Di Ettore Rivabella
Nel primo semestre dell’anno in corso, ad una analisi superficiale, il mercato del lavoro in Italia, e già il termine “mercato” dovrebbe farci inorridire, perché il “lavoro” non è “merce”, risulterebbe in ottima salute con un incremento degli occupati a tempo indeterminato e degli autonomi a fronte di una riduzione marginale dei dipendenti a termine. I dati confermano poi una diminuzione dei disoccupati e degli inattivi, tuttavia il terzo trimestre non si presenta altrettanto positivo e le previsioni appaiono incerte o in lieve controtendenza. Resta il fatto che il tasso di disoccupazione dovrebbe comunque assestarsi ben sotto l’8 % e il tasso di occupazione restare ben al di sopra del 63.5 % del 2022, che, tra l’altro, aveva finalmente superato il livello pre Covid del 2019. Queste cifre non evidenziano però i veri problemi del “lavoro” in Italia, che è purtroppo caratterizzato da un lavoro “povero” e con bassa qualità di occupazione. Infatti oltre a forme di assunzione caratterizzate da precarietà e retribuzioni non in linea con i CCNL di riferimento, ma nella fattispecie non applicabili, quali i contratti a progetto, che non hanno la caratteristica della subordinazione o i tirocini o i contratti intermittenti o le prestazioni occasionali, anche le posizioni a tempo indeterminato sono prevalentemente part-time. Infatti il contratto di lavoro a tempo parziale orizzontale, verticale e misto ha, da tempo, perso le sue caratteristiche sociali di equilibratore tra le esigenze aziendali e familiari ed ha assunto tutte le caratteristiche finalizzate ad ottimizzare gli aspetti funzionali agli interessi e all’organizzazione dell’azienda. Si evidenzia inoltre una netta distanza tra il sistema delle imprese e i soggetti che dovrebbero favorire l’incrocio domanda-offerta del lavoro. In questo ambito il Segretario Generale della UGL, Paolo Capone, afferma che “Risulta fondamentale puntare sulla formazione dei lavoratori e rafforzare la partnership fra pubblico e privato per intercettare la domanda di nuove professioni. Il Pnrr è un’occasione storica per accompagnare i processi in corso, a partire da fenomeni come la digitalizzazione e la transizione energetica, che stanno generando un radicale mutamento di paradigma nel mondo del lavoro”.
Quanto sopra evidenzia come la polemica sul “Salario minimo” sia del tutto strumentale . Infatti questo risponde ad una logica di tutela oggettiva nelle nazioni ad economia liberale e liberista classica ove la struttura del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro è debole o largamente inesistente. In Italia, dove la copertura della contrattazione collettiva è ai livelli massimi, il rischio concreto è proprio quello di destrutturare l’impianto contrattuale. Il CCNL infatti non si limita alla sola retribuzione, ma disciplina aspetti normativi di assoluta importanza, quali l’orario di lavoro, la sua organizzazione, l’eventuale sistema di welfare, la previdenza complementare, la progressione di carriera e gli aggiornamenti professionali, riduce i margini di precarietà e valorizza le competenze. Il “Salario minimo” rischierebbe, in buona fine, di portare ad un Indebolimento della posizione dei lavoratori, a vantaggio di quelle aziende che concorrono esclusivamente agendo sulla leva del costo del lavoro. Paradossalmente, esiste la possibilità di alimentare ciò che, in linea teorica, si vorrebbe contrastare, vale a dire proprio il lavoro povero, che, come si è accennato, non dipende solo dalla paga oraria, ma dalle poche ore di attività e dalla precarietà dei contratti di lavoro. La qualità della contrattazione collettiva è anche alla base della qualità dei contratti di lavoro individuali. Inoltre il “Salario minimo” azzera qualsiasi possibile evoluzione partecipativa nel rapporto lavoro capitale, attraverso una norma chiaramente ottriata da una classe politica imbelle e nella migliore delle ipotesi dall’interlocuzione con associazioni private non riconosciute come attualmente sono le Confederazioni Sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Dobbiamo invece lanciare una sfida tra “Salario minimo” da una parte e CCNL rinnovati alle loro scadenze naturali, contrattazione di secondo livello e per filiera, riconoscimento giuridico delle organizzazioni sindacali,come previsto dall’articolo 39 della Costituzione. Tutto questo con il fine implicito di implementare forme di partecipazione strutturata rispetto a forme di intervento che non necessitano alcun coinvolgimento dei corpi intermedi in genere e dei lavoratori in particolare, applicando in questo caso l’articolo 46 che prevede il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
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