di Mario Bozzi Sentieri
Ad una settimana dalla convocazione, da parte del presidente della Camera, dei grandi elettori, entra nel vivo la “corsa al Quirinale” e l’impressione più immediata è di trovarsi di fronte all’ennesimo “teatrino” di una politica ormai svuotata di significati e di ragioni fondanti. A cominciare da quella “sovranità” che si vuole a base dei principi costituzionali della Repubblica italiana e che formalmente (art. 1) “appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
“Democrazia parlamentare” ovvero “parlamentarismo dei partiti”, oggi l’Italia paga il venire meno dei meccanismi di “intermediazione” politica, costruiti a partire dal 1945. I partiti contano sempre meno, anche nella fiducia dei cittadini. Intanto si naviga a vista senza rotte chiare. E’ quel che accade in questi giorni anche rispetto all’elezione della più alta carica dello Stato. Messe da parte le “appartenenze” politiche, gli stessi termini del confronto hanno un taglio calcistico, da “bar dello sport”.
C’è chi fa pressing (FdI e la Lega su Silvio Berlusconi). C’è chi si prepara ad entrare in campo nel secondo tempo (Gianni Letta). C’è il “catenaccio” di una parte della sinistra (per “blindare” Mario Draghi a Palazzo Chigi). C’è l’assist di Stefano Bonaccini, uno dei leader della corrente Pd che fa capo al ministro Lorenzo Guerini, a Enrico Letta, impegnato a tenere invece Draghi in corsa. E poi c’è il jolly della panchina, con Sergio Mattarella, pronto a scendere nuovamente in campo, malgrado abbia più volte dichiarato di non volere fare il bis al Quirinale.
Dietro questo agitarsi di formule e di alleanze, sempre presunte, ad emergere è la pochezza di un confronto politico che stenta a darsi una strategia chiara e sostanziale. Il risultato è che il “popolo sovrano” è altrove: assente, distratto, incapace di incidere minimamente sulle scelte, peraltro delegate ad un Parlamento, eletto nel 2018, che non corrisponde più agli orientamenti dell’opinione pubblica.
Al di là dei tatticismi, delle dispute filosofiche, delle giuste critiche al “sistema dei partiti”, della deriva antipolitica, questo rimane il vero problema, insieme al reale coinvolgimento del “popolo sovrano” nella scelta di colui che, come Capo dello Stato, dovrebbe rappresentare l’unità nazionale: scelta complicata visti i tortuosi percorsi che stanno portando alle votazioni per il Colle e al tentativo, da parte del Pd e dei Cinque Stelle, di garantire la continuità dell’attività di governo e la conclusione della legislatura nei tempi ordinari.
Nel frattempo il “popolo”, nel cui nome si dice di operare, è “altrove”, lontano; non partecipa e non si sente rappresentato; non vive la politica, la subisce. Eppure il XXIV Rapporto gli italiani e lo Stato (Rapporto annuale sugli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle istituzioni e della politica, realizzato su incarico del Gruppo L’Espresso), la volontà partecipativa sembra chiara: “Andare a votare per il Capo dello Stato: quasi tre italiani su quattro vorrebbero farlo, ed è un atteggiamento trasversale rispetto agli orientamenti politici”.
Qualcuno vuole farsi carico di questa volontà ?
Il resto è puro chiacchiericcio, buono per animare un confronto politico sempre più asfittico e lontano dai reali interessi della gente. Anche quelli di vedere finalmente rappresentata la propria volontà e di potere scegliere, in modo trasparente, la massima carica dello Stato.
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