Di Mario Bozzi Sentieri
In un recente incontro, tenutosi in occasione del Festival della Comunicazione di Camogli (Ge), presente il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, Marco Bucci, sindaco di Genova, ha posto, su nuove basi, l’idea del Triangolo Industriale, storica connessione tra Piemonte, Lombardia e Liguria. Fu in quest’area che, tra ‘800 e ‘900, si attivò l’industrializzazione nazionale, favorita da Credito Italiano e Banca Commerciale Italiana e realizzata dalla concentrazione verticale delle fasi produttive della grande industria e dalla concentrazione territoriale. Qui, nel dopoguerra, nacque il “miracolo economico”, sostenuto dall’industria siderurgica e metalmeccanica.
Parliamo di un’altra epoca e di assetti industriali sostanzialmente tradizionali, via via affiancati, nell’ultimo quarantennio, da nuove forme di terziarizzazione produttiva, legata alla crescita di aziende manifatturiere e di servizi, di piccole e medie dimensioni , che diedero vita al cosiddetto triangolo del Nord-Est (Venezia, Padova e Treviso), poi sostituito, nel primo decennio Duemila, dal nuovo triangolo Milano-Bologna-Treviso, cuore propulsivo di un sistema produttivo che si colloca, per Pil, al sesto posto della graduatoria europea.
L’idea di Bucci di “rilanciare” il tradizionale triangolo industriale Torino, Milano, Genova ha tuttavia una nuova ragione d’essere a partire dalla rivoluzione infrastrutturale che permetterà di avvicinare i tre capoluoghi di regione del Nord-Ovest. “Il Terzo Valico – ha dichiarato il Sindaco di Genova – darà la possibilità di vivere a Genova e lavorare a Milano o viceversa, le due città collegate in meno di un’ora diventeranno una sola come le grandi città metropolitane. Stiamo ponendo le basi perché si possa pensare che Piemonte, Lombardia e Liguria siano la città metropolitana estesa più ricca d’Europa dove si può fare tutto”. Secondo Giuseppe Sala “bisogna ragionare in termini di territorio largo, a Milano per esempio una delle questioni è il costo delle case, però finalmente quando l’alta velocità ferroviaria arriverà a Genova, sarà irrilevante dove si vive”.
Per Bucci il collegamento dell’alta velocità ferroviaria con Milano sarà un’opportunità anche per lo sviluppo portuale: “il porto di Genova ha bisogno di spazi, anche Genova può avere il suo ‘dry port’ oltre Appennino soprattutto se collegato con un’infrastruttura rapida e veloce come il Terzo Valico tra noi e Alessandria (area retroportuale di Genova, ndr) ci sono 60 chilometri, se andate a Los Angeles ci sono 80 miglia di distanza dall’area retro portuale, quasi il doppio, a Shanghai la distanza è di 110 chilometri, abbiamo la possibilità di fare tante cose, gli Appennini sono sempre stati una barriera reale, oggi forse più psicologica che reale”.
Dietro questa visione per macro aree non c’è solo una rinnovata integrazione determinata dal sistema infrastrutturale, ma un’organica visione produttiva, in grado di connettere l’arco marittimo della Liguria con gli ampi spazi di Piemonte e Lombardia, votati alla crescita post industriale e tecnologica ed insieme all’agroalimentare e all’industria di trasformazione, il tutto connesso a Nord con l’Europa profonda e a Sud con il Mediterraneo e le rotte asiatiche.
A rafforzare l’idea del “nuovo” Triangolo Industriale è arrivata, a metà luglio, una notizia di grande rilievo: l’impegno preso dall’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, con il governo per arrivare a produrre in Italia 1 milione di automobili, invertendo l’attuale declino produttivo e raddoppiando la produzione. Un impegno che “richiede una corsa senza precedenti”, come ha titolato “Il Sole24Ore” (16 luglio) e che comunque rilancia tutto il settore dell’automotive, a cominciare da Torino e dal Piemonte, coinvolgendo anche gli altri territori della filiera, dalla Lombardia alla Motor Valley emiliana e ai fornitori del Nord Est ma anche di aree specializzate del Mezzogiorno.
Alla base di tutto c’è una “cultura politecnica” e “modernizzatrice” che ha robuste radici nella storia economica e industriale e prospettive di solido futuro. Una cultura d’impresa che lega manifattura, finanza, servizi, in una serie di eccellenze formative di respiro globale e in una diffusa sensibilità per la sostenibilità.
Non è eccessivo dire che in questo contesto progettuale ed innovativo , rappresentato dalle macro aree settentrionali, possa essere collocato, verso il Mezzogiorno, il ridisegno delle Zone economiche speciali (Zes), ora che il decreto Sud del ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, Raffaele Fitto, prevede che, a partire dal prossimo gennaio, scompaiano le otto Zes del Sud per dare vita a un’unica grande area meridionale che sarà guidata da una cabina di regia istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale avrà funzioni di indirizzo, coordinamento, vigilanza e monitoraggio.
Ad essa sarà affiancata la “Struttura di missione per la Zes”, che dipenderà direttamente dal ministro Fitto, Questa avrà il compito di aggiornare il Piano strategico Zes e si occuperà delle attività necessarie a prevenire i tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Tutte le aziende che operano nella Zes unica godranno di regimi fiscali agevolati e avranno procedure burocratiche semplificate. All’interno dell’area Zes, le aziende già operative e quelle che si insedieranno potranno beneficiare di diverse tipologie di vantaggi (speciali condizioni), quali la previsione di un’autorizzazione unica per l’avvio delle attività produttive e il riconoscimento, fino al 2026, di un credito d’imposta nella misura massima consentita dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2022-2027 per l’acquisizione dei beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive.
Ad unire queste diverse aree produttive (a Nord come a Sud) il superamento della frammentazione territoriale e la costruzione di una progettualità solida e duratura, capace di rappresentare il dinamismo delle nostre aziende all’interno dei nuovi contesti nazionali ed internazionali. Avendo alle spalle una volontà politica ed una visione socio-economica finalmente “organica”, capace di guardare alla specificità dei territori, alla loro collocazione geopolitica, ai rispettivi potenziali di crescita. Tutte dimensioni fondate su un solido intreccio di valori che creano valore economico e sociale. Una leva fondamentale di lavoro, innovazione e, appunto, sviluppo. Ed una sfida per un’Italia che finalmente si scrolla di dosso complessi d’inferiorità, individuando nuovi percorsi di crescita, in grado di coniugare interessi nazionali e potenzialità locali.
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