ECONOMIA E POLITICA. LA NECESSITÀ DEL RUOLO DELLO STATO

ECONOMIA E POLITICA. LA NECESSITÀ DEL RUOLO DELLO STATO

Viviamo un’era di grandi cambiamenti e di spinte contrastanti: da una parte ci sono le Big Tech, sempre più aziende-stato, con fatturati che superano il PIL di intere nazioni. Dall’altra vi è un ritorno del decisore politico, dell’intervento statale, del ruolo degli enti pubblici, dinanzi a una pandemia che ha messo in discussione gli ultimi 40 anni di liberalismo, declinato in maniera diversa. 

Credo che nessuno qui rimpianga il pomodoro o il panettone di Stato, retaggio di un’epoca decadente e corrotta, che ha messo in crisi il ruolo dello Stato come necessario attore nel mondo dell’economia e ha aperto la strada a derive neoliberiste che hanno indubbiamente ridotto il ruolo del nostro Paese nel contesto europeo e mondiale. E forse non è stata un’eterogenesi dei fini, ma un fine ben individuato e perseguito.  

Nonostante i progressi della tecnica, ci sono ancora degli ambiti dove il ruolo dello stato è necessario. Senza scomodare illustri autori del passato, mi piace citare un pensatore conservatore ma irregolare come Arthur Brooks, che richiama la necessità del ruolo dello stato, perché non sempre il libero mercato arriva. È curioso che la sinistra, che per qualche decennio ha creduto al mito ateo dello stato onnipotente, onnisciente e onnipresente, ha poi capovolto il dogma, sempre in ossequio a un’impostazione ateista, in favore del mercato onnipotente, onnisciente e onnipresente. Entrambe le rappresentazioni erano teoriche, entrambe sono fallite. È il solito vizio degli intellettuali teorici, che immaginano un mondo che non conoscono, e puntualmente fanno disastri, come ammoniva Georges Sorel. 

L’esperienza ci ha invece insegnato che il ruolo dello Stato è propedeutico alla creazione di un sistema di forze produttive forti, capace di fare rete, di fare “sistema” e di promuovere gli interessi nazionali in Patria e specialmente all’estero, dove senza un “sistema Italia” non si va molto lontano. Oggi noi abbiamo un’ircocervo, contraddistinto da un sistema industriale alla mercè dei predatori stranieri e grossi campioni nazionali che di fatto si sostituiscono allo Stato nei contesti internazionali. Spesso con successo, sempre con maggior fatica dei nostri rivali europei e internazionali. Purtroppo abbiamo un sistema istituzionali molto debole, incapace strutturalmente di immaginare una strategia e di perseguirla. Dal 1982 a oggi, la Germania ha avuto tre cancellieri. Noi quasi 30 governi diversi. Nel momento in cui il potere politico è debole, ha il breve respiro, è precario e conta sempre meno – a causa della devoluzione dei poteri verso l’alto (Bruxelles) e verso il basso (le Regioni), in un sistema “country crusher” – il mostro burocratico prende il sopravvento e il “fare” viene sostituito dal verbo “stare”. 

E invece abbiamo bisogno non solo di uno Stato regolatore, con poche regole certe, chiare e preferibilmente applicate con rigore, ma anche di uno Stato che sappia essere attore in settori dove il libero mercato non esiste, penso al settore della difesa del quale mi occupo da anni, dell’energia, dell’innovazione tecnologica e anche – come abbiamo scoperto – della salute e della medicina. Tutto può essere utilizzato strumentalmente per perseguire i fini politici di uno stato, pensiamo a un app come TikTok, a un virus come il Covid, a guerre locali per interessi energetici (la Libia) e in questi contesti non ci si può affidare a CEO privati. Serve lo Stato. Mi colpì molto quando nel momento più difficile delle trattative sul Recovery fund, mentre in Italia vi erano liti tra i ministri e gli alti papaveri del MEF, in Germania il Cancelliere era in riunione con i CEO dei più grandi gruppi industriali tedeschi. Lo Stato forte e i grandi gruppi industriali privati. Due cose che ormai mancano nel nostro paese e forse non a caso. Simul stabunt, simul cadent.

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