Di Mario Bozzi Sentieri
In questi anni confusi e di “passaggio”, viviamo di anniversari, di date-simbolo con cui confrontarci. Lo ieri e l’oggi si intersecano, cercando ragioni che, guardando al passato, parlano all’attualità. Stupisce allora – considerato il valore simbolico della data – il disinteresse dei mass media per i 130 anni della “Rerum Novarum”, l’enciclica, emanata da Papa Leone XIII, il 15 maggio 1891, che inaugurò la moderna Dottrina Sociale della Chiesa, offrendo non pochi spunti ed orientamenti al più ampio mondo della cultura sociale post-ottocentesca, sul ruolo del mondo del lavoro nella società industriale e sulle correlate condizioni dei lavoratori.
La “Rerum Novarum” nasce da un complesso lavorio culturale, che vide impegnati ecclesiastici, intellettuali, imprenditori cattolici. Tra questi monsignor Wilhelm E. von Ketteler, vescovo di Magonza, René de La Tour du pin, marchese de la Charce, teorico della restaurazione monarchica e corporativa, l’Unione di Friburgo, sodalizio costituito da sociologi cristiani di vari Paesi, il gesuita Carlo Maria Curci, Padre Matteo Liberatore, fondatore della “Civiltà Cattolica”, il Vescovo Geremia Bonomelli.
La struttura dell’enciclica si può definire “didascalica”: dopo una sintetica introduzione dedicata alla “questione operaia” e alle misere condizioni in cui versano i “proletari”, ormai soli ed indifesi, dopo la soppressione delle corporazioni, “… in balìa della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza”, il Pontefice denuncia il “falso rimedio” che è il socialismo, nocivo nelle sue conseguenze, ingiusto nella sostanza perché disconosce la proprietà privata, essenziale alla natura umana, e perché imposta in maniera errata i rapporti fra lo Stato, la famiglia e i beni. Il “vero rimedio”, titolo della seconda parte, viene individuato nelle “relazioni tra le classi sociali” e quindi negli scambievoli obblighi di giustizia tra i ricchi ed i poveri, i capitalisti ed i lavoratori.
Strumento essenziale per ricostruire la coesione sociale e la collaborazione tra le classi sono le associazioni o corporazioni operaie, nuovamente tutelate dallo Stato, ordinate e governate “… in modo da somministrare i mezzi più adatti ed efficaci al conseguimento del fine, il quale consiste in questo, che ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico, economico, morale. E’ evidente poi, che conviene aver di mira, come scopo speciale, il perfezionamento religioso e morale, e che a questo perfezionamento si deve indirizzare tutta la disciplina sociale, altrimenti tali associazioni degenerano facilmente in altra natura, né si mantengono superiori a quelle in cui della religione non si tiene conto alcuno”.
La “Rerum novarum”è l’ atto costitutivo della nuova Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica. Superata, ma non esclusa, la dimensione caritatevole, il mondo cattolico accetta la sfida della modernità, individuandone i limiti, le storture, le debolezze strutturali, secondo una logica ricostruttiva. Centrale è l’idea corporativa, ritrovata a partire dall’esperienza medioevale, con una funzione politica attribuita al pontificato e l’articolazione gerarchica dei poteri su base federalistica, ivi compresa la rappresentanza organica dei ceti produttivi.
Non a caso l’enciclica fu oggetto delle attenzioni e delle critiche della stampa liberale e socialista. La prima denunciò le ambiguità della “Rerum Novarum”, accusata di essere accondiscendente verso i socialisti in tema di giusta “mercede” dell’operaio ed ambigua rispetto all’idea che la proprietà è “figlia del lavoro” (“L’Enciclica sulla questione operaia”, in “La Tribuna”, 25 maggio 1891). Il mondo socialista, per voce del suo leader, Filippo Turati, espresse la sua “delusione” per il “preteso socialismo papale”, accusando la Chiesa di offrire il suo aiuto allo Stato liberale per difendere l’ordine sociale dall’avanzante marea socialista. “E’ impossibile – scrisse ancora Turati (“Postilla”, in “Critica sociale”, 31 maggio 1891) – immaginare cosa più pretenziosamente vuota, più nulla e più inconcludente di quella non mai finita dissertazione, di quel mare di parole e di frasi, in cui la Sua sedicente Santità non isdegna di stemperare e diguazzare i tritumi delle idee più rancide, più sciocche e confuse che si ripetono contro il socialismo”.
Sarà poi Giuseppe Toniolo, docente universitario e militante cattolico, a dare una più compiuta articolazione scientifica alle linee dottrinarie tracciate da Leone XIII, in grado, partendo dall’esperienza medioevale, di immaginare un processo di crescita dell’intera società, attraverso l’azione individuale e dell’associazionismo, realizzando una “ricomposizione giuridica corporativa” della società stessa.
Il tempo trascorso, tra i più tumultuosi e complessi nella storia umana, ci riconsegna incorrotta, nelle sue linee di fondo, l’enciclica dedicata alle “cose nuove”, non a caso ricordata – di anniversario in anniversario – dai diversi pontefici succedutisi al soglio di Pietro.
In occasione del centenario della “Rerum Novarum” Giovanni Paolo II, con la “Centesimus Annus” (1 maggio 1991) ammonì che: “Si può giustamente parlare di lotta contro una sistema economico inteso come metodo che assicura l’assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e delle terra, rispetto alla libera soggettività del lavoro dell’uomo. A questa lotta contro un tale sistema non si pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di Stato, ma una società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società”. Su questi crinali si gioca ancora la partita sociale, segno dell’importanza di quell’enciclica, voluta, 130 anni fa, da Papa Leone XIII ed oggi sottovalutata dai più, anche dal mondo cattolico che dovrebbe rivendicarla con orgoglio.
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