LA MERITOCRAZIA. STRUMENTO SOCIALE DI VALORIZZAZIONE

LA MERITOCRAZIA. STRUMENTO SOCIALE DI VALORIZZAZIONE

di Mario Bozzi Sentieri

La meritocrazia in Italia continua a essere un tabù. Lo evidenzia il report “Meritometro 2024”, presentato durante l’ottava edizione della Giornata nazionale del Merito, l’appuntamento annuale del forum della Meritocrazia, tenutasi il 6 febbraio a Milano, dal titolo “Merito, fattore chiave di attrattività”.
Dai risultati emerge che l’Italia si colloca nuovamente all’ultimo posto tra i 12 Paesi europei analizzati, con un punteggio del 27%, ben 39 punti percentuali sotto la Finlandia, in testa all’elenco  con il 66%.

Secondo il report, i maggiori deficit si registrano nei pilastri “libertà”, “regole”, “trasparenza” e “attrattività per i talenti”, mentre si osservano solo lievi miglioramenti su “pari opportunità” e “qualità del sistema educativo”. L’Italia ha registrato un avanzamento di appena 0,66 punti percentuali rispetto alla rilevazione precedente e una crescita media annua di 0,5 punti dal 2015 al 2024, segnale di un immobilismo preoccupante.
Maria Cristina Origlia, presidente del Forum della Meritocrazia, ha sottolineato la necessità di un profondo cambiamento: “Il Genius loci in Italia non manca. Il problema è che abbiamo un sistema generale che non riesce a valorizzare le persone e a investire attraverso la formazione. E a riconoscere il merito di coloro che investono nello studio e si impegnano da un punto di vista professionale”.

Per Origlia bisogna “Rendere più attrattivo il nostro Paese, i nostri ecosistemi territoriali e le nostre aziende con policy che devono essere integrate e con una evoluzione della governance delle aziende che diventando più meritocratiche possano diventare più attrattive per italiani e stranieri. Il punto è favorire la circolarità dei talenti”. Senza interventi strutturali, il rischio è che i talenti continuino a cercare opportunità all’estero, impoverendo ulteriormente il tessuto economico e sociale del Paese già appesantito dalla crisi demografica.
Se da un lato le istituzioni devono creare un contesto favorevole, dall’altro anche le aziende hanno un ruolo chiave nella promozione della meritocrazia: le competenze ci sono, la volontà delle giovani generazioni di vedere riconosciuto il merito è largamente diffusa, l’articolazione formativa sufficiente. Occorre però un ambiente lavorativo più inclusivo, evitando di precarizzare i rapporti di lavoro, favorendo la fidelizzazione nei confronti delle singole aziende, anche attraverso articolati processi formativi e di crescita. Troppo spesso infatti  avanzamenti di carriera e opportunità professionali sono legati all’anzianità di servizio piuttosto che ai risultati ottenuti. Questo frena l’innovazione e riduce la competitività delle aziende italiane rispetto a quelle di altri Paesi europei.
La complessità del tema impone politiche integrate a livello territoriale ed aziendale, sociale e culturale, in grado di invertire la rotta, aumentare la competitività italiana e ridurre il fenomeno della fuga dei cervelli.

Dal 2011 al 2023, circa 550 mila italiani tra i 18 e i 34 anni hanno infatti deciso di lasciare il Paese per stabilirsi all’estero. Questo numero resta allarmante anche se corretto per i rientri (fuga dei cervelli attestata a 377 mila individui). Il Rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, realizzato dalla Fondazione Nord Est, stima una perdita in 134 miliardi di euro di capitale umano negli ultimi tredici anni evidenziando un problema strutturale che è conseguenza e causa di molti problemi macroeconomici nostrani.
Come intervenire ? Innanzitutto  riducendo  la burocrazia e semplificando l’accesso al mercato del lavoro; rendendo i sistemi di valutazione più trasparenti al fine di premiare  il merito e le competenze reali; favorendo un rafforzamento della formazione e dell’orientamento professionale, in linea con le esigenze del mercato del lavoro; facendo crescere una governance aziendale più attenta al talento, con politiche che incentivino l’innovazione e la valorizzazione  interna.

Bisogna poi tenere presente un substrato culturale che penalizza la valorizzazione del merito e delle competenze, favorendo meccanismi di promozione sociale basati sull’appartenenza e sulle relazioni, laddove il nepotismo è diffuso in vari settori, dai ceti professionali al il mondo accademico.

La situazione genera un circolo vizioso per cui vi è una generale sfiducia nel sistema del merito, che porta sempre più giovani a desistere dai propri intenti o ad accontentarsi dei risultati ottenuti con un indebolimento generale del Sistema Paese.
Tramontato il tempo dell’”individuo sociale”, caro a certa cultura macchinistico-industrialista, è la mobilità sociale, l’aggiornamento permanente, l’innovazione a segnare la nuova “filosofia del lavoro”. Ed è dunque rispetto a questa nuova filosofia che è necessario riparametrare una cultura ed i modelli organizzativi che intorno ad essa vanno emergendo. L’ascensore sociale va rimesso in movimento e per farlo occorre offrire gli strumenti a chi, pur meritevole, non li ha.

Questo introduce un nuovo dato: la partecipazione. Essere partecipi, fare parte, sentirsi parte di un progetto, è la grande aspettativa giovanile, un’aspettativa che non ha niente di massificante, non può essere comprata a colpi di sussidi di disoccupazione, ma che si coniuga con il diritto alla meritocrazia, con il riconoscimento dei talenti individuali, con la pienezza di un avvenire autentico.

Un discorso di qualità dunque e di valore, quello che bisogna sapere leggere tra le pieghe del vissuto giovanile, molto più concreto di certi stagionati guru e, nello stesso tempo, pronto ad accettare le sfide del cambiamento, intorno a cui si giocano le sorti del Paese. A patto però di credere veramente nella meritocrazia, di garantirne la trasparenza, di valorizzarne lo sviluppo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà reso pubblico.