in foto busto di Gaetano Cantoni)
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