a cura del Gruppo di Studio Avser
L’azienda agricola Bazzichi Emilio sorge in provincia di Lucca, in quella striscia pianeggiante che separa la costa versiliese dalle colline e dalle Alpi Apuane. In questo fazzoletto di terra, dove per secoli l’uomo ha lottato con l’acqua e la malaria, lo spazio agricolo e quello residenziale fanno letteralmente a pungi. Negli ultimi cinquant’anni, la vicinanza di centri turistici e balneari come Viareggio e Forte dei Marmi, hanno fatto crescere a dismisura ville e case di villeggiatura, le quali sono andate a rompere le maglie poderali esistenti.
Nonostante questa competizione per gli spazi, il favorevole microclima del luogo, una relativa e crescente ricchezza economica dell’area, nei decenni passati hanno permesso ad una rete di piccoli produttori orticoli e floricoli di creare una realtà agricola abbastanza florida e dinamica. Anche se negli ultimi venti anni il tessuto produttivo si è molto ridimensionato, esistono ancora diverse aziende agricole competitive.
Quella di Bazzichi si distingue dalle altre aziende locali per aver mantenuto anche una componente zootecnica al suo interno, rappresentando un vero e proprio esempio di piccola azienda multifunzionale.
Gestisce in totale tredici ettari, di cui due di proprietà e gli altri in affitto. Nei terreni di proprietà coltiva ortaggi, sia in pieno campo che in serre/tunnel, ha un piccolo frutteto misto, alcune arnie da cui ricava una produzione di miele e la stalla dove vengono allevati 15-20 vitelli da ingrasso e 10-15 maiali. Sono allevati anche animali di bassa corte, come polli e conigli.
Nei restati undici ettari in affitto, vengono invece coltivati foraggi e cereali per l’alimentazione del bestiame. Una piccola parte della produzione cerealicola viene destinata anche alla lavorazione presso un mulino locale, distante qualche centinaio di metri dalla sede aziendale.
L’azienda è costituita dal padre, titolare e iscritto come coltivatore diretto, e dai tre figli che lavorano come coadiuvanti familiari.
Abbiamo posto qualche domanda al figlio maggiore, Davide.
1. La vostra è una piccola azienda agricola multifunzionale. Come fate a gestire al vostro interno i diversi ordinamenti colturali e l’allevamento?
Siamo una piccola azienda agricola multifunzionale, ma soprattutto familiare. Abbiamo suddiviso i compiti – io la parte zootecnica, un fratello quella orticola, mio padre e il fratello più piccolo alla vendita – ma quando è necessario, siamo assolutamente intercambiabili e ognuno presta aiuto all’altro. Inoltre, le nostre famiglie ci sostengono sempre e quando magari il lavoro aumenta, non è raro che le nostre mogli o mia sorella ci aiutino a preparare le cassette degli ortaggi da vendere o a sistemare il magazzino.
2. Parlavi di tuo padre e di tuo fratello minore che si occupano della vendita. A cosa ti riferivi?
Al fatto che abbiamo un piccolo spaccio aziendale in cui effettuiamo la vendita diretta dei nostri prodotti orto-frutticoli, della carne e degli insaccati. Diciamo che è il nostro principale canale di distribuzione, su cui abbiamo puntato molto perché ci garantisce un miglior margine di guadagno. Serviamo anche il vicino mercato orto-frutticolo di Lido di Camaiore ed un grossista che lavora per la grande distribuzione organizzata. Due canali che ci servono per smistare eccedenze di produzione e di cui usufruiamo soltanto per il reparto orto-frutticolo.
3. Come state vivendo l’attuale fase di rincaro dei prezzi?
Stiamo attraversando un periodo molto difficile. Mangimi, fertilizzanti, gasolio, insomma tutti i mezzi tecnici necessari al normale funzionamento di un’azienda agricola, sono aumentati in maniera esponenziale. In teoria, dovremmo aumentare in parallelo anche i prezzi dei nostri prodotti, ma questo significherebbe perdere la maggior parte della clientela. Ti dirò, per la prima volta da quando vendiamo attraverso lo spaccio aziendale, abbiamo notato una maggiore attenzione dei clienti ai prezzi, anche quando devono comprare soltanto 1kg di pomodori o di cipolle. A parer nostro, è un segnale molto preoccupante.
Inoltre, avevamo in progetto di costruire finalmente un ricovero adeguato al fieno, ai trattori e alle attrezzature meccaniche, ma con questo “clima” abbiamo un po’ frenato sulla sua realizzazione.
