Articolo apparso su “La Voce del Patriota”
Di Francesco Carlesi
Il sabotaggio dei gasdotti Nord e South Stream è solo l’ultimo dei campanelli d’allarme che stanno suonano per l’Italia e l’Europa, in una strada che ci sta portando dritti verso un crisi economica con pochi precedenti. Ed è proprio in mezzo a questa tempesta, tra guerre, rincari sanguinosi e sommovimenti geopolitici in frenetica evoluzione, che la Destra italiana si trova a vivere il suo momento elettorale migliore. I festeggiamenti per un risultato storico sono stati giustamente accompagnati al richiamo alla serietà e alla responsabilità di fronte a sfide cruciali per la nostra stessa esistenza. Mentre il mondo progressista ha dato l’ennesima prova della sua incapacità di capire la realtà, parlando di surreali “ritorni del fascismo” o mostrando preoccupazione per i diritti (quando per due anni ha promosso qualsiasi tipo di chiusura o discriminazione), spetterà alla Destra fare un salto di qualità e provare a incidere sulle problematiche della Nazione. Con uno sguardo volto non solo al presente, ma al nostro passato (da non distruggere come vorrebbe la “cultura della cancellazione”) e alle generazioni future.
La questione sociale
Una delle questioni principali riguarda il Sud Italia. Proprio qui, Giuseppe Conte è riuscito brillantemente a recuperare le posizioni perdute dal Movimento 5 stelle facendo leva sul reddito di cittadinanza e sullo scontento di larghe fasce della popolazione, che spesso di percepiscono come “corpi estranei” abbandonati dalla loro stessa comunità. Il reddito di cittadinanza va assolutamente rivisto, soprattutto sul piano del fallimento totale dei cosiddetti “navigator”, ma la spia rappresentata dai voti dati al 5 Stelle deve essere presa sul serio. La Destra dovrà farsi carico di quello scontento e dell’altissima astensione recuperando la Questione sociale di cui parlava Mazzini già 150 anni fa. Non la lotta di classe, quel soffiare sulle invidie sociale tipico dei grillini, ma l’unione di capitale e lavoro in nome di un destino comune. In nome di un lavoro che sia crescita, responsabilità e maturazione: «il lavoro libero produce più del lavoro servile», diceva il patriota genovese. In nome, in buona sostanza, della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, l’articolo 46 della nostra Costituzione che fu la bandiera del Movimento Sociale Italiano. Attraverso questa strada si potrà provare a ricostruire aziende e territori disintegrati dalla globalizzazione con il suo portato di delocalizzazioni e precarietà. Anche il modello Olivetti che unì territorio, cultura, partecipazione ed elevazione dei singoli, deve essere recuperato con determinazione. Una “terza via” feconda e ricca di spunti di riflessione.
L’abbassamento della pressione fiscale e l’attenzione agli imprenditori devono necessariamente accompagnarsi a un disegno generale che coinvolga e responsabilizzi le categorie e gli stessi dirigenti d’industria, nel quadro di una politica industriale nazionale. Lo Stato sarà fondamentale nel ruolo di “motore” economico e sociale, sulla scia di esempi storici quali Enrico Mattei e la “scuola” dell’Iri che sfornò dirigenti, tecnici e intellettuali di alto profilo. Nomi ed esempi ancora “vivi” che possono e devono essere adattati ai tempi nuovi che ci aspettano, i tempi della Rivoluzione 4.0 descritta da Mario Bozzi Sentieri. Nomi richiamati dall’Istituto “Stato e Partecipazione” costantemente e quasi ossessivamente, nell’ottica di un cammino che sappia valorizzare la patria, l’identità e il lavoro. «L’antidoto alle regressioni nazionalistiche e alla brutale conflittualità che queste produrrebbero, sta nel coltivare un sano sentimento patriottico, fondato sulla difesa e valorizzazione delle diversità, delle specificità, della ricchezza e pluralità di culture e stili di vita. Tutto l’opposto della standardizzazione, dell’omologazione, dell’appiattimento richiesti e imposti dalla globalizzazione selvaggia, nella quale si fondono l’utopia internazionalista vetero-comunista, il terzomondismo pauperista e la pratica commerciale mondialista delle grandi multinazionali», si legge nelle Tesi congressuali di Fratelli d’Italia del 2017.
L’esempio dell’Iri ci porta infine al tema della formazione, su cui vale la pena spendere due parole. Bisogna costruire basi solide per non rimanere intrappolati nelle montagne russe della politica odierna fatta di slogan e comunicazione, che costruisce e distrugge leader e partiti con la velocità di un fulmine. E allora senza coltivare una classe dirigente attraverso corsi di formazione, iniziative di lungo periodo, esperienze concrete; senza valorizzare l’immenso patrimonio della cultura che non si piega al “politicamente corretto”; senza ripensare l’Università sulle linee guida del merito e dell’identità (come hanno suggerito i professori Spartaco Pupo e Simonetta Bartolini in un recente appello) e senza il recupero di quello sforzo sociale unito indissolubilmente all’afflato spirituale, come insegnava Mazzini, ecco che non si riuscirà a mutare il corso della storia. Un corso che oggi ci vede sempre più alla deriva, e che solo chi ama l’Italia potrà cambiare.
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