Per la seconda intervista della rubrica “Voci dalle campagne” siamo scesi a sud-est, per la precisione a Manfredonia, in provincia di Foggia. Ma niente grano, niente ulivi. Una bella realtà zootecnica di dimensioni medio-grandi, specializzata nell’allevamento di vacche da latte e situata ad appena 5 km dal centro della cittadina pugliese.
L’azienda agricola “Le Mucche di Ros” della Pedicagnola srl, è gestita dalla giovanissima e volenterosa Rosa Maria Salcuni, classe 1994, che rappresenta la terza generazione di allevatori dopo il nonno, che ha cominciato con qualche capo di bestiame e il padre, che negli anni ’90 ha portato l’allevamento a livelli importanti, migliorandone la gestione, i ricoveri e improntando la gestione dell’azienda verso il benessere animale, espressione al tempo non così sdoganata e inflazionata come adesso.
Rosa, dopo essersi diplomata al Liceo Classico, decide di iscriversi alla facoltà di Scienze e tecnologie agrarie presso la sede di Piacenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, conseguendo la laurea triennale e quella magistrale. Specializzatasi nel miglioramento genetico animale, effettua uno stage presso l’ANAFI, oggi ANAFIBJ, “Associazione Nazionale Allevatori Frisona Italiana, Bruna e Jersey”, nell’ufficio Ricerca e Sviluppo, occupandosi dello sviluppo di indici genomici.
Ma il richiamo della sua terra è troppo forte. Ritorna a Manfredonia e prende l’abilitazione da Dottor Agronomo. Inizia a collaborare con un’azienda per integratori alimentari zootecnici, attività che le permette di girare e vedere realtà più o meno simili a quella della sua famiglia e dopo quasi due anni decide di dedicarsi interamente e totalmente al suo “progetto aziendale”.
Tradizione familiare, ma anche voglia d’innovare e sondare nuove esperienze, sono il segno distintivo di questa azienda, dimostrando una volta di più l’importanza del ricambio generazionale in agricoltura. Anche nel momento difficilissimo che stiamo attraversando e che coinvolge in modo particolare tutte le realtà zootecniche italiane, Rosa è un bel esempio di spirito giovanile, fatto di passione e voglia di guardare avanti.
Parlaci brevemente della tua azienda
“Le Mucche di Ros” è costituita da circa 80 ha di terreni, di cui 75 coltivati a foraggio (avena, trifoglio e triticale) destinato all’alimentazione del bestiame, affienate o insilate. Niente lavorazioni sui terreni che conduciamo, solo semina e trinciatura/sfalciatura, riducendo così il fenomeno dell’erosione del suolo e incrementando la presenza di sostanza organica.
I restanti 5 ha aziendali sono adibiti alle stalle, ai locali di mungitura e stoccaggio latte, ai silos e ai magazzini.
Abbiamo 2 stalle, una per le vacche in lattazione, l’altra per il giovane bestiame. In tutto sono circa 200 esemplari, di cui un centinaio in lattazione e l’altra metà composto da bestiame giovane e vacche in asciutta. I nostri animali sono alimentati con l’utilizzo esclusivo di materie prime (mais, soia, orzo e lino) e con il fieno e l’insilato di nostra produzione, avendo abolito qualsiasi mangime all’interno dell’azienda.
Il caseificio è invece in una sede distaccata, situata in centro paese, in modo tale che chiunque possa venire a trovarci e assistere ai nostri processi produttivi.
Con noi lavorano 5 persone, le quali si occupano chi delle stalle, chi delle coltivazioni.
- Quando si parla di agricoltura pugliese difficilmente si pensa alla zootecnia. Siete una mosca bianca o la realtà della zootecnia da latte è più strutturata di quanto si possa immaginare nella regione?
In Puglia si pensa ci siano esclusivamente uliveti e campi di grano, ma poi non ci si chiede da dove venga il latte per la burrata o il caciocavallo, prodotti per i quali siamo piuttosto rinomati? Beh… in Puglia ci sono tante realtà zootecniche, distribuite in concentrazioni maggiori nella provincia di Bari e Taranto. Siamo piuttosto strutturati, ma non ci facciamo valere per quello che facciamo, per l’apporto che diamo al territorio. Siamo mosche bianche perché in pochi conoscono le nostre realtà, le stalle sono chiuse al pubblico, diciamo che lavoriamo a porte chiuse e quindi ci mettiamo noi stessi nelle condizioni di essere mosche bianche.
