LA GUERRA DELL’ENERGIA

LA GUERRA DELL’ENERGIA

Pubblichiamo l’editoriale di Francesco Carlesi al quinto numero di “Partecipazione” (Eclettica edizioni) presentato presso la Camera dei deputati il 7 febbraio con gli interventi degli onorevoli Francesco Filini e Alessandro Amorese, di professori e di alcuni dei massimi esperti di nucleare, sostenibilità ed energia a livello nazionale

La guerra dell’energia è il titolo di un volume di tre anni fa di Gian Piero Joime, il quale prefigurava lucidamente le tensioni che si sarebbero scatenate a livello internazionale sui temi delle materie prime, delle tecnologie e dell’approvvigionamento energetico. L’arena internazionale fatta di grandi multinazionali e potenze in ascesa (si pensi ai tentativi, per quanto colmi di criticità e dissidi interni, animati da Cina, Russia, Turchia, paesi africani e mediorientali per “costruire” spazi alternativi all’egemonia statunitense e all’Occidente) rende sempre più necessario progettare un percorso che porti alla massimizzazione dell’autonomia energetica nazionale, sulla scia dell’esempio di uomini come Felice Ippolito ed Enrico Mattei, ferocemente ostili alla visione “turistica” dell’Italia, la quale avrebbe dovuto essere al contrario una fucina di industrie e innovazioni. Nel secondo dopoguerra, proprio Ippolito e  Mattei fecero della nostra Nazione un esempio economico-sociale di respiro internazionale, con il professore napoletano capace di rendere la penisola il terzo produttore mondiale di energia nucleare, mentre Mattei con l’Eni garantì lo sviluppo interno e una strategia che dall’Africa al Medio Oriente rese l’Italia un vero e proprio faro per molti paesi, con accordi di cui beneficiamo ancora oggi. Si capisce dunque perché dare forma concreta al Piano Mattei lanciato dall’attuale Governo sarà vitale per avere un futuro degno e non da “attori passivi” dei cambiamenti geopolitici, riprendendo il respiro mediterraneo, lo spirito, la lotta contro ogni “complesso d’inferiorità” italiano e il genio visionario dell’imprenditore di Matelica.

Mattei e Olivetti. Le vere rivoluzioni ecologiche e digitali

In questi tempi, la gestione delle imprese sta diventando terreno quasi esclusivo di parole come “diritti, inclusività, parità, uguaglianza, solidarietà, ambiente, sostenibilità”, sempre più universali e astratte, molto spesso una mera patina in un contesto dominato da multinazionali aggressive e da un’antropologia individualista e “mercatista” che non sempre si integra con i concetti di Comunità e partecipazione attiva dei lavoratori. Per l’Italia, non ci sarebbe in questo senso nessun bisogno di sposare dogmi o parole d’ordine “globali”, perché la nostra Nazione ha nella sua storia una tradizione capace di dare vita e forma a questi concetti, dall’Economia civile del ‘700 fino all’esempio dello stesso Mattei. La capacità di creare sviluppo per i territori in cui si opera fu la prerogativa dell’Eni, che accompagnò interi paesi sulla strada dell’innovazione e della crescita e promosse una visione comunitaria dell’economia italiana contro le indicazioni dei potentati stranieri e dei “tecnici” interni. Ecco la vera sostenibilità e una feconda collaborazione. Se parliamo poi di “transizioni ecologiche e digiti tali” e della capacità di essere “inclusivi e sostenibili”, ecco che emerge l’esempio di Adriano Olivetti, capace negli anni ‘50 di far fiorire la cultura, la bellezza, la spiritualità di pari passo con l’elevazione del lavoro. A Ivrea si diede vita a uno sforzo di innovazione tecnologica (il primo computer da tavolo della storia per dirne solo una) in armonia col territorio e in anticipo con i tempi, sempre nel segno non solo del profitto ma della Comunità. Una Comunità innervata da temi quali la partecipazione dei lavoratori e dei corpi intermedi, la funzione sociale della proprietà privata, la disciplina pubblica del credito: spunti e indicazioni sancite in Costituzione, figlie del corporativismo e di un “lungo filo rosso” di pensiero italiano che annovera San Benedetto, Genovesi, Mazzini e Gentile tra i tanti. Invece di inseguire gli schemi sbandierati a livello internazionale, dunque, basterebbe ripartire da qui. Lo sforzo non è privo di rischi, se pensiamo alla fine che hanno fatto Mattei e Olivetti e alle indagini che colpirono Ippolito (e al contempo anche Domenico Marotta e il suo Istituto Superiore di Sanità all’avanguardia nel campo della ricerca medica). La realtà internazionale, come scritto in apertura, è spesso un’arena dove si scontrano interessi, strategie e vere e proprie guerre economiche spietate. In Italia, poi, ha spesso agito una classe politica e intellettuale amante dei tecnici e del “vincolo esterno”, sempre pronta a colpire e accusare tanti protagonisti quali i nomi sopra ricordati. Temi costantemente ricordati da una rivista importante quale Limes, che quest’anno compie trent’anni.

