L’analisi del concetto di partecipazione nella prospettiva giuridica si presta a due distinti ambiti di valutazione egualmente riconducibili al senso rappresentato nella tradizione culturale della destra sociale. Vi è una dimensione giuslavoristica della partecipazione che è alla base della teoria del corporativismo e va oltre gli stretti confini del diritto coinvolgendo l’essenza stessa del fascismo nelle sue caratterizzazioni ideali ed una dimensione pubblicistica, propria del diritto amministrativo che influisce in modo significativo sul rapporto tra cittadino e Stato. L’apparente alterità ontologica fra la partecipazione privatistica e quella pubblicistica si affievolisce fin quasi a sfumare del tutto di fronte alla rilevanza dei concetti di Stato e di libertà nella teoria di Giovanni Gentile.
Se infatti la dottrina politica gentiliana si pone contemporaneamente in antitesi con il materialismo marxista ed il liberalismo di stampo capitalista, appare evidente come nel binomio costituito da Stato e Partecipazione trovi piena attuazione il concetto essenziale ed ineludibile della collaborazione di classe legata ad una libertà del cittadino che si realizza nello Stato. In quest’ottica la partecipazione di tipo privatistico dei lavoratori alla gestione dell’impresa e la partecipazione pubblicistica del privato cittadino interessato all’azione amministrativa della Pubblica Amministrazione si rivelano come due facce della stessa medaglia, come strumenti giuridici che attraverso percorsi normativi diversi giungono allo scopo comune del bene dello Stato e della Nazione. La collaborazione di classe si esalta nel pieno superamento della logica conflittuale marxista che si realizza nel contesto economico e giuslavoristico della partecipazione dei lavoratori agli utili derivanti dall’attività d’impresa.
Tuttavia il senso della collaborazione appartiene anche alla sfera pubblicistica della partecipazione prevista dal diritto amministrativo ed anticipata sul piano delle ragioni ideali dalla teoria gentiliana del rapporto fra cittadino e Stato. Se infatti lo Stato non è una mera realtà autoritativa come disegnata dai regimi comunisti ma un’entità spirituale nella quale si realizza la vera e nobile libertà dell’individuo, lontana dalle degenerazioni egoistiche di stampo liberale, è proprio nel dialogo procedimentale fra privato ed Amministrazione finalizzato al soddisfacimento dell’interesse pubblico che si manifesta ancora una volta il legame imprescindibile fra Stato, Nazione, Lavoro ed Individuo nella libertà.
Lo Stato come espressione del pubblico potere riproduce nell’ambito del diritto amministrativo la sintesi fra contrapposti interessi che è alla base della teoria corporativa: tale affinità emerge in modo ancor più evidente allorquando la dinamica del rapporto giuridico sia complessa e, come tale, caratterizzata dalla contemporanea presenza di interessi confliggenti rispetto al contenuto della decisione amministrativa. Alla base di ambedue gli scenari giuridici si pone quale forza equilibratrice e preminente l’interesse superiore dello Stato che in ambito economico media fra capitale e lavoro ed in ambito giuspubblicistico bilancia ragionevolmente le istanze del pubblico e del privato al fine di scongiurare lo scontro fra autorità e libertà.
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