QUOTA 100, IL PARADOSSO DELLE DICHIARAZIONI DEL PREMIER CONTE

QUOTA 100, IL PARADOSSO DELLE DICHIARAZIONI DEL PREMIER CONTE

Il presidente del consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, ha confermato, nei giorni scorsi, l’intenzione dell’esecutivo di non procedere al rinnovo di Quota 100 alla sua naturale scadenza, prevista per il 31 dicembre 2021. Non propriamente una novità, perché l’ipotesi era già stata paventata dalla stessa ministra del lavoro e delle politiche sociali, Nunzia Catalfo, la quale, infatti, è da tempo, addirittura da febbraio, che ha avviato un tavolo di confronto – sarebbe più esatto dire, due tavoli di confronto – con tutte le sigle sindacali per valutare le possibilità in campo. L’uscita di Conte, pertanto, non sorprende, anche se ha prodotto molto rumore, tanto che qualcuno ha ipotizzato che la dichiarazione su Quota 100 sia servita da arma di distrazione di massa rispetto al caso Pasquale Tridico, il presidente dell’Inps finito nell’occhio del ciclone mediatico per l’aumento del compenso. A sostegno della tesi della inutilità di Quota 100 sono circolati, nelle ore immediatamente successive alla dichiarazione di Conte, diversi studi, tutti tendenti ad evidenziare un punto: a fronte di una ipotesi iniziale di un milione di beneficiari, coloro che effettivamente hanno fatto ricorso allo strumento sono stati all’incirca 200mila, con un risparmio di risorse consistente, nell’ordine di almeno il trenta percento. Il messaggio, neanche troppo velato, è che i lavoratori e le lavoratrici italiani non sono interessati ad andare in pensione a 62 anni di età con 38 anni di contributi, come previsto da Quota 100, preferendo restare in servizio fino a maturare i requisiti previsti dalla legge Fornero.

Solo che le cose non stanno esattamente così e soltanto una lettura superficiale può portare a queste conclusioni. Facciamo un passo indietro. Il Decretone del gennaio del 2019 – che, si ricorda, contiene anche il Reddito di cittadinanza – dà attuazione alla norma contenuta nella legge di bilancio che recupera una flessibilità in uscita significativa, proprio laddove la legge Fornero ha finito per ingessare il sistema, favorendo di converso l’esplosione del fenomeno della disoccupazione giovanile. Nelle prime settimane, è una corsa ad andare in pensione, poi, successivamente, il dato si stabilizza: pure questa non è una sorpresa, poiché all’inizio tendono ad uscire soprattutto coloro che hanno maturato i requisiti prima di gennaio 2019. Vi è un particolare da ricordare in questa storia: l’interessato non è obbligato ad uscire appena matura i requisiti, essendo sufficiente la certificazione del possesso degli stessi ad una determinata data e poi continuare a lavorare, soprattutto se non si hanno particolari problemi di salute e oggettive difficoltà logistiche nel raggiungere il posto di lavoro. Ad un certo punto della nostra storia, però, il Paese si ferma per la pandemia da Covid-19. Accadono due cose a marzo: le aziende – private e pubbliche, scuole comprese – iniziano ad utilizzare lo smart working in maniera diffusa, in molti casi addirittura per la totalità dei dipendenti; anche i patronati ricorrono al lavoro agile, chiudendo le sedi, come pure l’Inps, con gli uffici più impegnati sul versante degli ammortizzatori sociali – la parte assistenziale – che su quello delle pensioni – la parte previdenziale. Così, tutti coloro che hanno raggiunto o stanno per raggiungere i requisiti di Quota 100 si ritrovano a lavorare da casa (almeno fino al 15 ottobre, nella stragrande maggioranza dei casi fino al 31 dicembre, salvo proroghe o rinnovi), non avendo più la necessità di andare in pensione nell’immediato. In conclusione, sotto il profilo statistico, è facilmente ipotizzabile una ripresa delle domande per accedere a Quota 100 nel corso del 2021, soprattutto se il governo non riuscirà a dare sufficienti garanzie su cosa potrà succedere a partire dal 1° gennaio 2022. Il paradosso vero, però, è un altro.

Il premier, sostanzialmente per fare un dispetto ad un suo ex alleato di governo, annuncia il taglio dell’unico strumento che ha ridato flessibilità al sistema previdenziale, senza proporre alternativa alcuna, nel momento in cui aziende e sindacati sono chiamati a gestire un numero impressionante di esuberi, una parte dei quali che pensava e sperare di essere vicino al pensionamento e che, invece, vede allontanarsi l’obiettivo. Un esecutivo lungimirante, piuttosto che annunciare con quindici mesi di anticipo che, dal gennaio del 2022, Quota 100 sarà cancellata, avrebbe dovuto prorogare la sperimentazione anche all’anno successivo, favorendo l’uscita di diverse migliaia di lavoratori e lavoratrici che rientrano, a tutti gli effetti, nelle cosiddette categorie fragili, davanti al rischio Covid-19. 

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