Di Francesco Carlesi
Tra social e dominio della tecnica, la valanga di messaggi e informazioni da cui siamo travolti quotidianamente rende sempre più difficile individuare quali sono i centri di potere che condizionano la politica e le democrazie contemporanee. A fare chiarezza sul fondamentale tema dello “Stato profondo” in Italia (nella definizione americana: «un’associazione ibrida di elementi governativi e parti di industria e finanza di alto livello in grado di governare senza riferimento al consenso dei governati espresso attraverso il processo politico formale») ci pensa il volume appena uscito di Flaminia Camilletti Il prepotere, le forme del deep State italiano (Eclettica, 2021) arricchito dalla prefazione di Camilla Conti e la postfazione di Carlo Fidanza.
L’autrice ci accompagna in un lungo e appassionante viaggio che inizia descrivendo i condizionamenti delle oligarchie economiche nell’intero emisfero occidentale, che sembrano svuotare ogni giorno di più la partecipazione politica e la rilevanza dei processi democratici. La moderna propaganda dei grandi potentati economici, descritta da autori come Chomsky e Stiglitz, ha spianato la strada all’individualismo e a una visione economicista che ormai pervade ogni ambito dell’esistente, distruggendo i vecchi equilibri: «Il sottoprodotto necessario di un sistema neoliberista è una cittadinanza apatica, depoliticizzata, cinica e apatica. Esattamente la società in cui viviamo oggi», nota la Camilletti. E ancora: «Gli attuali modelli economici non mostrano attenzione per la disuguaglianza e la distribuzione della ricchezza. Non la considerano affatto. La democrazia mercatista pone il mercato sopra a tutto e non produce cittadini, ma consumatori». L’accelerazione decisiva a questo processo è arrivata negli anni ’90, la stagione delle grandi privatizzazioni in Italia, affiancata alla decapitazione di un’intera classe dirigente e del sistema misto su cui si era retta la Nazione, tra luci e ombre ma ritagliandosi comunque un ruolo industriale e internazionale di peso. Il Guido Carli che firma il Trattato di Maastricht è uno dei protagonisti di quel mondo “tecnico” che mira allo svuotamento del parlamento e di alcune prerogative costituzionali (come la programmazione economica) in nome del mercato e del «vincolo esterno». Si è trattato della vittoria del mercatismo, la deleteria sintesi tra liberalismo e comunismo più volte richiamata da Giulio Tremonti. Ciampi e Prodi furono altri nomi centrali in quel momento che segnò la fine dell’Iri consegnando i nostri destini ad organi sovranazionali e alle direttive europee, anche per scarsa preparazione e visione delle classi dirigenti nostrane, quando non palese odio per la propria terra in nome di ideali cosmopoliti.
Nel contesto descritto, da trent’anni a questa parte, un attore è diventato sempre più egemone: la finanza. Le conseguenze vengono illustrate nella loro drammaticità dalla Camilletti: progressiva scomparsa della classe media, difficoltà delle piccole e medie imprese territoriali, aumento delle diseguaglianze, sempre minori possibilità di investimenti e programmi pubblici. Il mondo bancario si è trovato ovviamente in prima fila nell’accompagnare questo processo, ad esempio: «Negli ultimi anni si è utilizzato il denaro pubblico soprattutto per salvare le grandi istituzioni finanziarie too big to fail, e mentre le istituzioni bancarie tornavano in forza, più sane, più grandi, i debiti pubblici si ingrandivano rendendo ancora più fragili gli Stati che sono divenuti oggetto di selvagge speculazioni». Per sovrappiù, le agenzie di rating (tutt’altro che indipendenti, ma in mano a grandi speculatori come Warren Buffet) dettano spesso legge, con i loro giudizi che impattano direttamente sui destini degli Stati e dei popoli.
Uno dei passaggi più interessanti del libro arriva quando viene descritto “il club degli ex JP Morgan”, l’insieme di manager e grandi figure pubbliche “allevato” nella grande istituzione finanziaria americana e oggi nei posti-chiave nel sistema italiano. L’amministratore delegato di Mps Marco Morelli e quello di Poste Matteo Del Fante solo per fare due nomi. Oltre alla Morgan, un altro “cantiere” che ha sfornato personaggi importanti è quello della Goldman Sachs, e basti qui citare Monti e Draghi per tutti. Si tratta di intrecci di potere che rappresentano un vulnus per la democrazia e il vero “conflitto di interessi” da risolvere per l’Italia, se vorrà tornare padrona del suo destino. La regolamentazione dei mercati finanziari e il ritorno della separazione tra banche commerciali e banche finanziarie (come stabilito dalla Legge bancaria del 1936 poi abolita da Amato negli anni ’90) sono due dei primi provvedimenti suggeriti nel volume.
Anche il mondo della stampa vive oggi di distorsioni, sempre più lontano dalla realtà e controllato da ristrette oligarchie che acquistano un enorme potere di influenza in cui è la libertà di stampa a correre i rischi maggiori. Le banche o il gruppo Elkann condizionano quindi milioni di lettori in maniera velata, in una complessa dinamica che la Camilletti aveva già affrontato all’interno del suo denso contributo apparso sul volume dell’Istituto «Stato e Partecipazione», L’Italia del Futuro (Eclettica, 2020). L’analisi dello “Stato profondo” prosegue in ogni sua ramificazione, dalle famiglie che hanno beneficiato delle privatizzazioni (Benetton in primis) fino al mondo delle Fondazioni politiche, con Renzi quale protagonista indiscusso. Vengono poi riportati i legami con la Francia di partiti come il Pd e l’influenza, mai adeguatamente studiata, di istituti come l’americano BlackRock, il “moloch della finanza globale” che incide molto anche negli equilibri economici della penisola. L’affresco dell’autrice arriva poi a scandagliare tutte le manovre “nascoste” che hanno segnato la storia del governo gialloverde, della parabola di Conte, fino al recente insediamento di Draghi. In sintesi, il libro emerge come un ricco quadro delle oligarchie organizzate di potere che, come già avevano individuato un secolo fa gli elitisti, decidono i destini italiani dietro la coltre del dibattito pubblico, sempre più “basso” e desolante. Un volume che, contenendo anche numerose considerazioni economiche (dal divorzio Tesoro-Banca d’Italia del 1981 fino alla crisi del sistema sanitario), può essere una bussola fondamentale per districarsi nel difficile contesto di una Nazione in crisi e per provare a ridare dignità alla politica, che sola può invertire la rotta di una fine annunciata. La terza via economica e sociale, il ritorno dello Stato nel senso nobile del termine e soprattutto della formazione e della cultura possono e devono essere le prime strade da imboccare per politici che non vorranno più essere, come diceva Pound, «camerieri dei banchieri».
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