L’avventurosa giovinezza di un sindacalista in prima linea
Edmondo Rossoni fu un sindacalista che attraversò l’intera prima metà del Novecento da protagonista, tra battaglie sociali e passaggi politici intensi e controversi. Nato a Tresigallo nel 1884, sin dagli inizi del XXI secolo è in prima fila nelle agitazioni del mondo socialista tra scioperi, rivendicazioni e manifestazioni. Più volte condannato in Patria, si trova in fuga a girare il mondo maturando una solida coscienza sindacale, e impegnandosi proficuamente non solo come agitatore, ma anche come teorico e giornalista. Lo troviamo prima in Europa, poi in Brasile (aiutato dall’Alceste De Ambris che scriverà la Carta del Carnaro insieme a D’Annunzio) e infine negli Usa, dove riscuote successo tra gli emigrati italiani, finendo nuovamente arrestato in seguito a un lungo sciopero degli operai tessili nel New England. A questo punto, nel 1913, il ritorno in Patria dove diventa in poco tempo segretario del sindacato provinciale degli edili di Modena. In questi frangenti, dopo un breve ritorno negli Stati Uniti e con l’approssimarsi della guerra, Edmondo compie il passaggio decisivo verso il sindacalismo nazionale e rivoluzionario: la sua prospettiva passa da essere ferocemente classista, antinazionalista e antimilitarista a una visione che lega la dimensione sociale a quella patriottica. Sono gli anni di Corridoni, Olivetti, Panunzio: «il lavoratore si difende difendendo la Patria», uno slogan che influenzerà anche il Mussolini che dal socialismo inizia quel percorso che sfocerà nel fascismo. Rossoni partecipa, da propagandista più che sul campo di battaglia, alla Prima guerra mondiale e a tutti gli sconvolgimenti che arrivano dopo. Il suo prestigio è tale che lo ritroviamo a capo del sindacato fascista: il 10 febbraio 1922 è nominato segretario generale della neonata Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali.
Interclassismo e Nazione. Rossoni e il fascismo
A capo del sindacato, Rossoni si batte strenuamente per il miglioramento delle condizioni di lavoro delle maestranze, con alterne fortune. Non riuscirà a difendere l’autonomia dell’associazione rispetto al Partito Nazionale Fascista, mentre progressivamente il suo sindacato diventa unico spazzando via i concorrenti messi fuori gioco dal regime. Sono momenti in cui non mancano le tensioni con dirigenti del Pnf e con Confindustria, nel pieno del tentativo di edificare un nuovo modello sociale, potenziando la contrattazione collettiva ed emanando documenti tra cui spicca La Carta del Lavoro (1927), in cui lo stesso Rossoni è protagonista. L’ambizione del sindacalista è di delineare, a livello pratico e teorico, un’architettura sociale che vada oltre il capitalismo e il comunismo. Non solo diritti, ma anche doveri, e il primo articolo della Carta recita: «Il lavoro, sotto qualsiasi forma è un dovere sociale; solo a questo titolo è tutelato dallo Stato: suo fine non è soltanto il benessere dei produttori, ma anche lo sviluppo della potenza della Nazione». Quest’ultima diventa il contenitore entro cui dare vita alla “collaborazione di classe” e alla partecipazione del lavoro al processo sociale e politico, in nome del corporativismo. Rossoni diventa anche direttore de La Stirpe, secondo Giuseppe Parlato «la più interessante delle riviste di matrice sindacale», dove si sviluppano numerosi dibattiti di spessore sul piano economico. Sempre secondo lo storico piemontese, negli anni ’20 è proprio Edmondo «l’unico in grado di garantire al sindacato un minimo di autonomia dal partito fascista e dalle altre strutture del regime». Le parole d’ordine e la stella polare della collaborazione tra capitale e lavoro di Rossoni possono essere riassunte in due citazioni prese da suoi discorsi pubblici: «Il sindacalismo deve essere nazionale ma non può essere nazionale per metà: esso deve comprendere capitale e lavoro e sostituire al vecchio termine proletariato quello di lavoratore ed all’altro, di padrone, la parola dirigente, che è più alta, più intellettuale, più grande.» E ancora: «Fra italiani e italiani non debbono esservi più né padroni, né servitori, ma cooperatori leali per interessi comuni e per il superiore fine della Patria. Contro i “padroni” nel vecchio senso della parola noi ci batteremo inesorabilmente, perché le “Camicie nere” non servono il portafoglio di nessuno, ma il Lavoro e la Nazione».
