di Mario Bozzi Senteri
L’America di Trump pare avere le idee chiare sui propri destini. Può piacere o meno, ma la “National Security Strategy” (NSS), il documento con cui il presidente Usa ha delineato le proprie strategie di medio-lungo termine, è un dato di fatto con cui l’Europa deve imparare a fare i conti ed attivare le proprie contromisure. A partire proprio dal “cambio di paradigma” delineato dall’attuale presidenza statunitense.
In appena una trentina di pagine la Casa Bianca abbandona decenni di dottrina interventista e mette al centro dell’azione strategica non l’esportazione della democrazia ma la ricostruzione della potenza industriale americana.
L’obiettivo è di “proteggere il Paese e il suo stile di vita” fino al ripristino della “salute spirituale e culturale” degli USA. I principi passaggi operativi ruotano all’interno di un perimetro ristretto di interessi nazionali: pace attraverso la forza, non interventismo selettivo, realismo flessibile, centralità della nazione, equilibrio di potenza, lavoratore americano al centro, equità, competenza e merito.
“L’ era delle migrazioni di massa è finita” e ora – scrive Trump – bisogna garantire la tutela dei diritti fondamentali ai cittadini americani, operando per una redistribuzione degli oneri e per un commercio bilanciato, sull’accesso alle materie prime critiche e sulla “catena di approvvigionamento” (supply chain), in concreto sulla reindustrializzazione, sulla ricostruzione della base industriale della difesa, sulla supremazia energetica e finanziaria.
Nei confronti degli altri Paesi, specie quelli delle Americhe, non si vuole proseguire con il modello storico di mano d’opera e materie prime a basso costo, ma su una ridefinizione dei rapporti di forza. Il piano al riguardo prevede l’allargamento dei partner e la progressiva marginalizzazione dei “competitor extra-emisferici” e lo si fa con toni che in taluni passaggi richiamano antiche prassi di cambio di regime.
Sull’Europa la diagnosi è impietosa, fino a parlare di declino e rischio di “estinzione civile”. L’elenco delle critiche al modello UE è lungo e giunge alla previsione che se le tendenze attuali proseguiranno il continente in vent’anni sarà irriconoscibile.
La domanda di fondo, contenuta nel NSS, è se alcuni membri della Nato avranno ancora economie e forze armate in grado di renderli alleati affidabili. E il testo si spinge oltre: “Nel lungo periodo è plausibile che certi membri della Nato diventino a maggioranza non europea, e per ciò resta incerto come vedranno il loro ruolo nel mondo e nell’Alleanza atlantica”.
Parte degli organi di informazione e della politica europea hanno enfatizzato il presunto definitivo “divorzio” tra USA, a conduzione trumpiana, e l’Europa e hanno sottolineato le vere e proprie scorrettezze contenute nel NSS a proposito dell’incapacità dell’UE di individuare un’uscita da questa crisi verticale e della necessità di ridare spazio e potere agli Stati nazionali.
Il “Financial Times” ha parlato di scontro di civiltà tra America e Europa, anche se la NSS ribadisce che il continente resta “strategicamente vitale”. Ma la ricetta è chiara: aiutare l’Europa a correggere la propria traiettoria, Stato per Stato, bypassando Bruxelles con una priorità dichiarata: “Coltivare la resistenza alla traiettoria europea all’interno delle nazioni europee.”
A questo punto – di fronte all’attacco di Trump – che cosa resta del “modello europeo”? E soprattutto che fare ? Attendere – come ha auspicato Federico Rampini sul “Corriere della sera” – una “rivincita indiretta” in vista di una ipotetica rinascita dei democratici americani, magari tra undici mesi alle legislative di metà mandato (con questo – notiamo noi – confermando la debolezza “strutturale” del sistema europeo) ovvero tornare ad essere un faro di civiltà, ben incardinato nella sua Storia e nella sua cultura ? Credere in noi stessi ovvero restare al traino di un alleato spregiudicato?
Tra l’Euroconformismo burocratico e finanziario ed un Euroscetticismo semplificatorio, spesso “gridato”, che si manifesta nella latitanza rispetto agli appuntamenti elettorali e nella lontananza dell’opinione pubblica dalle grandi questioni della politica continentale, c’è spazio per una “terza via” europeista spiritualmente motivata? E dove cercarla ?
Intanto nella necessità di ricostruire la concreta consapevolezza di un’Europa impegnata sui temi forti dell’economia e della socialità, sui crinali della sicurezza e della politica estera. Un’Europa che sa assumersi finalmente le proprie responsabilità rispetto ai suoi cittadini e dunque sa ad essi trasmettere certezze e speranze autentiche. Un’Europa che sappia essere Madre più che – come oggi – matrigna. Disciplinatrice più che vessatoria. Capace di suscitare aspettative piuttosto che essere sterilmente burocratica.
Un’altra Europa è possibile? Non è facile. Bisogna cominciare a pensarci, forti anche della consapevolezza rispetto ad una Cultura che sentiamo nostra, ma che evidentemente non può esaurirsi nella mera contemplazione della memoria. Va piuttosto promossa e condivisa. Va portata nelle scuole e trasformata in messaggio formativo-collettivo. Va resa attuale. Va fatta propria dalle giovani generazioni. Va incarnata da una classe dirigente (politica, economica e culturale) all’altezza della sfida.
All’Europa olimpica e dorica, all’Europa di templi e di dei, romana ed imperiale, audace e guerriera, cervello socratico e cuore cristiano – come scrisse un grande europeista spagnolo (Salvador de Madariaga) , all’Europa d’incunaboli e di immaginazioni futuriste, è urgente collegare organicamente l’Europa del lavoro e del diritto, della produzione e della scienza, capace di farsi esempio di civiltà, particolarmente oggi, in questi tempi di disperazioni globali.
Europa di ieri, di oggi e di domani, Europa di sempre se si riuscirà ad andare oltre le piccole frustrazioni della quotidianità, oltre le stanchezze per crisi che sembrano senza soluzione, oltre la mancanza di consapevolezza non solo rispetto ad una Storia ma all’avvenire.
Per “fare l’avvenire” dell’Europa, per fare veramente l’Europa, c’è allora bisogno di portare a sintesi le tante, sparse aspirazioni e necessità presenti sul nostro continente, ma bisogna soprattutto guardare avanti, per rimettere in carreggiata l’Europa stessa, oggi percorsa da crisi d’identità e di ruolo. A chi si riconosce nell’Europa della memoria e del futuro di individuare i nuovi percorsi dell’integrazione continentale ed i contorni di un progetto originale di cultura, di politica, di civiltà in grado di essere compreso e condiviso da tutti gli europei. Importante è mantenere alta la guardia. Discuterne. Soprattutto crederci. E muoversi di conseguenza.

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