L’identità italiana in Europa

Riscoprire e ravvivare la tradizione economica e sociale tricolore non significa certo isolamento o rotture improvvise di accordi di lunga data, ma stare nei consessi internazionali con identità e strategia. Tanti progetti e partenariati a livello europeo possono e devono essere valorizzati, anche lo stesso Pnrr andrà sfruttato al massimo (e qui sarebbe vitale uno sforzo in campo di formazione per la Pubblica Amministrazione senza il quale getteremo alle ortiche un’altra occasione), ma senza mai perdere di vista la realtà. Nel primo libro dell’Istituto, L’Italia del Futuro (2020), Giulio Tremonti ha scritto che troppo spesso l’Italia ha diluito la sua identità e il suo interesse nazionale nell’Ue, al contrario di molti altri attori che ne hanno approfittato: «quelli che ci hanno guadagnato sono stati i nostri partner europei. Ci hanno guadagnato facendoci pagare ì loro conti, acquisendo le nostre imprese e puntando al nostro risparmio, spiazzandoci politicamente e da ultimo, anche per questo, oltre che per la emergente demenza della politica italiana, affidandoci con benevolente gratitudine la missione dì gestire le migrazioni dall’Africa verso l’Europa». L’immigrazione, insieme alla demografia, costituisce non a caso altro dossier centrale insieme all’economia. Ancora, già nei primissimi anni ’90 Gaetano Rasi aveva ammonito: «Credo si debba uscire dall’ingenua suggestione che  inizi un confronto fra le singole imprese europee e le singole utilità individuali in un ambito territorialmente indifferenziato, quale quello della Comunità economica europea. In realtà il confronto continuerà ad essere almeno per alcuni lustri, fra sistemi economici nazionali. Senza l’efficienza e la funzionalità dei quali nessun progresso sarà possibile per l’elevazione paritaria europea, di popolazioni e territori, di imprese e di uomini. Diversamente si realizzerebbe l’Europa degli squilibri interni e quindi un’entità economicamente conflittuale, socialmente ingiusta e politicamente debole». Perché, come ammoniva uno dei padri della sociologia italiana, Camillo Pellizzi «l’europeismo non esclude, anzi rende più urgente e grave, l’istanza del mito nazionale. Si può fare l’Europa integrando fra loro le nazioni (anche, per estrema ipotesi, in un vincolo federale); non la si farà mai integrando delle espressioni geografiche. In ogni caso, chi non si presenta come nazione, e cioè con una propria salda mitologia nazionale unitaria dietro le spalle, verrà trattato sempre, dagli altri, come un parente povero o un peso morto».

Una rivoluzione energetica tricolore

Poste queste premesse, ecco che il tema dell’energia si profila come vitale. Il presente numero, curato da Joime, si concentra proprio sulle sfide e le complessità nazionali e internazionali in merito attraverso il contributo di manager, professionisti e professori di altissimo profilo. Le innovazioni, le transizioni, i condizionamenti interni ed esterni, il nucleare sono tutti temi esplorati senza paraocchi ma con piglio appassionato e scientifico allo stesso tempo, facendo emergere analisi e spunti da cui non si potrà assolutamente prescindere nel prossimo futuro. Una visione “sviluppista” e favorevole al nucleare caratterizzò anche l’Istituto di Studi Corporativi di Rasi negli anni ’70 e ’80, nella convinzione di “cavalcare” le innovazioni e puntare alla massima autonomia energetica possibile attraverso un mix di fonti, che oggi si potrebbe configurare in primis come rinnovabili-nucleare. A questo proposito si trovano in antologia proprio due contributi su programmazione economica e diversificazione delle fonti dell’ex presidente dell’Isc, i quali arricchiscono un numero che, oltre al focus, presenta molti saggi importanti sulla partecipazione (Scansani, Bozzi Sentieri, Vivaldi-Forti) fino a riflessioni su lavoro, attualità e diritto, passando per un affresco fondamentale e suggestivo sul “senso dello Stato” firmato da Spartaco Pupo.

Lo Stato e la partecipazione[1] saranno due parole chiave se si vorrà riaffermare il ruolo dell’Italia nel mondo e intraprendere i percorsi energetici nazionali e innovativi indicati. Ci vorrà ovviamente tempo, sacrificio e studio. Soprattutto, il rilancio economico tricolore implica e implicherà una cosa: responsabilità. Le classi dirigenti non dovranno avere paura di dire la verità e prospettare sacrifici; ricondurre la politica e lo Stato alla nobiltà e all’autorità che gli competono contro spinte centripete e centrifughe sempre più evidenti; amare la storia, le radici, la cultura di questa Nazione per richiamare i cittadini ad un «nuovo Risorgimento» che deve essere costruito giorno per giorno. Perché ogni risorgimento è prima di tutto una conquista su se stessi. Questi fattori, ribadiamo, non significano certo chiusura cieca e sciovinista, ma obiettivo del massimo sviluppo delle proprie potenzialità economiche e sociali e riscoperta della fierezza nazionale, sulla quale poi impostare senza pregiudizi alleanze e accordi di carattere internazionale. Che sono sempre esistiti e continueranno a farlo, ma che allo stesso tempo possono sempre essere rivisti a seconda degli scenari e dell’amor di Patria. Quell’amore che portò Leopardi a scrivere che «la propria nazione con i suoi confini segnati dalla natura, è la società che ci conviene. E conchiudo che senza amor nazionale non si dà virtù grande».


[1] Sul tema, sta facendo molto discutere una proposta di legge di iniziativa popolare, interessante e molto elaborata, della CISL. Nel prossimo numero ci prefiggiamo di farne un’analisi dettagliata da porre in relazione alla proposta dell’Istituto pubblicata sul primo numero e recentemente sposata dall’UGL e dal segretario Francesco Paolo Capone, il quale ha promosso due eventi (l’11 maggio e il 10 ottobre) in merito con interventi di Sabino Cassese, Mimmo Carrieri, Luciano Pero, Maurizio Castro e Mario Bozzi Sentieri, che di questo parla nel suo articolo del presente numero. In data 01/02/2024 l’Istituto è intervenuto nella discussione politica ufficiale sulla partecipazione in Audizione presso la Commissione Lavoro su invito dell’Ugl. 

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