La vera transizione digitale passa dal lavoro, la formazione e la partecipazione

La vera transizione digitale passa dal lavoro, la formazione e la partecipazione

di Francesco Marrara

«In un’epoca in cui la spinta all’innovazione digitale ci chiama ad interrogarci sul futuro rapporto tra uomo e tecnologia, non dobbiamo avere dubbi nel rivendicare il valore dell’umanità come principio guida nel cambiamento. Dal dialogo con i nostri clienti e colleghi, da ricondurre ad una fisiologica ed imprescindibile dimensione di presenza, all’utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici sul mercato, che dovrà essere in ogni caso da noi supervisionato, in futuro dovremo tenere presente un concetto ben chiaro. Solo difendendo la nostra capacità di pensare, la curiosità di conoscere, il desiderio di creare potremo arginare quella deriva di disumanizzazione alimentata da una fiducia indiscriminata che il progresso tecnologico porta inevitabilmente con sé»[1].

Con queste parole l’ex Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e attuale Ministro del Lavoro, Marina Calderone, chiudeva l’editoriale della rivista “Il Consulente del lavoro” del numero di settembre-ottobre 2022. Spunti di riflessione importanti che collimano con la necessità dell’Italia di assumere un ruolo da protagonista, e non di semplice spettatrice, nella rivoluzione tecnologica in corso.

Dinnanzi alla transizione digitale il mondo lavoro risulta essere pienamente coinvolto nelle trasformazioni in atto secondo diverse prospettive. Da un lato, questo processo si dimostra come inevitabile in quanto figlio di una innovazione tecnico-scientifica che si imporrà nelle nostre vite. Dall’altro, sarebbe interessante capire secondo quali modalità la transizione attecchirà nel mondo del lavoro e altresì come le organizzazioni sindacali cercheranno di dare delle risposte a questi inevitabili cambiamenti.

Tempi e luoghi di lavoro

La rivoluzione tecnologica, acceleratasi con l’avvento del Covid-19, stravolgerà sempre più tempi e luoghi di lavoro. Il tempo di lavoro è un tempo sociale sostanzialmente lungo per i lavoratori caratterizzato da uniformità e rigidità. Esso è in grado condizionare tempi individuali e sociali, nonché i comportamenti dei soggetti che vivono in contatto con gli stessi lavoratori. Il tempo di lavoro presenta le seguenti caratteristiche: la durata, il ritmo e la collocazione temporale[2]. Per quanto concerne i luoghi di svolgimento dell’attività lavorativa, i processi di digitalizzazione stanno sempre più assottigliando le sostanziali differenze tra la dimensione lavorativa e quella privata. Ad esempio, con lo smart working la casa è diventata luogo di lavoro annullando qualsiasi concezione legata al tempo da dedicare alla nostra vita, alle nostre passioni e alle nostre famiglie. Virtuale e reale si sovrappongono rendendo ciascun lavoratore un individuo atomizzato privo della propria coscienza partecipativa e totalmente incapace di rivendicare i propri diritti.

Tali sviluppi, per ovvie ragioni, richiederanno quanto prima una riorganizzazione ed un rinnovato senso di centralità dei contratti collettivi nazionali di lavoro[3]. Le organizzazioni sindacali, pertanto, ne saranno pienamente coinvolte assumendo perdipiù un ruolo di vitale importanza sul tema della regolamentazione del trattamento dei dati personali[4]. Quest’ultimo, nel prossimo futuro, investirà l’equilibrio del potere contrattuale tra lavoratori e datori di lavoro.

Datori di lavoro, lavoratori e tecnologie: un necessario riassestamento dei rapporti di forza

L’utilizzo di tecnologie sempre più sofisticate, tra le quali rientra a pieno titolo l’Intelligenza Artificiale, comporterà un riadattamento dei classici poteri datoriali previsti e disciplinati dal codice civile e dallo Statuto dei lavoratori (potere direttivo, potere di vigilanza e controllo, potere disciplinare). In questa direzione, al fine di evitare degli abusi soprattutto da parte datoriale, il legislatore avrà l’arduo compito di armonizzare l’interazione tra normative giuslavoristiche, accrescimento dell’intensità dei poteri datoriali e la tutela della dignità, libertà e privacy dei prestatori di lavoro. Al contempo, la trasformazione tecnologica in atto implementerà l’attenzione circa i rischi e le potenzialità in materia di salute e sicurezza dei lavoratori[5].

