(2. DOTTRINA SOCIALE) PIO XII E LA TEOLOGIA DELLA PARTECIPAZIONE

(2. DOTTRINA SOCIALE) PIO XII E LA TEOLOGIA DELLA PARTECIPAZIONE

Di Carlo Vivaldi-Forti

La dottrina sociale della Chiesa si fonda su pochi ma precisi concetti: l’armonia generale della polis, la giustizia distributiva, il sacro rispetto per la persona umana e per i suoi diritti, la preminenza dell’essere sull’avere, la collaborazione fra le classi, la partecipazione di tutti i cittadini e i lavoratori alle decisioni che li riguardano. E’ proprio quest’ultimo aspetto che vorremmo approfondire. La lettura delle grandi Encicliche sociali, dalla Rerum novarum di Leone XIII alla Laudato sì di Papa Francesco, rappresenta di sicuro il principale strumento di riflessione. Meno nota, invece, è la base teologica su cui si fonda l’intera visione cattolica della convivenza: a tal proposito può essere davvero rivelatrice l’Enciclica Mystici corporis promulgata da Pio XII il 29 giugno 1943.

Talvolta è stato rimproverato a Papa Pacelli di non aver redatto, a differenza di altri Pontefici, un documento solenne dedicato alla dottrina sociale , ma tale appunto è del tutto fuori luogo . A parte, infatti, i numerosi interventi radiofonici e le molte omelie in cui affronta il tema,  la Mystici corporis, pur non trattandolo direttamente, getta in realtà le basi teologiche dei concetti di partecipazione e collaborazione fra le classi. Già il compianto professore Pier Luigi Zampetti, uno dei più illustri politologi italiani, scriveva ne La società partecipativa ( ed. Dino, Roma 2002):

“La partecipazione dell’uomo, che consiste nel proiettare nella storia le sue libere scelte, è la prosecuzione della partecipazione dell’essere, elargita da Dio all’uomo con la Creazione e con la Redenzione. La partecipazione quindi, nella sua origine e nella sua esplicazione, coglie il momento più profondo dell’uomo. Con la partecipazione, che si allarga in tal modo verso l’infinito, l’uomo trova la sua posizione nel mondo e nella vita , ritrova finalmente se stesso come persona. Partecipazione e persona sono interdipendenti. L’uomo si autodetermina solo se è persona”.

A conclusioni analoghe si perviene leggendo l’Enciclica di Pio XII. L’intero ragionamento  del Pontefice si basa sulla visione della Chiesa, ad un tempo come corpo mistico ma anche corpo sociale di Cristo (sua prosecuzione visibile nella storia) di cui Egli  è il Capo, anche se fisicamente rappresentato da Pietro e dai suoi successori. L’idea di fondo è perciò la seguente: il Capo e le membra, queste ultime rappresentate dall’intera organizzazione  ecclesiastica  composta dal clero e dai fedeli, sono chiamati a collaborare  al medesimo scopo, che è la realizzazione  del Regno di Dio, ciascuno però con una posizione originale e diversa rispetto a tutti gli altri, secondo la propria vocazione. Scrive il Papa: “Visto che la Chiesa è un corpo, è necessario che esso sia uno e indiviso, conforme al detto di Paolo: molti siamo un unico corpo in Cristo. Ma il corpo richiede anche moltitudine di membri, i quali siano tra loro connessi in modo da aiutarsi a vicenda. E come nel nostro mortale organismo, quando un membro soffre gli altri si risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé , ma porgono anche aiuto agli altri, offrendosi  scambievolmente collaborazione, sia per un mutuo conforto, sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il corpo. Inoltre, come il corpo deve essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate, così la Chiesa risulta composta da una retta disposizione e coerente unione di membra fra loro diverse”.

