Un classico sempre attuale. TORNANO “LE RIFLESSIONI SULLA VIOLENZA” DI GEORGES SOREL

Un classico sempre attuale. TORNANO “LE RIFLESSIONI SULLA VIOLENZA” DI GEORGES SOREL

di Mario Bozzi Sentieri

La riproposizione – per le edizioni Castelvecchi  – delle Riflessioni sulla violenza (1908)  di Georges Sorel  è un’opportunità importante per “ritrovare”, in tempi, quali sono gli attuali,  di bassa tensione ideale,  un classico del pensiero politico e sindacale, in grado di “andare oltre” i vecchi schematismi ideologici.

Non a caso Sorel fu amato e condiviso “trasversalmente” dalle effervescenti avanguardie del radicalismo sociale novecentista, con al centro le Riflessioni, vero e proprio manifesto del sindacalismo rivoluzionario, ma non solo. “Quel che sono lo devo a Sorel” – disse di lui Benito Mussolini, che inserì  (nella voce Dottrina del fascismo della Enciclopedia Italiana)  l’autore  delle Riflessioni tra le correnti  “fondative” del fascismo,  insieme a Lagardelle, Peguy, le Pagine libere di Olivetti, La Lupa di Orano, il Divenire sociale di Enrico Leone. Sul fronte della sinistra rivoluzionaria Sorel venne fatto proprio dal gruppo dell’Ordine Nuovo di Torino, capitanato da Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, pur con qualche distinguo da parte dello scrittore sardo, che,  nei Quaderni del carcere, inviterà tuttavia a ristudiarlo,  per cogliere  “ciò che di esso è più essenziale e permanente”.

A rimarcare queste “condivisioni”,  nell’introduzione all’edizione delle Riflessioni , ora proposta da Castelvecchi, Fabio Martini ricorda che nel 1932, a dieci anni dalla morte di Sorel, l’ambasciatore italiano a Parigi, ovviamente d’accordo con Mussolini, diede la disponibilità del governo italiano a realizzare un monumento funebre in suo onore. Stessa iniziativa venne dall’ambasciatore sovietico.  

Quali sono i fattori dirompenti del “trasversalismo” soreliano? La violenza è per Sorel l’ineludibile atto di guerra che alimenta la speranza di una nuova era socialista, il solo farmaco in grado di curare insieme i mali della borghesia e del proletariato. Una borghesia che – ci dice Sorel – ha due facce. La prima è quella della stanchezza e della decadenza, priva di slanci, appagata nell’ avere esaurito il suo ruolo storico. L’altra è quella vigorosa e ricca di volontà, “razza dei capi audaci” infiammati dalla passione del successo. Al proletariato, attraverso il sindacalismo di classe, di incalzare la borghesia, di richiamarla alle proprie responsabilità, rompendo con i giochi parlamentaristici, con i facili compromessi, tipici del riformismo socialista.

Le sorti del mondo, assediato dalla decadenza, si giocano perciò dalla possibilità che le forze in campo (il proletariato e la borghesia) dispieghino il loro spirito combattivo.

Da qui, contro l’economicismo marxista, il primato del volontarismo e del mito quali strumenti di conquista dell’immaginario proletario: “Gli uomini – si legge nelle  Riflessioni –  partecipano ai grandi movimenti sociali e si figurano le loro future azioni come immagini di battaglie, per assicurare il trionfo della causa. Importa assai poco sapere quali particolari, contenuti nei miti, siano destinati ad apparire realmente sul piano della storia futura; si può anche concludere che niente di quanto contengono si produce.

E’ nell’introduzione al suo libro che Sorel evidenzia i caratteri del mito e dell’utopia. Che cosa sono i miti all’interno del moderno contesto sociale? Essi sono innanzitutto “espressioni di volontà”, svincolati dai criteri e dalle regole della logica consueta (mentre l’utopia appare come una costruzione artificiale ed intellettualistica); sono unitari, a differenza dell’utopia, che può essere “smontata”; sono interiorizzati e “vissuti” (l’utopia è distaccata dalla persona); sono creatori (mentre l’utopia è sterile).

Che cosa ci aiuta a comprendere, ancora oggi, questa distinzione? Che la sconfitta, rispetto ai tempi, era (ed è) dell’utopia, ancora prima del fallimento dei regimi del cosiddetto “socialismo reale”, nel momento in cui “utopia” ha significato intellettualismo, scissione dal reale (e dalla persona), sterilità, indifferentismo etico. Che il venire meno dell’utopia, propriamente detta, non può significare fine di ogni aspettativa autentica al cambiamento, intesa come “cambiamento di vita”, come “ricerca di sorgenti più profonde” – per dirla con Charles Péguy – di rivoluzione nel senso letterale del termine, di un “ritorno alle sorgenti”.

Non a caso, riflettendo sull’opera di Marx e dei suoi esegeti francesi, italiani e tedeschi,  Sorel coglie nella scarsa attenzione, se non nella vera e propria svalutazione del fattore morale, uno degli elementi deboli nell’analisi del filosofo del “materialismo storico”. Al contrario egli  non solo vede nell’etica una dimensione decisiva dell’esistenza, ma annette “grandissima importanza alle considerazioni morali”, viste non già come un recupero meccanicistico di esperienze appartenute al passato, ma in quanto proiezione presente e futura di una società costruita grazie ad un proletariato libero non solo economicamente, ma anche eticamente, dagli egoismi liberal-borghesi.

Non basta dunque – ci dice il nostro –  mutare i rapporti di produzione e ribaltare le alleanze politiche, sperando con ciò di cambiare, nella sostanza, la realtà. Occorre la “riforma della vita”.

Ad un mondo che ha fatto dell’indifferentismo etico la sua bandiera, Sorel oppone, da parte sua,  la “pratica eroica” della fede popolare, dei diritti e dei doveri, che si manifesta nei rapporti interumani, nell’altruismo e nel vincolo matrimoniale e familiare.

Anti  utopico, eticamente motivato, vitalistico, mobilitante: sono tante le “ragioni” per rileggere, oggi, Sorel. Dall’uscita di Réflexions sur la violence  di tempo ne è passato. I contesti sono mutati e così i rapporti tra le forze sociali. A cercare ragioni  suggestive per  misurarsi adeguatamente rispetto alla contemporanea crisi di valori certi guizzi soreliani continuano tuttavia a mantenere invariato il loro fascino, soprattutto laddove ci invitano ad un’assunzione di responsabilità, insieme etica, sociale e politica, che va ben al di là dei tempi, assumendo un valore universalistico.

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