(9. QUALE SOVRANISMO?) PIANTA UN ALBERO, EDUCA UN FIGLIO, SCRIVI UN LIBRO. AL MONDO IDENTITARIO E PATRIOTTICO SERVE UN MODELLO ANTROPOLOGICO E CULTURALE

(9. QUALE SOVRANISMO?) PIANTA UN ALBERO, EDUCA UN FIGLIO, SCRIVI UN LIBRO. AL MONDO IDENTITARIO E PATRIOTTICO SERVE UN MODELLO ANTROPOLOGICO E CULTURALE

Di Daniele Dell’Orco

Le nuove sfide del mondo globale, di cui la pandemia è, per la sua natura totalizzante e “democratica”, la più visibile ma anche l’ultima in ordine di tempo, hanno contribuito a mostrare la necessità di una visione filosofico-politica capace di contrapporsi al globalismo.
Che è effetto, non causa, della globalizzazione. L’ideologia che si cela infatti dietro un sommovimento fisiologico è riuscita a diventare parte integrante della globalizzazione. Come se, ad una più facile, rapida e ormai irreversibile circolazione di uomini e merci, unita all’avvento di tecnologie digitali capaci di interconnettere tutti in qualsiasi momento, non possa prescindere anche una totale distruzione di tutto ciò che è peculiare, tutto ciò che è tradizionale, tutto ciò che è culturale. Un “culturalismo”, lo definirebbe Yukio Mishima, che è appunto per molti versi sinonimo di globalismo e sinonimo di progressismo.

L’argine più doloroso ma anche più efficace che alcune impostazioni statali sono riuscite ad escogitare per evitare la dissoluzione è spesse volte di tipo autoritario. Cina, Russia, Turchia, Iran, sono Paesi i cui governi centrali tengono insieme proponendo ai propri cittadini un “collante” politico-ideologico-religioso che possa recitare tutt’ora il ruolo di guida, da contrapporre appunto al nulla. Una scelta che, a ben guardare, li sta rafforzando come entità politiche, economiche e militari. Non per forza in quest’ordine e non per forza in modo che queste tre sfere coincidano (la Turchia, ad esempio, ha aumentato la politica espansionista ma fronteggia un grave processo di svalutazione della Lira; la Cina dal punto di vista militare insidia il primato degli Stati Uniti ma all’interno del PCC le crepe sono parecchie; l’Iran è coeso dal punto di vista teocratico ma carente negli altri aspetti, e via discorrendo), ma propongono comunque un “modello”. Il “sovranismo”, in Occidente, nasce giustappunto in mancanza di un modello da contrapporre al Moloch globalista. Che è ben organizzato, resistente ed efficace anche e soprattutto poiché è riuscito a rivendicare da subito il primato sulla globalizzazione mentre il mondo liberal-democratico tentennava.

Il sovranismo in questo senso nasce tardi, con un peccato originale che non può che essere la perpetua condanna a dover fare retroguardia. Eloquente in questo senso la straordinaria capacità delle istanze progressiste di essere promosse con costanza in ogni nuova situazione proposta dall’agenda politica ed economica mondiale.


C’è la crisi economica? La ricetta resta comunque: “cittadinanza breve”, “ius soli”, “teoria gender”, “abbattimento dei confini”. C’è la pandemia? La ricetta resta comunque: “cittadinanza breve”, “ius soli”, “teoria gender”, “abbattimento dei confini”. C’è la crisi del precariato? La ricetta resta comunque: “cittadinanza breve”, “ius soli”, “teoria gender”, “abbattimento dei confini”. E per quanto assurdo possa sembrare, battendo il ferro in modo sistemico e scientifico, un passo alla volta si procede nella direzione che il progressismo sogna di perseguire, persino arrivando a creare scenari che appena 10 anni fa sarebbero parsi pittoreschi.

Il sovranismo è già compromesso?

Il sovranismo è una reazione, dunque. Ma non una ricetta. È un approccio “istintivo”, ma non intellettuale. È un contenitore ma privo di contenuto. Il contenitore, difatti, è stato riempito da chi sovranista non è, tracciando un filo conduttore che collega il sovranismo al becero, il sovranismo all’inefficace, il sovranismo all’ignorante, il sovranismo all’inconcludente, il sovranismo al retrogrado.
La sfida allora, in termini dialettici, non solo sembra persa ma non si è mai davvero combattuta. I vari esempi “vincenti” di sovranismo sparsi in giro per il mondo, che invece sono assolutamente diversi tra loro e in alcuni casi persino da respingere, altro non sono che episodi. Episodi destinati ad essere assorbiti dalle contingenze e sopraffatti dall’organizzazione meticolosa e adamantina del globalismo. Ma episodi comunque capaci di aumentare il rammarico per una insofferenza popolare che sarebbe potuta essere intercettata in altri modi, con altri mezzi, attraverso altre narrazioni ben più minacciose per l’ordine costituito.

Persino il sovranismo come termine, potrebbe dunque, a rigor di logica, essere messo in soffitta poiché “compromesso”. Al mondo identitario e patriottico, o comunque anti-globalista, serve un modello che sia antropologico e culturale, che possa essere incarnato da istanze e rappresentanti con i piedi saldi nel presente e capaci di anticipare il futuro, che sia “sottile” nella forma ma incisivo nella sostanza, capace dunque di raggiungere il grande pubblico ma pure gli interlocutori “di peso”, ma soprattutto capace di resistere alla prova del tempo e andare oltre l’odiernità.
Allo stato attuale delle cose, purtroppo o per fortuna, il percorso di crescita e di affermazione identitario non può che essere generazionale, non certo immediato (parentesi a parte, che infatti, proprio perché incidentali, non vengono quasi mai sfruttate a dovere). Serve maturità, pazienza, spirito di sacrificio. Umiltà, finanche, nel saper accettare le sconfitte di oggi e comprendere gli errori. Per quanto “acchiappalike” possa essere, ululare alla Luna è un metodo perdente.
Parafrasando Bacone, invece, potremmo dire che la vita di identitario non possa dirsi pienamente tale se questi non pianta un albero, non educa un figlio e non scrive un libro.

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