L’attenta lettura di questo passaggio ci rivela come il  Pontefice, nel descrivere la composizione del Corpo Mistico, usi parametri che troviamo a fondamento di ogni visione interclassista e collaborativa della società, riconducibili al celebre apologo di Menenio Agrippa  delle braccia e dello stomaco (quello, si narra, che fece desistere la plebe romana dalla secessione del Monte Sacro),  e così pure ci colpisce il ripetuto uso dei sostantivi organi e organismo, del tutto compatibili con il principio organico, che da sempre noi attribuiamo ai criteri di una nuova  rappresentanza politica, fondata sulla presenza diretta delle categorie socio-economiche e culturali nelle istituzioni pubbliche. Ma c’è di più. Come già sottolinea Zampetti, il termine partecipazione ricorre spesso nell’Enciclica, per esempio nella seguente frase: “Dopo la misera caduta di Adamo tutta la stirpe umana, segnata dal peccato, perdette la partecipazione alla natura di Dio. Partecipazione ripristinata da Cristo, con la sua opera di redenzione. Egli  avrebbe potuto elargire direttamente la Grazia  all’umanità, ma volle farlo per mezzo di una comunità visibile , la Chiesa, nella quale gli uomini  si riunissero alla scopo di cooperare tutti con Lui, e per mezzo di essa a comunicare vicendevolmente i divini frutti  della redenzione”.

La dottrina della partecipazione non potrebbe emergere più chiaramente di così. Di questa fa tuttavia parte lo stesso principio d’autorità, smentendo coloro che vedono nella partecipazione una sorta di anarchia  legalizzata: “Che la Chiesa sia un corpo lo bandiscono spesso i Sacri Testi: Cristo , dice l’apostolo Paolo, è il Capo del Corpo della Chiesa. Orbene, se questa è un corpo, è necessario che sia uno e indiviso”. Partecipare tutti al raggiungimento degli obiettivi comuni è dunque sano e virtuoso, a condizione però che ciascuno  si riconosca nelle normative sulla base delle quali il corpo sussiste. Se ciascuno intendesse affermare una propria legge , non soltanto esso andrebbe distrutto, ma si scatenerebbe quella guerra di tutti contro tutti , causata dall’individualismo esasperato, di cui scrive Hobbes.

Il principio di partecipazione non esclude perciò quello di una gerarchia fondata sul merito e sui diversi carismi  di ciascun membro del  corpo, ognuno dei quali è distinto dagli altri, ma tutti sono indispensabili al compimento dell’opera comune, quindi  identici  per dignità, qualunque sia il ruolo svolto nell’organizzazione. Simile uguaglianza di principio ( che ad esempio la Sociocrazia olandese preferisce definire “equivalenza”) la ritroviamo nel corporativismo medioevale, in quello enunciato da Gabriele d’Annunzio nella Carta del Carnaro, come pure nel tentativo, purtroppo fallito, del Presidente de Gaulle d’inserire la partecipazione nella Costituzione della Repubblica francese. Tale modalità di selezione dei ruoli e delle cariche, basata sui carismi personali e non sulla corruttela che circonda spesso le elezioni di massa, è inoltre lo strumento privilegiato per trasformare la lotta di classe in collaborazione. Cristo, sottolinea il Pontefice, riveste la suprema carica di Capo del Corpo della Chiesa non perché eletto da una qualche maggioranza , ma per il Suo essere Uomo-Dio: “Poiché Cristo occupa un posto tanto sublime, a buon diritto Egli solo regge e governa la Chiesa. Infatti, come il Capo è il regale baluardo del Corpo e da esso, perché fornito delle doti migliori, vengono naturalmente dirette tutte le membra, così il Divin Redentore tiene il supremo governo del Cristianesimo: infatti, reggere una società di uomini non vuol dure altro che dirigerli al loro fine con provvidenza, mezzi adeguati e retti principi”.

Molto altro ci sarebbe da aggiungere sulle mirabili e purtroppo poco conosciute tesi della Mystici corporis , ma gli esempi citati sono già sufficienti per parlare di teologia della partecipazione.

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