Dopo l’articolo di Flaminia Camilletti del 10 settembre su luci e ombre del Recovery Fund, il professor Daniele Trabucco torna sul tema con un breve intervento che mette in evidenza i rischi che questo progetto presenta, per la nostra Nazione in particolare (ndr)
Il Recovery Fund è lo strumento «innovativo» deciso dall’Eurogruppo dell’8 maggio 2020. Si tratta di un fondo garantito dal bilancio a lungo termine dell’Unione europea (2021-2027). Emetterà dei titoli (c.d. recovery bond) sui mercati, dopodiché distribuirà i soldi raccolti agli Stati membri. Questi verranno poi utilizzati per finanziare la ripresa delle economie europee. Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, infatti, nel 2020 il PIL della zona euro calerà del 7,5% a causa della pandemia causata dal Covid-19. In data 27 maggio 2020 il Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha presentato il nuovo strumento con una dotazione di 750 miliardi di euro. È agganciato, come previsto, al bilancio dell’Unione Europea 2021-2027. All’Italia, in particolare, spetteranno 172,7 miliardi dei quali 81,807 a fondo perduto e 90,938 come prestiti.
Non mancano le criticità. Non è ancora sopita, infatti, la discussione inerente alle modalità attraverso le quali il Fondo distribuirà i soldi agli Stati. L’Italia, insieme ai Paesi dell’eurozona maggiormente indebitati, premeva per i cosiddetti finanziamenti a fondo perduto, cioè che non dovevano essere restituiti, interessi a parte. La Repubblica federale tedesca, l’Olanda, l’Austria e i Paesi del c.d. blocco del nord erano e rimangono contrari all’idea di un «debito perpetuo» europeo, sia pure limitatamente ad un certo importo.
Detto diversamente, la partita sul Recovery Fund si giocava proprio sul dilemma se monetizzare o mettere a debito il deficit spending di taluni Paesi. La Commissione ha optato per una soluzione intermedia. Tuttavia, anche ammesso che i singoli Stati dell’eurozona non saranno chiamati a rimborsare individualmente una parte delle somme ricevute, è altrettanto vero, però, che tutti gli Stati membri saranno chiamati a rimborsare (in base al PIL) il debito comune emesso dalla Commissione. E questo comporterà ovviamente trasferimenti significativi da parte dei maggiori Stati dell’Unione Europea, inclusa l’Italia, attraverso un maggiore prelievo fiscale. Dunque alla fine, come vale oggi per il bilancio europeo, a determinare se un paese ci avrà guadagnato o meno dal Recovery Fund sarà il saldo finale tra la somma che avrà ricevuto dal fondo in questione e la somma che invece sarà chiamato a metterci dentro stimata intorno ai 56 miliardi di euro.
Non bisogna dimenticare, infatti, che la Commissione, per finanziare il fondo, da un lato propone di aumentare temporaneamente la quota di contributo di ciascuno Stato membro al quadro finanziario pluriennale (QFP) dell’Unione al 2% del rispettivo reddito nazionale (l’Italia è il terzo contributore con il 12% dietro la Francia al 15,5% e la Germania al 20,5%), dall’altro ricorrerà ai mercati finanziari, facendo leva sul proprio rating creditizio mediante l’emissione di bond Tripla A. Ovviamente gli investitori dovranno essere rimborsati, quota parte per ciascun Paese attraverso i futuri bilanci dell’Unione a partire dal 2028 e, comunque, non oltre il 2058. Si rischia di infilarsi sempre più in un circolo vizioso che mette (e sta già mettendo) a repentaglio la tenuta sociale e il futuro della Nazione.
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