- Quali sono le principali difficoltà nel fare zootecnia da latte al sud?
Le maggiori difficoltà nel creare “struttura” sono: La distanza tra i vari allevamenti; La logistica e le infrastrutture, quindi difficoltà nei trasporti, qualità del manto stradale e non sufficientemente reticolato per garantire una maggiore “comunicazione” e “collaborazione” tra le aziende; Il clima, soprattutto, la siccità.
- All’inizio dell’intervista hai fatto un accenno al caseificio aziendale. Puoi dirci qualcosa di più in merito e quali sono i vostri prodotti di punta e i principali canali di smercio?
Già i miei genitori svolgevano attività di trasformazione casearia, ma in modo piuttosto silente. Io ho voluto dare maggior risalto all’attività di trasformazione e da circa un anno a questa parte mi sono gettata a capofitto nella caseificazione per chiudere il cerchio “dal loro cibo al nostro cibo”, seguendo tutte le fasi con scrupolosità e molta attenzione.
I nostri prodotti di punta sono sicuramente latte, yogurt e dessert. A detta dei nostri clienti “chi li assaggia non ne può più fare a meno”.
Fino a qualche mese fa la producevamo per lo più nodini e caciocavallo, ma per come sono fatta io, che la creatività la metto anche nel richiedere un caffè al bar, una volta imparato a conoscere la materia prima e quale fosse il modo migliore per lavorarla, mi sono impegnata a provare a fare cose diverse.
Così, tra i nostri prodotti di punta, si sono aggiunte anche la ricotta (cremosa, soffice e non particolarmente salata), le trecce grandi (da 1 kg in su, mi piace lavorare la pasta in modo tale da far assaporare la treccia prima con la vista e poi con il gusto), la burrata, il primosale (che sia naturale, alla rucola, al pistacchio, al limone ecc poco importa, fresco, quasi impalpabile, leggero), il caciocavallo, ma più di ogni altra cosa le FANTACACIOTTE, caciotte condite con qualsiasi cosa mi salti in mente, dall’uvetta passita all’albicocca candita, fichi secchi, vino rosso, nocciole, frutti rossi, arachidi, erba cipollina, rosmarino e chi più ne ha più ne metta, anzi si accettano suggerimenti!
Quando faccio le caciotte ho il sorriso stampato in faccia, mi diverto troppo, e mi diverto ancor di più a vedere la faccia del cliente che assaggia e ne rimane colpito, quell’espressione incredula ma anche un po’ estasiata.
Al momento il punto vendita del caseificio è il principale canale di smercio dei nostri prodotti, ma anche se non abbiamo ancora attivato un vero e proprio portale di e-commerce, siamo presenti sui social con le nostre pagine Instagram e Facebook, che ci hanno permesso di travalicare i confini regionali. Abbiamo spedito un po’ ovunque, dalla Sicilia al Piemonte, passando per Lazio e Liguria.
- Domanda, purtroppo, di rito. Come state affrontando l’attuale congiuntura economica, dove gli aumenti dell’energia e delle materie prime sono, a dir poco, spaventosi?
Il periodo è nero, i prezzi di tutti gli input aziendali sono aumentati, ma il prezzo dell’output è rimasto invariato, non è stato aumentato neanche di 0,01€. Abbiamo calcolato un aumento dei costi di circa 5.670,00€ al mese… senza considerare gli imprevisti. Al momento stiamo andando verso una riduzione del bestiame, cercando di tenere in stalla gli animali più produttivi e anche quelli più sani. Non ci si può permettere di tenere in allevamento animali che producono al di sotto dei 35 lt di latte, con problemi di zoppie, mastiti o problemi di fertilità. Ricercheremo, inoltre, l’autosufficienza aziendale a livello alimentare, per poter diventare più sostenibili sia a livello economico ma soprattutto a livello ambientale, riducendo l’acquisto di materie prime che prima di arrivare in azienda percorrono tanti, anzi troppi km.