Formazione e competenze 4.0

La Rivoluzione 4.0 necessita di una adeguata formazione, nonché l’acquisizione da parte dei lavoratori di specifiche competenze digitali (e-skills)[6]. In tal senso, non solo occorrerà un cambiamento radicale del sistema formativo italiano ma altresì una riqualificazione ed un aggiornamento continuo che dovrebbe consentire ai lavoratori di non subire passivamente gli effetti derivanti dalla repentina evoluzione del mondo del lavoro: il nuovo lavoratore dovrà essere digitale e partecipe[7]. Proprio in questa prospettiva si inserisce il Programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) previsto dal PNRR il quale si pone gli ambiziosi obiettivi di accompagnamento al lavoro, di aggiornamento e/o riqualificazione professionale[8].

Il lavoro 4.0: analisi e prospettive

Il processo di transizione digitale è pienamente inquadrabile nel concetto di Industria 4.0. Si tratta di una delle più importanti novità associate alla c.d. Quarta Rivoluzione Industriale mediante la quale sviluppare nuove modalità organizzative dell’economia e della produzione. Dunque, poiché Industria 4.0 è sinonimo di Lavoro 4.0. la nuova ondata tecnologica comporterà un crescente esubero di lavoratori. Le nuove professioni, inoltre, richiederanno competenze di alto livello lasciando irrisolto il problema dei disoccupati poco specializzati. In termini keynesiani ci troveremo a fronteggiare il problema della c.d. «disoccupazione tecnologica», ossia la perdita del lavoro causata del cambiamento tecnologico.

Su quest’ultimo versante si sta rischiando seriamente di sacrificare decenni di lotte sindacali e conquiste sociali, nonché di stravolgere totalmente il mondo del lavoro come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. La perdita del contenuto umano all’interno delle aziende non solo potrebbe sancire la fine di ogni relazione sociale tra lavoratore e imprenditore, ma anche l’impossibilità dell’uomo “animale sociale” di vivere in funzione di sé e dei propri simili. Ci troviamo dinnanzi alla completa affermazione dell’uomo-massa identificabile nell’assunto hobbesiano secondo cui homo homini lupus, ossia ogni uomo è un lupo nei confronti dell’altro uomo. Il tutto in antitesi all’idea di homo reciprocans lanciata da Antonio Genovesi, padre fondatore dell’Economia Civile nella Napoli di metà Settecento, secondo la quale homo homini natura amicus (ogni uomo è per natura amico dell’altro uomo).

Ragion per cui la strada maestra attraverso cui governare ed invertire la rotta la possiamo rintracciare in due prospettive. In primis, cogliendo la suggestiva sfida della partecipazione disciplinata dall’art. 46 Cost. il quale sancisce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende. In secundis, allo scopo di fronteggiare il fenomeno della disoccupazione tecnologica bisognerebbe rivedere completamente il concetto di reddito di cittadinanza in chiave di giustizia distributiva.

La Sfida Partecipativa per una Economia Civile

Non può esistere transizione senza competenze. Ecco che ritorna in auge il ruolo dei corpi intermedi ed in particolare del sindacato. Le organizzazioni sindacali, invero, fungono da vero e proprio collante tra mondo della formazione e quello del lavoro: la vera transizione è la cultura! Questa funzione del sindacato sarà cruciale da qui ai prossimi anni soprattutto nell’ottica di un definitivo superamento del vecchio modello conflittuale in nome del ben più proficuo modello collaborativo e partecipativo. Il miglioramento delle condizioni della classe lavoratrice dovrà avvenire sia per mezzo del superamento dei vecchi modelli di rappresentanza politica e sindacale, nonché del modello economico liberal-capitalista. Solo in questi termini sarà auspicabile l’affermazione di una vera democrazia improntata alla partecipazione del lavoratore alla vita economica, politica e sociale della Nazione.

L’Idea partecipativa, pur non essendo la panacea di tutti i mali, si presenta quale concreta e reale risposta all’avanzamento della robotizzazione del lavoro sotto due punti di vista: la perdita del contenuto umano e spirituale all’interno delle aziende; l’incremento della disoccupazione tecnologica. Questi aspetti legano profondamente l’opzione partecipativa ai principi dell’Economia Civile.

L’uomo, essendo un animale sociale, assume in sé tutte quelle caratteristiche in grado di porlo in relazione e cooperazione con gli altri suoi simili. Queste motivazioni sociologiche rispecchiano fedelmente da un lato la forma mentis dell’Economia Civile improntata sulla figura dell’homo reciprocans, dall’altro la struttura ideale dell’art. 46 Cost. poiché – nella compagine aziendale – si verrebbe a creare quell’armonia in grado di fare emergere tra i lavoratori un nuovo spirito socializzatore.

