di Mario Bozzi Sentieri
L’insediamento di Marco Bucci alla Presidenza della Regione Liguria è stato accompagnato da una serie di novità che rimarcano la dinamicità/originalità del nuovo Presidente: la richiesta di aumentare il numero degli assessori, l’introduzione della figura dei delegati a cui affidare specifiche competenze, l’introduzione di una sorta di “sottosegretari” con la funzione di coadiuvare i singoli assessori ed esercitare i compiti assegnati dall’assessore stesso, la costituzione del Consiglio superiore della sanità in Liguria.
Il nuovo organismo sarà coordinato da cinque esperti: il direttore generale di Liguria Digitale Enrico Castanini, l’ex assessore Angelo Gratarola, il dottor Luciano Grasso, il dottor Santiago Vacca e l’infettivologo Matteo Bassetti, che farà da portavoce a un pool di medici scelti nelle varie Asl liguri dallo stesso Bassetti.
“L’idea è quella di ricalcare in Liguria ciò che già avviene al Ministero della Salute dove c’è un Consiglio superiore della Sanità consultivo – ha spiegato Bassetti – che ha un ruolo di affiancamento mai di intralcio al funzionamento del Ministero, così credo che dovremo fare con Bucci e l’assessore alla sanità, nel pool di esperti ho cercato di fare in modo che tutte le Asl fossero rappresentate ma soprattutto che ci fosse un equilibrio tra donne e uomini, su tredici persone ci sono sei donne e sette uomini”.
Il varo del nuovo Consiglio, che ha i tratti dell’assoluta originalità rispetto alle altre regioni, offre l’occasione per una più ampia riflessione sugli attuali strumenti di mediazione/rappresentanza politica e sulla necessità di dare spazio alla complessità sociale, con una specifica attenzione alla Sanità, settore nevralgico del governo locale ed autentica emergenza – come è stato denunciato da più parti e come è emerso in sede di confronto elettorale.
Se – come crediamo – compito delle categorie produttive e delle competenze tecnico-professionali non è soltanto la tutela degli interessi particolari, ma anche la piena, coerente assunzione di consapevolezza e responsabilità politica, è necessario iniziare a dotare la Società civile, nelle sue articolazioni, di adeguati strumenti istituzionali, di analisi e di indirizzo, in grado di “esaltarne” le competenze.
Per andare dove ? Certamente nella direzione – come pare essere l’idea che sta alla base del Consiglio superiore della sanità in Liguria – di una programmazione, vista quale strumento di mediazione tra l’urgenza degli interventi istituzionali e la salvaguardia, realistica e non demagogica, delle aspettative presenti nel vivo della società civile.
La programmazione (nell’ambito specifico della Sanità, ma la sua applicazione può ovviamente dilatarsi ad altri settori) di per sé non è un’ideologia. Può tuttavia farsi strumento di una modernizzazione cosciente e partecipata, in grado di dispiegare le proprie potenzialità “tecnico-operative” ma anche occasione determinante di mobilitazione delle energie culturali e professionali presenti sui territori.
Per favorire una tale ipotesi partecipativa e programmatoria l’identificazione di una Consulta, qual è il Consiglio della sanità in Liguria, può diventare un vero e proprio banco di prova su cui sperimentare un nuovo rapporto tra Politica (a livello di istituzioni locali) e competenze, intorno a cui costruire nuove forme di mediazione e di rappresentanza degli interessi particolari.
Pensiamo – per restare nell’ambito della Sanità – ai costi di settore e agli inderogabili diritti dei cittadini/utenti; al tema bruciante della collaborazione tra pubblico e privato; ed ancora alla necessità di avvicinare le istituzioni ai cittadini, responsabilizzando le classi dirigenti locali, finalmente “costrette” a fare i conti con le risorse disponibili e con le domande degli utenti.
La questione – in tutta evidenza – non è solo quella dell’efficientamento di un settore strategico, qual è la Sanità, quanto anche la costruzione di un nuovo rapporto tra rappresentanza politica e quella che sociologicamente può essere definita come la “mobilizzazione” delle proprie risorse in rapporto ad un contesto. Con tutte le difficoltà connesse al rapporto tra i due ambiti, quello politico e quelli tecnico-professionale.
Non a caso l’espandersi delle competenze ha creato, all’interno delle società più avanzate, un significativo disagio sociale e culturale, che si è inevitabilmente riverberato sulle politiche partecipative.
Nel 1963, in Società e intellettuali in America, Richard Hofstadter scriveva che “la complessità della vita moderna ha costantemente ridotto le funzioni che un comune cittadino può svolgere in autonomia con intelligenza e competenza”. Questa complessità ha prodotto inevitabilmente sentimenti di impotenza e di rabbia nella massa dei cittadini, consapevoli della loro inadeguatezza rispetto allo sviluppo della tecnologia e delle competenze professionali, che aumentano il ruolo delle élites tecnocratiche e la divisione sociale del lavoro, sempre più specializzato. Ciò comporta dei rischi per il sistema di rappresentanza a base democratica, originariamente fondato sull’onnicompetenza dell’uomo comune.
Nel 2017, con La conoscenza e i suoi nemici. L’età dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, Tom Nichols ha rilevato come “… le dimensioni e la complessità del governo” hanno reso “più difficile per gli elettori con conoscenze limitate tenere sotto controllo e valutare le molteplici attività del governo. Il risultato è un sistema politico in cui spesso i cittadini non possono esercitare la loro sovranità in modo responsabile ed efficace”.
E’ dunque nel rapporto fiduciario tra esperti e cittadini che si fonda ogni sana forma di governo, laddove “la professionalità incoraggia gli esperti a fare del loro meglio al servizio dei propri clienti, a rispettare i propri limiti e a esigere che questi vengano rispettati dagli altri, all’interno di un servizio complessivo per il cliente finale: la società stessa … “.
Il rapporto meccanicistico tra esperti e cittadini espone peraltro i sistemi democratici alla degenerazione del “governo delle masse” o alla “tecnocrazia elitaria”.
Per rispondere al rischio di questi processi degenerativi la scuola partecipativa invita a costruire organici rapporti tra il livello della rappresentanza e quello delle competenze. Il momento del passaggio dal particolare al generale, dall’economico al politico, dallo strumentale al finalistico è per la cultura partecipativa la rappresentanza delle competenze.
L’”esperimento” ligure può essere un’utile occasione per realizzare questa aspettativa. Magari – ci auguriamo – dilatando il campo d’azione e selezionando organicamente i soggetti coinvolti (non solo guardando ai vertici delle aziende di settore ma considerando tutti i diversi livelli lavorativi).
Se – usiamo le parole dei responsabili della Regione Liguria – l’aspettativa è di “far fare un gradissimo salto di qualità alla sanità ligure”, si utilizzi l’occasione per dare voce e rappresentanza alle più vaste competenze presenti, allargando le modalità partecipative dei soggetti impegnati nei diversi ambiti. In gioco – a ben guardare – non c’è solo il miglioramento di un servizio essenziale, ma la possibilità di iniziare a sanare un vulnus, quello tra politica e competenze, che rappresenta uno dei limiti principali del sistema democratico, quale, fino ad oggi, si è palesato.
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