CONTRO LA CRISI, STUDIARE E PROGRAMMARE

CONTRO LA CRISI, STUDIARE E PROGRAMMARE

Ogni giorno che passa, l’Italia appare sempre più sull’orlo del baratro. Tante imprese, cittadini e lavoratori vedono da lungo tempo la loro situazione peggiorare drammaticamente, e le conseguenze della crisi sanitaria avranno ricadute economiche di cui ancora si faticano a comprendere i reali contorni.  L’impoverimento sociale e culturale della nazione è evidente, le giovani generazioni non intravedono futuro e infine i dati demografici fotografano la lenta e inesorabile scomparsa del popolo italiano. Il panorama offre pochi slanci vitali, quasi solo difficoltà economiche, schiavitù della tecnica, odio di sé e pochissimo senso comunitario, senza il quale nessuno Stato è mai riuscito a  ritagliarsi un ruolo e una dignità internazionale. Davanti a una situazione del genere ogni parola sembrerebbe superflua, ma la storia ci impone di lottare per costruire un destino diverso. La responsabilità, l’identità e i «doveri dell’uomo» sono le stelle polari in risposta all’ipertorfia dei diritti del globalismo individualista e del progressismo iconoclasta. 

Nell’epoca dei social, dei cinguettii, delle banalizzazioni ad ogni costo e delle scadenze elettorali non c’è niente di più rivoluzionario che riuscire a impostare strategie e programmi di lungo periodo. Creare luoghi di crescita, confronto ed elaborazione politico-culturale è una delle sfide da vincere per gli ambienti patriottici e non conformisti di fronte agli ostacoli posti dalla globalizzazione e dal pensiero unico politicamente corretto. All’apparenza e all’inseguimento degli umori dell’opinione pubblica bisogna sostituire il pensiero e la creazione di centri di formazione per politici a tutto tondo e sindacalisti preparati. Le risposte concrete ai problemi della società sono sempre sorte al termine di lunghi travagli culturali e di elaborazioni teoriche di alto livello. L’alternativa è accontentarsi di effimeri successi e lasciare rovine dietro di sé.

La cultura è un campo di battaglia. In Italia, gli ambienti progressisti hanno conquistato l’egemonia a livello accademico e mediatico grazie ad una precisa strategia e ad un’indubbia capacità di fare rete (e imporre censure a discapito delle voci dissonanti). La ricerca storica ne ha risentito in maniera negativa, e tanti, troppi tabù si sono affermati. Il mondo “non allineato” ha avuto raramente la forza e il coraggio di sfidarli senza complessi d’inferiorità, ma bisogna anche riconoscere che troppo spesso la cultura è stata considerata un accessorio, incapace di portare immediate rendite o consensi. E l’ondata “sovranista” non sembra aver cambiato le carte in tavola in profondità. Rari investimenti, pochi elementi di valore incoraggiati e lanciati, tante opportunità gettate alle ortiche, nonostante una serie di iniziative editoriali di valore.

Su uno dei temi centrali dei nostri tempi, il lavoro, proprio da uomini espressione di quel mondo lontano dai riflettori culturali sono arrivate in passato le migliori proposte degne di nota. Sconosciuto ai più, l’Istituto di Studi Corporativi elaborò sin dagli anni ’70 contributi incentrati sulla programmazione economica, la critica al liberismo selvaggio e la partecipazione dei lavoratori. Quest’ultimo tema, che colorò la riflessione economica tra le due guerre e l’Rsi per poi diventare il cavallo di battaglia della Cisnal e del Msi, è oggi ripreso da ambienti cattolici o di sinistra quale antidoto alle delocalizzazioni e alla crisi del sindacato. Esempi fecondi a livello concreto si possono trovare in Germania, e anche l’Europa ne ha spesso fatto menzione in alcune direttive. Lo sguardo globale, la serietà scientifica, la maturità delle proposte di uomini come Gaetano Rasi, Ernesto Massi, Giano Accame furono d’altronde un vero e proprio marchio di fabbrica, e sono le prime armi da impugnare nella quotidiana “battaglia culturale”. Questa deve partire dallo studio storico fino ad arrivare a disegnare coraggiosamente nuovi modelli di lavoro, di uomo, di società, contro il fatalismo e la crisi sanitaria, economica, spirituale e demografica di tutta l’Europa. Bisogna valorizzare la Costituzione nella sua parte economica e riformarla negli aspetti obsoleti che frenano le decisioni politiche, bisogna riportare lo Stato al ruolo e alla dignità che gli compete. Si (ri)cominci dunque a studiare e programmare, «Stato e Partecipazione» non vuole fare altro che questo.

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