Di Mario Bozzi Sentieri
Anche quest’anno Limes, “Rivista Italiana di Geopolitica”, è a Genova (dal 10 al 12 novembre) con l’ormai tradizionale appuntamento di Palazzo Ducale: tre giorni di incontri dedicati ai temi salienti dell’attualità geopolitica con esperti italiani e stranieri, decisori, protagonisti degli eventi che concorrono a definire la nostra epoca e il posto dell’Italia nel mondo. Questa edizione marca però un doppio traguardo: dieci anni di Festival e trent’anni di Limes.
La rivista, ideata e tuttora diretta da Lucio Caracciolo, uscì infatti a ridosso della crisi della “Prima Repubblica”: era il 1993, i vecchi partiti italiani travolti da Tangentopoli, l’ordine europeo, nato dopo la fine del secondo conflitto mondiale, dissoltosi con il tramonto dell’impero sovietico. Impietosa l’analisi del primo numero di Limes che – in premessa – così stigmatizzava il quadro nazionale: “La nostra rivista compare mentre la Prima Repubblica tocca il punto più basso della sua parabola. Da mesi se ne annuncia la morte, in un clima da finis Italiae. Mentre il prestigio e la legittimazione delle istituzioni, dei partiti, della politica (della democrazia?) precipita verso lo zero assoluto, e all’estero riecheggiano i luoghi comuni sull’Italietta, è facile cedere all’autodenigrazione o allo sconforto”.
Più che fotografare la realtà la rivista invitava a guardare alle ragioni di un declino e alle prospettive che realisticamente si aprivano al nostro futuro di italiani e di europei, cercando di guardare al ruolo importante che il nostro Paese poteva svolgere. Al fondo l’invito di sollecitare la riflessione “sull’interesse nazionale”, venute meno le vecchie rendite di posizione e l’idea di potere vivere sotto l’ombrello atlantico.
Interessante – ancora oggi – evidenziare i fattori culturali e geopolitici che secondo Limes frenavano l’avvio del “discorso pubblico sull’interesse nazionale”: la rimozione – durante la Prima Repubblica – dell’idea di nazione (a seguito dell’azione congiunta del cattolicesimo sociale e del marxismo neoidealista); il trauma geopolitico della sconfitta che sta alla base della nascita della democrazia italiana; l’ atlantismo e l’europeismo come anestetici del pensiero geopolitico italiano.
Trent’anni fa non era scontato che l’impresa di Limes fosse destinata a riuscire. Gravava peraltro sulla geopolitica l’ostracismo culturale di chi considerava la materia strumento dell’imperialismo nazista e fascista. Pesavano i richiami allo “spazio vitale”, teorizzato da Rudolf Kiellén e Friedrich Ratzel, le idee di Karl Haushofer (con la teoria dello scontro tra le potenze telluriche e le potenze marittime), la visione di Carl Schmitt sulla dicotomia mare-terra, il ruolo della scuola italiana di geopolitica (capitanata da Giorgio Roletto ed Ernesto Massi), con la rivista Geopolitica. Rassegna mensile di Geografia Politica, Economica, Sociale e Coloniale. Facile allora bollare la geopolitica come “pseudo-scienza nazistoide”, preferendo “teorizzazioni” classiste, tutte giocate intorno alla centralità dell’economia.
Com’è andata a finire è vicenda ben nota. Non è perciò un caso che, crollato il castello teorico e pratico del marxismo-leninismo, i giochi si siano riaperti, ritrovando in Limes la testa d’ariete in grado di rompere vecchi monopoli culturali ed usurate teorizzazioni, cogliendo (e cercando di spiegare) il riemergere delle identità nazionali, in grado di rinsaldare la stabilità di uno Stato, vedendo la geopolitica – citiamo sempre dal n. 1/1993 di Limes – come strumento di informazione, ma anche formazione collettiva dei cittadini.
Rispetto ai riferimenti “di scuola” la rivista ha scelto una linea plurale, la quale ha affiancato sia studiosi (storici, geografi, sociologi, giuristi e antropologi) sia decisori (politici, diplomatici, militari e imprenditori), proprio per far emergere punti di vista diversi tra loro.
I trent’anni di Limes vengono a rappresentare – e perciò ci piace rimarcarlo – un “passaggio” non banale nella Storia culturale e politica dell’Europa e – nello specifico – dell’Italia, invitandoci a “ripensare” geopoliticamente ruoli e responsabilità, fino a ieri delegate. “La stessa vecchia retorica europeista – citiamo ancora quanto era scritto nell’articolo di presentazione della rivista – sfociata nell’illusione di unirci per giustapposizione economica e monetaria, è sepolta per sempre. Maastricht ha dimostrato la difficoltà di fissare a priori una strategia comune in quanto europea. La nuova visione dell’Europa può scaturire solo dalla combinazione di progetti nazionali autonomi e convergenti. Tali progetti non possono basarsi che su un ragionamento geopolitico. È così che la geopolitica può servire la causa della pace e della democrazia in Europa”.
Quel che è certo è che la rottura, determinata, trent’anni fa, da Limes, ha riaperto varchi inimmaginabili nel muro delle convenzioni dominanti, facendo nascere altre testate italiane in materia e favorendo la crescita di un’identità collettiva per decenni compressa ed incompresa. Anche sul piano politico. Fino a portare ai vertici istituzionali una ritrovata idea di nazione, una nuova consapevolezza geopolitica per l’Italia, una declinazione non scontata dell’europeismo: visioni ed idee su cui lavorare, nel nome dei reali interessi nazionali.
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