4. Negli anni scorsi avete fatto alcuni ampliamenti, tra cui l’edificazione della nuova stalla per bovini e suini. Quali e quante sono state le difficoltà incontrate per intraprendere i lavori?
Le difficoltà sono state davvero tante.
L’idea della nuova stalla ci venne nel dicembre 2015. Più che altro per rinnovare i ricoveri degli animali, oramai vecchi e scomodi. Le difficoltà sono iniziate subito.
Dopo la prima visita in comune per richiedere cosa fosse necessario secondo il piano regolatore per l’avviamento del progetto, passarono più di due mesi di totale silenzio da parte delle amministrazioni. Allora il nostro geometra si informò autonomamente presso il P.R.G.C. (piano regolatore generale comunale ndr) e presentò poi, in via informale, un disegno del progetto. Ancora un altro mese di silenzio. Allora a marzo il geometra inviò agli uffici preposti il progetto ufficiale. Altri due mesi di silenzio. Passati i sessanta giorni dalla presentazione del progetto questo venne approvato per tacito assenso.
Quando il geometra andò a colloquio con i tecnici del comune, sembrava tutto a posto; ma dopo poco tempo ricevemmo una lettera in cui c’era scritto che il progetto non era realizzabile. Il motivo del rifiuto dipendeva dal parere del responsabile dell’ufficio tecnico, secondo cui il piano regolatore nella parte generale prevedeva che la realizzazione dei fabbricati rurali dovesse seguire alcune norme che non erano riportate nella parte specifica del piano per le sottozone, in cui il territorio comunale è suddiviso. Per i tecnici e il nostro geometra invece il problema non c’era. Per risolvere la questione fu necessario chiedere il parere di chi aveva scritto il piano regolatore, il quale, dopo circa un mese, ci diede il suo responso positivo. Ma non fu ancora possibile dare avvio ai lavori.
Alla fine, ci ritrovammo costretti a sollecitare conoscenze all’interno del comune per arrivare ad una conclusione che, tra il caldo e le ferie, arrivò solo ad agosto inoltrato. In sostanza, passarono più di otto mesi prima di poter finalmente dare avvio ai lavori di costruzione.
Poi si faticò anche per trovare un giusto coordinamento tra muratori, ingeneri e fabbri, tanto che soltanto poco prima del Natale 2016 riuscimmo a concludere la stalla.
5. Per quale motivo avete scelto di non usufruire degli incentivi messi a disposizione dal piano di sviluppo rurale regionale (P.S.R.)?
Scegliemmo di non usufruire di piani di miglioramento aziendali o contributi vari per alcuni motivi.
Per prima cosa i bovini avrebbero dovuto occupare almeno il 30% del reddito aziendale. Ma essendo la nostra un’azienda agricola multifunzionale, in cui le colture orticole prevalgono, questo non sarebbe stato possibile.
Il sindacato ci consigliò allora di dividere l’azienda: una esclusivamente zootecnica, l’altra orto-frutticola. Questo ci avrebbe permesso di usufruire dei contributi, creando però altri notevoli problemi. Per esempio, lo spaccio aziendale avrebbe dovuto esser intestato ad una delle due aziende. L’altra azienda sarebbe stata così obbligata a fatturare i suoi prodotti a quella con lo spaccio per poterli vendere al pubblico. Questo avrebbe generato un’enorme complicazione interna, senza contare che avremmo dovuto tenere una doppia amministrazione contabile e altro ancora.
Ma quello che ci ha frenato di più è il fatto di essere troppo vincolati. Avremmo dovuto mantenere gli standard richiesti per almeno cinque anni; non solo allevare bovini senza poter cambiare produzione, ma anche aumentarne il numero. Sarebbe stato un rischio troppo grande per una piccola azienda. Avremmo inoltre dovuto rispettare una tabella di marcia per la realizzazione dei miglioramenti fondiari, ma anche qui il rischio era alto vista, la “velocità” di rilascio di permessi e autorizzazioni. Rischiavamo di vederci sospendere il finanziamento alla prima infrazione e di metterci nei guai con le banche visto che sono loro che li erogano. È il solito modo di far lavorare le banche sulle nostre spalle, le quali poi ti mettono nella condizione in cui, in sostanza, non sei più il direttore della tua azienda.
6. A tuo parere, quali sono i fattori che rallentano e rendono più difficoltoso lo svolgimento della vostra attività?
Sicuramente l’incompetenza. E parlo sia di chi fa le leggi, che di chi controlla che vengano rispettate. Non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma credetemi la percentuale di incompetenti è piuttosto alta.
