di Mario Bozzi Sentieri
Quanto ci costa, quando costa agli italiani e alle aziende nazionali, il cattivo funzionamento della nostra macchina pubblica? Nel tira e molla di un bilancio costretto a fare i conti con la crescita economica, la sostenibilità del debito pubblico ed il sostegno alle famiglie e alle imprese, varrebbe la pena di inserire tra le sue “voci” quelle che sono le nostre debolezze “strutturali” (la burocrazia, i mancati pagamenti della pubblica amministrazione, la lentezza della giustizia civile, il deficit infrastrutturale, gli sprechi nella sanità) e da lì partire per un riordino sostanziale del nostro Sistema Paese.
Secondo l’impareggiabile Ufficio Studi della CGIA il cattivo funzionamento della nostra macchina pubblica vale almeno 225 miliardi di euro l’anno, con un’incidenza sul Pil di oltre 11 punti, un valore più che doppio dell’evasione tributaria e contributiva presente in Italia (stimata attorno ai 100 miliardi di euro l’anno) ; quasi doppia della spesa sanitaria del nostro Paese (131,7 miliardi per il 2023); pari al valore aggiunto (Pil) prodotto nel 2021 da tre regioni del Nordest (Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia); di poco inferiore alle risorse che il nostro Paese dovrà spendere entro il 2026 con il Pnrr (235 miliardi).
Le lentezze e le inefficienze della nostra burocrazia (lentezze ed inefficienze – sia chiaro – non determinate immediatamente da chi lavora in ambito pubblico, ma da una sovrabbondanza di norme, di controlli, di rimpalli amministrativi, di conflitti di competenze) non sono proprio una novità.
Se ne preoccupò, era il 1852, perfino Cavour, nell’allora Regno di Sardegna. Poi ci provò il fascismo. Nel 1929 l’ex ministro Alberto De’Stefani fu messo a capo, da Mussolini, di un Comitato per il perfezionamento dei metodi di lavoro e di controllo delle pubbliche amministrazioni. La relazione finale del Comitato, portata in anteprima al duce, sarebbe stata da questi archiviata senza darvi alcuna realizzazione. Migliore fortuna non ebbe Alcide De Gasperi, che, nell’immediato dopoguerra, cosciente che c’era la necessità di rendere più efficace il lavoro della nostra PA, arrivò ad istituire, era il 1950, il primo ministero per la riforma burocratica (ministro Raffaele Pio Petrilli), senza grandi risultati però.
Il tempo pare anzi avere peggiorato la situazione, al punto che nell’ultima indagine campionaria realizzata a inizio di quest’anno, l’Italia si colloca al 23 posto a livello europeo per la qualità offerta dai servizi pubblici. Tra i 27 paesi UE messi a confronto, solo Romania, Portogallo, Bulgaria e Grecia presentano un risultato peggiore del nostro.
Il nocciolo della questione sta soprattutto nei modelli organizzativi utilizzati dalla nostra macchina pubblica e nel numero e nell’onerosità degli adempimenti burocratici.
Non a caso la vera “liberalizzazione” che viene spesso richiesta dagli imprenditori, specie dai più piccoli, è quella delle procedure, rispetto ai tanti “passaggi” a cui sono costretti per potere lavorare, distraendo risorse ed energie dalla loro attività principale, la produzione di reddito e di occupazione. E’ questo il primo banco di prova su cui la P.A. deve misurarsi e riformarsi. Occorre perciò anche semplificare e unificare le strategie, riducendo gli adempimenti e coordinando gli interventi tra Stato ed amministrazioni locali, evitando modelli differenti e potenziali conflitti.
E poi è necessario velocizzare le procedure. Anche qui il fattore umano si coniuga con l’efficienza della macchina pubblica, troppo spesso vista e sentita come un impedimento piuttosto che come un sostegno alle esigenze del cittadino e delle aziende.
Passa da qui la vera sfida della competitività e della modernizzazione. Passa da una visione non burocratica dei rapporti tra lo Stato ed i cittadini, da una piena assunzione di responsabilità dei funzionari pubblici e dunque dal doveroso riconoscimento dei loro meriti e delle loro eventuali inefficienze. Ma passa anche, finalmente, da una nuova consapevolezza sul ruolo dello Stato.
“L’uomo liberale – scriveva Luigi Einaudi – pone la cornice, traccia i limiti dell’operare economico, l’uomo socialista indica e ordina le maniere dell’operare”
Il maestro della cultura tradizionale, Julius Evola, parlando del ruolo dello Stato lo definiva come omnia potens , non omnia facens.
La Pubblica Amministrazione quale problema di “cultura politica” ? Certamente, visto che il grande tema, oggi come ieri, rimane quello del rapporto tra Stato e cittadini, un rapporto da costruire su nuovi basi, dando fiducia ai cittadini e nuova dignità (e strumenti adeguati) a quanti sono impegnati nel funzionamento della macchina pubblica.
Di questo il governo sembra essere ben consapevole. Ad inizio estate il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha posto la questione all’ordine del giorno: “Dopo il premierato, l’autonomia e la giustizia, a breve sarà la volta della burocrazia. Stiamo facendo riforme coraggiose e vogliamo continuare a farle”.
Il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, intervenendo alla presentazione del V Rapporto Osservatorio Burocrazia Cna, non è stato da meno: “Una burocrazia che si traduce in un eccesso di norme e adempimenti rappresenta non solo un problema da affrontare, ma un vero e proprio costo che mina la capacità imprenditoriale, rischiando di compromettere l’esercizio di attività che contribuiscono allo sviluppo dei nostri territori”,
Ci sono due scadenze che diranno molto della capacità del governo di mettere in campo azioni concrete. Innanzitutto la sfida prioritaria del Pnrr, che impone di reingegnierizzare e digitalizzare 600 procedure entro giugno 2026. Il governo ha semplificato oltre cento procedure in settori strategici e prioritari, come telecomunicazioni, ambiente, infrastrutture, un lavoro a cui si è affiancato il disegno di legge delega per la semplificazione dei procedimenti amministrativi in diversi settori, quali turismo, disabilità, farmaceutica. Inoltre, il decreto Pnrr ha messo in campo un ulteriore pacchetto di semplificazioni. L’obiettivo, sicuramente ambizioso, è quello della digitalizzazione di altre 100 procedure da aggiungere alle 100 già semplificate, in modo da risolvere la massima quantità possibile di pratiche con un semplice accesso on line.
L’altro grande fronte è quello dei controlli sulle imprese. L’idea non è quella di diminuirli, ma di renderli più razionali ed efficaci secondo un approccio collaborativo tra la Pubblica amministrazione e il tessuto industriale, così da garantire una maggiore stabilità e certezza.
Al fondo la consapevolezza che la lotta per una burocrazia amica ed efficiente debba essere giocata costruendo un nuovo rapporto tra Stato e cittadini/imprese: sfida non facile – ne siamo ben consapevoli – ma essenziale per ridare fiducia e nuova dignità perfino alla politica (e perciò al nostro Sistema Paese) oggi sentita come lontana dal vissuto degli italiani, i quali si sentono esclusi da un’effettiva partecipazione alla vita nazionale.
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