L’armonizzazione dei conflitti sociali rimane tutt’altro che semplice, e se gli imprenditori organizzati dimostrano di saper far valere la propria influenza, dall’altro lato il processo rimane impervio: il frazionamento dell’organizzazione fascista dei lavoratori, il cosiddetto “sbloccamento” (scissione in sei diverse confederazioni), deciso da Mussolini nel 1928, è riconosciuto dall’intera storiografia sul tema come passaggio negativo per il coordinamento e il peso dei suoi componenti. Ha scritto Alessio Gagliardi in merito: «Molteplici erano le ragioni che avevano indotto Mussolini ad approvare il provvedimento: svuotare il sindacato della sua forza e subordinarlo al partito, anche perché, con l’approvazione alcuni mesi prima della cosiddetta riforma della rappresentanza politica, esso sembrava destinato ad acquisire un maggiore peso politico; limitare il potere personale di Rossoni, l’unico potenzialmente in grado, dopo l’uscita di scena di Farinacci, di interpretare il ruolo di vice duce; tranquillizzare gli imprenditori, ancora inquieti per come il governo aveva gestito l’operazione di “quota 90” e preoccupati dalla residua aggressività dei sindacati».
Le numerose delusioni patite dai sindacalisti non comportarono tuttavia una resa a discrezione davanti a industriali e mondo della politica. L’influenza sindacale riceve una “boccata d’ossigeno” dalla citata legge sulla «rappresentanza politica» relativa al plebiscito del ‘28, che «prevedeva che degli ottocento nominativi di possibili candidati da proporre al Gran Consiglio da parte delle organizzazioni sindacali, padronali e dei lavoratori, ben quattrocentoquaranta spettassero alla Confederazione rossoniana», come ha scritto ancora Gagliardi. Lo spirito combattivo dei sindacalisti e della cosiddetta “sinistra fascista” non verrà mai meno, e conoscerà momenti significativi negli anni ’30 con un rinnovato protagonismo dell’associazione, sottolineato dallo sviluppo delle Scuole sindacali (che nel dopoguerra passeranno in larga parte alle Cgil) e dai progetti economici, di programmazione e di socializzazione, di cui si parlò anche prima della Rsi.
Nel frattempo, Rossoni viene rimosso dal ruolo di leader del sindacato e affronta nuove esperienze: nel settembre del 1930 diventa membro del Gran Consiglio del Fascismo (il 25 luglio 1943 voterà contro Mussolini venendo condannato in contumacia), due anni dopo, riveste la carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il 24 gennaio 1935 viene nominato Ministro dell’agricoltura e foreste, carica che mantiene fino al 1939, mentre nel 1938 è fra i firmatari delle leggi razziali. Verso il nazismo esprimerà anche alcune critiche per una visione sociale considerata “paternalista” e non aperta alla collaborazione dei lavoratori. Proprio negli anni ’30, infine, si impegna in una delle sue avventure più importanti: la trasformazione della natia Tresigallo in città “metafisica” e corporativa.
