Nella polemica tra lo stare dentro o fuori dall’Unione Europea, non esiste chi ha ragione o chi ha torto. Soprattutto se il fine ultimo resta sempre il bene del nostro Stato. Eppure esiste un dato di fatto che è impossibile da non evidenziare: oggi l’Italia è un Paese membro della Ue e, a meno che non si attivi un lungo processo di uscita, allo stato attuale bisogna provare a risolvere la crisi con gli strumenti europei che, per quanto non particolarmente vantaggiosi, sono quelli che abbiamo.
Come funziona il Recovery Fund?
Le trattative orchestrate da Ursula Von der Leyen hanno portato verso un progetto di erogazioni pari a 750 miliardi, ma come è bene ricordare il diavolo si nasconde nei dettagli. Gli aiuti non saranno esclusivamente a fondo perduto, ma anzi, 390 miliardi verranno erogati sotto forma di sovvenzioni, che non dovranno essere ripagati dai Paesi destinatari, mentre 360 miliardi di euro verranno distribuiti sotto forma di crediti. All’Italia, dal 2021 fino al 2027 spetteranno ben 208 miliardi, ma purtroppo 128 di questi dovranno essere restituiti e solo 81 miliardi saranno erogati a fondo perduto. Questo risultato è stato interpretato come una vittoria perché i Paesi cosiddetti “frugali” (Svezia, Danimarca, Olanda, Finlandia e Austria) insistevano affinché le erogazioni fossero solo a credito. Il motivo per cui alla fine hanno ceduto risulta sostanziale: ad Olanda, Germania, Austria, Danimarca e Svezia saranno concessi grossi sconti sui contributi da versare all’Unione Europea. Per quanto riguarda l’Olanda, nello specifico, verserà quasi 2 miliardi di euro in meno l’anno.
Aspetti positivi
Esistono anche degli aspetti positivi in questa proposta di pacchetto: per la prima volta è prevista una forma di condivisione del debito. Infatti la Commissione europea a tale scopo potrà emettere titoli comuni sui mercati finanziari e gli Stati membri dovranno solo esprimere una garanzia di sostegno dei titoli in caso di necessità. I mezzi previsti dal fondo vengono amministrati in modo diverso rispetto a quelli previsti dal Mes (Meccanismo europeo di stabilità): il Recovery Fund seguirà la legislazione Ue, sarà quindi la Commissione ad ottenere nella sostanza il controllo sull’utilizzo degli aiuti.
Aspetti negativi
Non sono pochi. Come per ogni erogazione a credito esistono delle condizionalità. Il Recovery Fund non servirà solo a favorire la crescita, ma anche a mettere in atto una serie di investimenti atti a difendere il clima e favorire la digitalizzazione. Per seguire questo scopo i singoli Paesi dovranno presentare dei piani di riforma che dovranno essere approvati dalla Commissione. I prestiti erogati quindi, che saranno finanziati da noi stessi, potranno ricevere dei veti dagli stessi Paesi che hanno ricevuto forti sconti sui piani di finanziamento. Come se un privato contraendo un mutuo per ristrutturazione per la propria casa e avendo ipotecato la propria casa a garanzia, pur ripagando il mutuo correttamente ricevesse indicazioni dalla banca sul tipo di piastrelle da usare per il suo stesso bagno. Tornando al Recovery fund, mentre l’idea originaria era quella di far controllare alla Commissione sola i piani di riforma, oggi la proposta prevede che gli Stati saranno chiamati ad accettare i vari piani di riforma in base a maggioranza qualificata. Nell’eventualità in cui un membro avesse ancora delle obiezioni, potrà sottoporre la questione al Consiglio Ue. Questo ultimo aspetto somiglia molto alla richiesta olandese di ottenere il diritto di veto ed ha quindi generato non pochi malumori. Infine il progetto di finanziamento prevede che gli aiuti possano essere erogati già tra pochi mesi, a inizio 2021, ma nella pratica si attende ancora che il piano venga varato dal Parlamento Europeo e dai parlamenti nazionali e nel frattempo alcuni partiti e coalizioni già stanno chiedendo la possibilità in intavolare ulteriori trattative.
Sembrano soldi gratis, ma non lo sono, sono nostri e il dibattito dovrebbe incentrarsi sul come orientarne la spesa. Soprattutto dal momento che dovranno essere ripagati fino al 2057, almeno. La direzione che sembrerebbe prendere il governo è quella di statalizzare al massimo la piccola impresa italiana, almeno secondo la professoressa Mariana Mazzucato, consulente di Colao e fautrice dello Stato innovatore. Il timore è che uno Stato troppo presente possa soffocare la libera impresa soprattutto in alcuni settori. D’altro canto si è visto come, dati alla mano, nonostante tutti gli sforzi profusi in termini di contenimento del virus, sia stata proprio la sanità lombarda (eccellente nel privato e inadeguata nel pubblico) a pagare il prezzo più alto in termini di decessi in rapporto alla popolazione. Il frutto di questa tragedia è dovuto allo smantellamento del welfare state voluto dalle politiche di austerity e ai tagli al pubblico operati negli ultimi anni e decenni in Italia. Sanità, infrastrutture, istruzione e trasporti hanno pagato il prezzo più caro, mentre inesorabilmente i piccoli centri e gli antichi borghi hanno perso popolazione e investimenti.
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