Le norme sono troppo interpretabili. Gli organi di controllo da una provincia all’altra fanno applicare in modo diverso le stesse leggi e addirittura all’interno degli organi stessi vi sono persone che le interpretano, tante volte, in modo soggettivo. Senza contare che la tendenza è quella di obbligare il produttore a farsi carico di sempre maggiori compiti. Dicono che sia una sorta di responsabilizzazione degli agricoltori, ma a parer mio risulta più un ulteriore carico sulle nostre spalle, il quale ci porta via tempo e concentrazione a discapito del nostro lavoro.
Piani di autocontrollo, quaderni di campagna, registri di carico e scarico, moduli del bestiame e del macello, sono ormai parte integrante del nostro lavoro e ci diamo da fare al massimo per tenerli aggiornati e in ordine; ma bisogna esser sinceri, a noi da tutto questo non viene nessun vantaggio.
Purtroppo, la realtà è che se vuoi rispettare tutte le regole imposte, finisci per non lavorare. Secondo me l’incompetenza, l’eccessiva burocrazia e gli eccessivi oneri a carico di chi lavora sono il cancro del nostro sistema produttivo.
7. Si parla tanto dei giovani in agricoltura. Tu che fai parte di questa categoria consiglieresti ad un tuo coetaneo d’intraprendere la vita dell’agricoltore?
Partendo dal niente, di sicuro direi di no.
Se non hai una solida base economica o un’attività già strutturata è veramente difficile intraprendere la vita dell’agricoltore, anche a causa dei risicati margini di guadagno. Senza contare, come dicevo, di tutte le responsabilità che ricadono su di noi e specialmente per chi lavora nel settore dell’alimentazione umana.
L’agricoltura non è per tutti e richiede una certa capacità imprenditoriale, attenzione nelle spese e negli investimenti, visto come cambia velocemente il mercato; ma soprattutto una dedizione ed uno spirito di sacrificio non comuni. Se non hai una innata passione e non sei disposto a lavorare dalla mattina alla sera, senza domeniche, senza straordinari, senza ferie, è difficile riuscire ad ottenere qualche risultato.
Oltre all’azienda paterna, io lavoro anche a chiamata presso un grossista di carne locale, per il quale trasporto bestiame al macello. Non si tratta solo di un’ulteriore integrazione reddituale, perché ciò mi permette di entrare in contatto con altri allevatori, vedere diverse realtà imprenditoriali, anche al di fuori dei nostri confini e quindi di apprendere e crescere. Ma senza passione, questo non lo si può fare.
8. Secondo il tuo punto di vista cosa andrebbe cambiato per ridare slancio all’agricoltura italiana?
Per prima cosa lasciarci lavorare. Il nostro lavoro richiede tempo e cure. Non possiamo perderci troppo dietro valanghe di scartoffie. È giusto che il consumatore sia tutelato, ma questo carico non può gravare troppo sull’agricoltore. Inoltre, c’è tanta disorganizzazione e si sente la mancanza di qualcuno che possa dialogare con noi agricoltori, raccogliendone le istanze per farle valere poi quando si discutono leggi e regolamenti, che troppo spesso invece di agevolarci, finiscono per complicarci la vita. Il mondo corre in quinta e sembra che noi si proceda a stento in prima.
Poi non è solo un fatto di tempo e scartoffie, ma anche di costi: analisi, controlli, consulenze, precauzioni incidono sulle spese. Senza contare che il mercato comunitario ci ha letteralmente ammazzato: è un’assurdità che all’interno della stessa comunità europea ci si faccia una simile concorrenza sleale. Com’è possibile che bovini da ingrasso comprati in Francia, allevati in Spagna e macellati in Italia costino meno di quelli nati, allevati e macellati in Italia? Sarebbe necessaria una migliore regolamentazione del mercato comunitario e una più forte presa di posizione da parte del nostro governo per tutelare gli interessi italiani.
In Francia, viaggiando, ho visto una realtà agricola molto simile a quella italiana di qualche decennio fa, dove non sono rare le piccole aziende che allevano anche pochi capi di bestiame, ma che tuttavia riescono ad ottenere pur sempre dei margini di guadagno e a mantenere in vita l’attività. Inoltre, è ancora possibile incontrare le figure dei mediatori, i quali hanno a cuore la tutela del mercato interno e si guardano bene dall’abbassare troppo i prezzi, non solo per non rovinare così la propria clientela, ma un intero indotto economico.
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