Un modello sociale. Rossoni e la città corporativa
Nei primi anni ’30, Rossoni presenzia alla fondazione di città quali Aprilia e Littoria immaginando al contempo un modello che potesse «andare oltre», inverando le sue idee di “sindacalismo integrale” e partecipazione sociale del cittadino. Come ha scritto Simona Politini: «Una città utopica, mai realizzata prima di allora, dove ci sarebbe stata una viva collaborazione tra lavoratore e datore di lavoro, con obiettivi finalizzati a creare nuove risorse e opportunità, nuovo sviluppo, maggiore ricchezza e benessere per la gente». Seguendo le indicazioni dell’ingegner Carlo Frighi e cercando di coinvolgere attivamente la popolazione, comincia un febbrile lavoro di edificazione di case, palazzi, ospedali, fabbriche e strade che investe tutta Tresigallo. Alberi, lampioni e servizi pubblici «di prim’ordine» prendono vita e trasformano la città, seguendo le direttive del razionalismo e di un modello che vuole fungere da vero e proprio esempio nazionale e internazionale. Se manca il materiale per via dell’autarchia, ci si ingegna con elementi sostitutivi, mentre gli edifici principali possono essere descritti usando anche le parole di Politini: «La costruzione del Loggiato della Chiesa rivestito in marmo bianco e ornato con formelle inneggianti al lavoro agricolo; la Casa del Fascio, attualmente caserma dei Carabinieri, anch’essa rivestita in marmo bianco; la maestosa piazza della Rivoluzione, a forma di D, con al centro un’elegante fontana arricchita da quattro sculture bronzee che rappresentano quattro gazzelle protese nell’intento d’abbeverarsi; l’Ospedale (la cosiddetta Colonia Post-Sanatoriale) per la cura della tisi, tempio eretto al culto della salute contro i germi del decadentismo, sfoggiante di una bellissima scala interna a spirale, la terrazza-solarium e una serie di finestre a forma di oblò; la monumentale entrata del Campo Sportivo, realizzato in marmo travertino; sono queste – col senno di poi – alcune opere della rifondazione che portarono ad un momento felice di pregiata architettura razionalista italiana».
La città “metafisica” e la traiettoria politica e sindacale di Rossoni (che nel dopoguerra dopo l’amnistia si ritirò a vita privata morendo a Roma nel 1965). Pagine della storia italiana che meritano di essere nuovamente studiate e discusse, con piglio scientifico e maturo, a partire dal progetto Dalla rifondazione all’agricoltor ferrarese passando per Edmondo Rossoni lanciato proprio a Tresigallo dall’On. Alessandro Amorese insieme al sindaco di Tresignana Mirko Perelli, con il sostegno del Ministero dello Sport – Dipartimento Anniversari Nazionali. Perché, come ha ricordato lo stesso Amorese, «sono ben tre gli anniversari che ricadono a Tresigallo quest’anno: i 90 anni dall’effettivo inizio della rifondazione di Tresigallo, i 60 anni dalla morte di Edmondo Rossoni, ideatore e realizzatore del ‘miracolo Tresigallo’, e i 250 anni dalla pubblicazione del trattato ‘L’Agricoltor Ferrarese’, di Don Domenico Chendi. Per ricordarli sono state progettate numerose attività culturali rivolte ai giovani del territorio e non, così da tramandare la cultura della conoscenza delle origini di questo straordinario territorio».
Bilbliografia essenziale
A. Amorese: Con progetto su Tresigallo valorizziamo magnifico esempio di urbanistica sociale: https://www.lavocedelpatriota.it/cultura-amorese-fdi-con-progetto-su-tresigallo-valorizziamo-magnifico-esempio-di-urbanistica-sociale/.
F. Cordova, Verso lo Stato totalitario. Sindacati, società e fascismo, Soveria Mannelli, Rubbettino 2015.
E. Fimiani, Edmondo Rossoni, “Dizionario Biografico degli Italiani”, Treccani, vol. 88, 2017.
A. Gagliardi, Il corporativismo fascista, Laterza, Roma 2010.
S. Muroni, Tresigallo, città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno, Pendragon, Bologna 2015.
G. Parlato, La Sinistra fascista, il Mulino, Bologna 2000.
G. Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla caduta del regime (1930-1943), Bonacci, Roma 1989.
S. Politini, Tresigallo, la città corporativa di Edmondo Rossoni: https://archeologiaindustriale.net/4756_tresigallo-la-citta-corporativa-di-edmondo-rossoni/
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