LA SFIDA DEMOGRAFICA. QUALCOSA SI MUOVE?

LA SFIDA DEMOGRAFICA. QUALCOSA SI MUOVE?

di Mario Bozzi Sentieri

Tra le  sfide dell’Italia di domani che Roberto Arditi, attuale direttore editoriale di “Formiche”, focalizza nel suo ultimo libro “Rompere l’assedio”, non a caso uno spazio significativo è dedicato al cosiddetto “ricambio demografico”.  Gli italiani – dati alla mano –  diminuiscono di anno in anno. La popolazione residente è in calo costante. E nel 2023 – anno in cui si sono registrate soltanto 379mila nascita – la popolazione è scesa sotto i 59 milioni di abitanti. L’ inverno demografico è all’ordine del giorno del nostro Paese, certamente non da oggi, ma con un’accelerazione che, anno dopo anno, aumenta d’intensità e rende la questione strategica, alla stregua – secondo l’autore di “Rompere l’assedio” –  dell’ immigrazione, del depauperamento energetico, della costruzione di una difesa comune, delle  nuove istituzioni politiche, dello spazio e della tecnologia. Rispetto alla sfida demografica “rimane lampante – puntualizza Arditi  – come un pacchetto di aiuti è strumento inevitabile, persino doveroso, per ogni governo, indipendentemente dall’appartenenza politica di chi è al potere”.

Come muoversi allora ed  in quale direzione ? La leva fiscale può essere un passaggio significativo. È il progetto al quale starebbe peraltro lavorando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e ripreso, alcuni giorni fa, in un articolo de “Il Foglio”.  

La visione di fondo è cambiare le regole delle detrazioni fiscali e, a prescindere dai redditi, dare la possibilità a chi ha più figli a carico di pagare meno tasse, anche a costo di eliminare o rivedere alcune detrazioni fiscali alle persone che non hanno figli per aumentarle invece a chi fa  figli. Il dato di fondo è che  se l’Italia non interverrà  per invertire la rotta  e mostrare il senso dell’emergenza, significherà che il nostro Paese, come detto giorni fa da Mario Draghi parlando dell’Europa, si arrenderà, per non voler cambiare, a “una lenta agonia”.

Non a caso lo stesso Draghi ha posto l’accento sul dramma della denatalità, anche in chiave competitiva: l’Ue, ha detto l’ex premier, “sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta da un aumento della popolazione, e si prevede che entro il 2040 la forza lavoro si ridurrà di quasi due milioni di lavoratori l’anno”.

L’occasione della rivoluzione sulle detrazioni fiscali per le famiglie che fanno figli (rivoluzione che ovviamente non sarebbe retroattiva) potrebbe essere un modo per rispondere all’attuale  emergenza demografica  e per dare seguito ad  una promessa elettorale inserita nel capitolo numero sei del programma del 2022: “Piano di sostegno alla natalità”.

Si tratta però di portare anche al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica una delle grandi questioni politico-economico-sociali che – facciamo nostro l’invito di Arditi – impatteranno sull’Italia e l’Europa nei prossimi anni.

Per invertire la rotta non bastano “solo” buone leggi e sostegni economici alle famiglie, azioni – sia chiaro – necessarie ed encomiabili. Il tema è anche culturale, antropologico, di modelli e di comportamenti.  Pesa sul calo demografico  un certo complesso ideologico, determinato sia dal radicalismo d’impronta maltusiana, che, a partire dagli Anni Sessanta, ha condizionato prima  il mondo accademico poi il costume collettivo, individuando nell’ansia della sovrappopolazione della terra una delle grandi emergenze del mondo moderno.

Da qui una lenta, ma costante, deriva, fatta coincidere con le difficoltà occupazionali dei giovani, con le penalizzazioni delle donne (non solo con un rallentamento della carriera ma persino con la fuoriuscita dal mercato del lavoro), con  il venire meno di reti familiari di supporto (in grado di permettere la conciliazione tra gli  impegni della maternità e quelli lavorativi), con la difficoltà da parte dei  giovani di accedere a soluzioni abitative dignitose e a costi contenuti. Su tutto la mancanza di fiducia nel futuro e la scarsa voglia di rischiare,  uscendo dalla quotidianità, per poter decidere di mettere al mondo un figlio.

Da qui – lo ribadiamo – la necessità di una vera e propria rivoluzione culturale che ponga al centro  “una revisione radicale delle priorità”, che riporti al centro famiglia e procreazione, con un’ampia “presa di coscienza” sull’argomento ed una conseguente assunzione di responsabilità dell’intera società nazionale, a tutti i livelli, dalla politica, alla cultura, all’economia.

Il quadro non è ancora irreparabilmente perduto. Nel Paese è ancora forte il desiderio di famiglia e di maternità. Ma è un dato di fatto che siano molti, troppi, i fattori di ordine sociale e culturale che frustrano tale desiderio, lo depotenziano, lo riducono nell’ambito delle dispute morali o “di fede”.

Come evidenziano certi parametri il problema riguarda invece la stessa tenuta del nostro sistema economico e sociale, la bontà dei nostri bilanci, quello pubblico e quello delle famiglie, la possibilità  di affrontare e reggere le sfide future.

Più che un costo i figli vanno insomma visti come una grande risorsa, spirituale e materiale, su cui credere ed investire. Pena la frammentazione sociale, l’indebolimento delle nostre possibilità di vita e di crescita, il lento tramonto del nostro essere nazione. Di questo c’è necessità,  di discutere e di “fare notizia”  oltre che ovviamente prendere iniziative conseguenti. Su questo, anche su questo,  si misura una “grande Politica”, capace di prefigurare il futuro e di rendere partecipi gli italiani a questa sfida.

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