- La nuova PAC e il relativo Piano Strategico Nazionale, ridurranno molto i contributi al comparto zootecnico e introdurranno diverse condizionalità sul benessere animale. Secondo voi, non si corre il rischio di porre un ulteriore carico sulle spalle degli allevatori?
Considerato che per noi il “benessere animale” è alla base di tutto, ne siamo tra i portavoce dagli anni 90, dal nostro punto di vista non è altro che un aiuto e un punto a favore. A tal proposito ci tengo a fare un esempio. Recentemente in azienda abbiamo introdotto la cromo-terapia nelle stalle, così la notte la luce aiuta le bovine a muoversi, ma allo stesso tempo non sono disturbate da lunghezze d’onda che promuovono l’eccitabilità, ma piuttosto conciliano il riposo e il rilassamento.
Gli animali vanno allevati in modo degno, non per noi, per loro. Trattali bene e loro ti tratteranno bene a pari merito. È giusto tutelare la salute e il benessere degli animali, perché significa più produttività, minimo uso di medicinali, maggiore qualità, più efficienza, oltre a coesistere con una maggiore tutela verso il consumatore.
È prova di ricerche scientifiche che c’è una stretta correlazione tra qualità del latte e benessere animale, allora se l’interesse principale deve essere il consumatore, a cui fornire un prodotto salubre e di qualità, credo che ulteriori strette sul benessere animale non possano essere altro che un aiuto per chi da sempre si distingue, investendo su questo. Chiedendo anche al resto del sistema di adeguarsi, creando una linea comune.
- Burocrazia eccessiva: quanto tempo ruba al vostro lavoro?
Le ore passate in fila negli uffici? Troppe. Con il covid i tempi si sono triplicati. Per qualsiasi pratica, in qualsiasi ufficio, che sia comunale, regionale o delle associazioni di categoria, i tempi sono biblici. Prima di poter svolgere una pratica, devi fornire un numero infinitesimale di documenti, che si risolvono in ore e ore di fila, quantità enormi di mail e telefonate. Servirebbe una persona che si occupasse solo di burocrazia.
- Il rapporto con le vostre associazioni di categoria è buono o, come in tanti altri casi, ci sono difficoltà di dialogo e disfunzionalità?
Il nostro rapporto con l’associazione di categoria è buono, però poco pratico e funzionale, le tempistiche sono lunghe, non c’è un vero e proprio interesse verso il “cliente”, a volte c’è anche una poca attendibilità dei dati prelevati e poi ri-elaborati. Si continuano a fare tagli sul personale, allungando le tempistiche e diminuendo l’efficienza, che si conclude con un allontanamento dei soci.
- Nonostante il periodo difficile, che prospettive avete per il futuro? Quali progetti state portando avanti e quali obbiettivi vi prefiggete?
Nonostante il futuro sia piuttosto grigio scuro, mi ritengo una persona positiva e se non si pensa positivo non si porta avanti nulla, si fa prima a chiudere.
Il progetto è quello di creare una sorta di “oasi” nella mia azienda, per chiunque abbia voglia di staccare dal tram tram quotidiano e abbia voglia di prendere una boccata d’aria, vedere gli animali, camminare tra i campi. Ho fatto delle RELAZIONI il mio mantra di vita e sto cercando d’incentrarvi anche la filosofia dell’azienda, puntando tantissimo sul comunicare ciò che si fa e come lo si fa, al fine di avvicinare e incuriosire le persone, facendole conoscere il mondo che c’è dietro una bottiglia di latte e soprattutto che il latte non si fa al supermercato, ma in una stalla.
Inoltre, siamo a 5 km dal Duomo di Manfredonia, quindi proprio alle porte della città. Promuovendo determinate attività, potremmo lavorare in sinergia con il turismo per rivitalizzare l’intero territorio. A tal proposito, stiamo già attivando delle merende in stalla, per bambini e non solo. Si prevedono eventi, lettura di libri, concerti, pomeriggi meditativi etc. nei campi subito dopo la raccolta del fieno.
Insomma, il progetto è quello di portare persone in azienda, stimolare l’agricoltura/allevamento delle relazioni, in questo modo si potrebbe riuscire anche a creare una sorta di legame con gli animali e, quindi, con i nostri prodotti, dandogli un valore unico, perché “conosco gli animali dai quale proviene il latte”!
Lascia un commento