La disoccupazione tecnologica: il Reddito di cittadinanza auritiano

Spesso sentiamo dire sui media che una delle possibili soluzioni per combattere la disoccupazione tecnologica sia la tassazione dei robot, la quale consentirebbe la redistribuzione del reddito tra tutti i lavoratori e cittadini impendendo così l’avanzata dello strapotere dei grandi colossi dell’Industria 4.0. Guadando, invece, il risvolto della medaglia ci accorgeremmo che la tassazione dei robot implicherebbe nei loro confronti un riconoscimento di diritti e obblighi e di conseguenza un riassestamento dei rapporti di forza nel mondo del lavoro che nel corso del tempo potrebbe avvantaggiare proprio questi ultimi[9]. Di fronte a questo scenario risulta quanto mai necessario fare chiarezza sul concetto di Reddito di cittadinanza. 

Nel corso degli ultimi anni il termine “Reddito di cittadinanza” è stato impiegato come sinonimo di “reddito minimo” o “reddito di sussistenza”. Difatti, vi è stata una mistificazione terminologica che ne ha svirilizzato l’originaria portata contenutistica secondo la quale la moneta, all’atto dell’emissione, nasce di proprietà dei cittadini ed in quanto tale deve essere accreditata a ciascuno di essi senza alcuna distinzione sotto forma di reddito di cittadinanza. Questa prospettiva nasce sulla base della Teoria del valore indotto della moneta di Giacinto Auriti[10]. Il valore indotto è il potere d’acquisto della moneta ovverosia la quantità di beni e servizi che con essa si possono acquistare. Di conseguenza la moneta è sia misura del valore (Aristotele), sia valore della misura.  

Con il Reddito di cittadinanza auritiano in un colpo solo verrebbero risolti[11]: il problema della conflittualità contrattuale perché il lavoratore, generalmente considerato parte debole, si libera dai bisogni di prima necessità accettando il contratto senza costrizione alcuna; il problema della robotizzazione del lavoro perché attribuendo al cittadino-lavoratore un reddito monetario, questi potrà comprare i prodotti dei robot a causa della riduzione dei costi realizzando una politica di deflazione monetaria. Tutte proposte che nulla hanno a che vedere con le forme di bieco assistenzialismo messe in campo dalla classe politica negli ultimi anni e allo stesso tempo in grado arginare concretamente la deriva di disumanizzazione nel contesto lavorativo.


[1] Calderone, M., “Il Consulente del lavoro”, in “Innovazione tecnologica, una sfida anche per i professionisti”, settembre/ottobre 2022, p. 3.

[2] Ricci, G., “Tempi di lavoro e tempi sociali. Profili di regolazione giuridica nel diritto interno e dell’UE”, Giuffrè Editore, 2005, pp. 12 e ss.

[3] Porcheddu, D., “L’impatto della digitalizzazione sul mercato e sull’organizzazione del lavoro: il ruolo del dialogo sociale e della contrattazione collettiva”, pp.1-3, Bollettino ADAPT 31 gennaio 2022, n. 4.

[4] Porcheddu, D., “Il ruolo del sindacato nel trattamento dei dati dei lavoratori: spunti da un progetto europeo”, pp. 1-5, Bollettino ADAPT 20 febbraio 2023, n. 7.

[5] Esiste già in materia il Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro entrato in vigore con il D.lgs.81/2008.

[6] Marcantonio, G., Il Consulente del lavoro”, in “Sviluppo delle competenze digitali ed effetti dell’evoluzione tecnologica nel mercato del lavoro”, pp.11.

[7] Bozzi Sentieri, M., “La Rivoluzione 4.0. Roma vs Davos. Tra lavoro e partecipazione”, Eclettica, pp.120-123.

[8] https://www.anpal.gov.it/programma-gol

[9] Beccaria, G., “I robot diventeranno persone e pagheranno tasse e contributi”, in https://www.lastampa.it/cultura/2016/07/12/news/i-robot-diventeranno-persone-e-pagheranno-tasse-e-contributi-1.34834255

[10] Auriti, G., “Il paese dell’utopia”, Solfanelli, pp. 72-75.

[11]Auriti, G., “Eliminare la conflittualità contrattuale – Flessibilità salariale e reddito di cittadinanza”, in http://www.simec.org/index.php/notizie-essenziali/173-eliminare-la-conflittualita-contrattuale.html

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