L’INGRESSO DEL LAVORO NEL MONDO DELLA SCUOLA: LA RIFORMA BOTTAI

L’INGRESSO DEL LAVORO NEL MONDO DELLA SCUOLA: LA RIFORMA BOTTAI

Bottai oltre Gentile

Un tema attualmente al centro del dibattito politico è quello riguardante la scuola. Il problema relativo all’educazione delle future generazioni è sempre stato sentito all’interno di ogni società. Tra le varie riforme che hanno modificato il sistema scolastico italiano, di sicuro, la più conosciuta e apprezzata è quella di Giovanni Gentile, tanto che ancora oggi conserviamo gran parte dell’impostazione scolastica varata nel 1923 dal filosofo di Castelvetrano. La prima modifica strutturale a questa legge risale al 1962, eppure, ancora prima dell’avvento della Repubblica italiana, era stato il fascismo, nel 1939, a superare l’impianto gentiliano. La riforma del 1923 viene quindi cambiata dallo stesso Regime, che mostrò così una certa capacità di “autorigenerazione”.

È la Carta della Scuola di Bottai a modificare radicalmente la precedente riforma Gentile. L’intento del ministro dell’Educazione Nazionale è quello di colmare alcune evidenti lacune ereditate dalla precedente riforma e di adattare il sistema scolastico italiano a una nuova realtà industriale. La legge Bottai va a scardinare il chiuso principio gentiliano secondo il quale l’educazione umanistica avrebbe dovuto formare la classe dirigente, e l’educazione manuale quella subalterna.

L’intero ambiente rivoluzionario del fascismo, contrariamente a quanto era avvenuto per la legge Gentile, accoglie con fervido entusiasmo la riforma Bottai. La legge scolastica del ’23 lasciava irrisolto il problema classista dell’accesso allo studio e sanciva una subordinazione del ramo scientifico-manuale a quello umanistico, agendo così in netta contrapposizione con la nuova «mistica del lavoro» che il fascismo andava creando. La legge Bottai, superando il classismo imperante nel sistema scolastico italiano, prevede l’accesso alla scuola superiore secondo criteri esclusivamente di merito e non di censo, dando allo Stato la funzione di far proseguire gli studi a tutti gli studenti meritevoli ma economicamente indigenti. Dal punto di vista pratico, per rispondere alla nuova concezione del lavoro fascista e per diminuire la distanza tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, viene stabilito l’ingresso del lavoro nel mondo della scuola. Gli studenti, nella nuova scuola fascista, devono essere selezionati secondo esclusivi criteri di merito, avendo la consapevolezza che il lavoro materiale è fondamentale tanto quanto quello intellettuale per la formazione completa dell’uomo. Con la dichiarazione III della sua Carta («L’accesso agli studi ed il loro proseguimento sono regolati esclusivamente dal criterio delle capacità e attitudini dimostrate. I collegi di Stato garantiscono la continuazione degli studi ai giovani capaci, ma non abbienti») la scuola italiana si pone risolutamente oltre il classismo della scuola di regime borghese. Il valore capitale della riforma Bottai è qui ed è nel posto dato e riconosciuto al lavoro. «È nel fatto (il nocciolo coesivo della borghesia) che il professionista sarà, dev’essere, novanta casi su cento, figlio di professionista. È nell’altro fatto parallelo che […] il deputato, l’ingegnere, il giudice arbitrale di domani, conosceranno il muratore per averlo guardato qualche minuto lavorare dalla finestra di casa propria. […] La scuola borghese è la codificazione degli scompartimenti chiusi. La scuola borghese, dalla domanda d’iscrizione al diploma e alla laurea, è il pensiero fatto feudo».

La centralità del lavoro e della “campagna antiborghese”

Questa nuova norma, quindi, ristruttura l’intero sistema scolastico e ha come obiettivo da un lato quello di consentire l’accesso alle scuole superiori delle classi meno abbienti, e dall’altro di mettere scienza e lavoro sullo stesso piano delle discipline umanistiche. La nuova scuola, ispirata ai principi fascisti, deve rappresentare l’antitesi di quella borghese. Il censo non deve essere più strumento di accesso e di ascesa sociale. La riforma scolastica è centrale nella “campagna antiborghese” perché va a intaccare quel sistema educativo che ha da sempre rappresentato l’embrione della classe dirigente liberale. La scuola fascista deve, quindi, educare l’«uomo nuovo» (la futura classe dirigente) ai principi rivoluzionari del nuovo Stato voluto da Mussolini, in cui la gerarchia sociale non deve essere determinata dalla classe di appartenenza, ma esclusivamente dal merito. Per questo motivo lo Stato si assume l’onere di finanziare economicamente qualsiasi individuo indigente. Berto Ricci, con queste parole, sottolinea l’importanza distruttrice e creatrice della riforma Bottai:

La scuola aperta a tutti – tranne gli svogliati e gl’incapaci – in ogni suo ordine e grado; la scuola aperta a tutti secondo le capacità e non secondo le possibilità economiche della famiglia: questo il passaggio obbligato d’un’antiborghesia che voglia andare a fondo. […] Questo il valore rivoluzionario di quella Carta della scuola che garantisce oggi al fascismo l’educazione della sua civiltà.

La riforma realizzata da Bottai presenta quindi caratteri estremamente innovativi che anticipano di gran lunga tematiche che saranno al centro del dibattito politico ed educativo dell’Italia repubblicana. Infatti, proprio la possibilità di proseguire gli studi tenendo conto del merito e non delle possibilità economiche dello studente sarà una delle richieste principali del movimento del ’68. Il problema dell’inserimento graduale dello studente nel mondo del lavoro, invece, verrà posto e avviato, seppur con grandissimi limiti, solo nel 2015 con la nascita dell’alternanza scuola-lavoro. Il regime mostra in questo caso la capacità di “correggere” sé stesso, seppur in una cornice autoritaria, mentre la Repubblica italiana, ignorando la legge del ’39, lascia irrisolti molti problemi destinati ad esplodere, con tutta la loro virulenza, negli anni successivi.

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