(1. QUALE SOVRANISMO?)  SOVRANISMO E POPULISMO NON SONO LA STESSA COSA. PER FORTUNA

(1. QUALE SOVRANISMO?) SOVRANISMO E POPULISMO NON SONO LA STESSA COSA. PER FORTUNA

Iniziamo con questo contributo una breve serie di interventi a proposito di una delle parole più (ab)usate del dibattito politico. In questo primo articolo l’autore, Valerio Benedetti, compie una dettagliata rassegna filosofica e bibliografica sul tema, per poi lanciare alcuni punti di partenza per la definizione di una vera e propria dottrina politica. Tra pochi mesi è previsto in uscita proprio un libro di Benedetti sul sovranismo, con il quale l’autore vuole alimentare il dibattito culturale e lanciare una sfida politica al “globalismo” (ndr).

Oltre i luoghi comuni

Nel linguaggio giornalistico italiano imperversano da anni due luoghi comuni: 1) il populismo è una declinazione del pensiero di destra; 2) sovranismo e populismo sono di fatto termini equivalenti. Si tratta, appunto, di due luoghi comuni che non hanno alcun fondamento. Però è chiaro che servono alla bisogna: nonostante alcuni (pregevoli) tentativi di rivendicare positivamente l’etichetta (Becchi, Fusaro), il concetto di populismo è ormai mediaticamente squalificato. Di conseguenza, gli intellettuali globalisti sono passati al raccolto della lunga semina: non solo il populismo è «brutto, sporco e cattivo», ma è anche una roba «di destra» e, per soprammercato, da sovranisti.

Questo, in realtà, è un volgare gioco di prestigio. Ma andiamo ai fatti. Esiste una corposa letteratura scientifica sul populismo che, negli ultimi anni, è ormai diventata alluvionale. Non tutti si sono approcciati al tema rispettando la Wertfreiheit di weberiana memoria, ossia quella «avalutatività scientifica» che sarà anche un’utopia filosofica, ma che comunque aiuta lo studioso a non perdere di vista il reale. Pensiamo ad esempio a Jan-Werner Müller e a Cas Mudde: negando pervicacemente che nelle società occidentali sia in atto un conflitto politico profondo, questi accademici si ostinano a trattare il populismo non come una categoria politica, ma come un mero «sintomo» di un malessere più vago, che può essere l’antipluralismo, l’autoritarismo, il nativismo, la xenofobia e così via[1]. Questo filone di ricerca, che segue palesemente una precisa agenda politica, ha poi raggiunto vette di rara ferocia antipopolare con Ilvo Diamanti e Marc Lazar[2].

Eppure ci sono molti altri studiosi che hanno affrontato l’argomento in maniera ben più seria. Riassumendo brevemente le varie posizioni, il populismo è stato interpretato di volta in volta come un’ideologia, come un atteggiamento (o mentalità) e come uno stile[3]. L’interpretazione ideologica è tuttavia finita in minoranza poiché, anche in presenza di alcuni topoi ricorrenti (leader carismatico, antielitismo, richiesta di democrazia diretta, anti-ideologismo ecc.), non esiste una vera e propria ideologia populista. Questo è evidente anche solo osservando la cartina politica delle democrazie occidentali: sono stati definiti populisti Donald Trump (repubblicano) e Bernie Sanders (democratico), Matteo Salvini (destra) e Matteo Renzi (sinistra), il Rassemblement national di Marine Le Pen (anti-immigrazionista) e gli spagnoli di Podemos (immigrazionisti). In pratica, il populismo non è un’ideologia che spacca lo scacchiere politico in bianchi e neri, in destra e sinistra, bensì uno stile, o tutt’al più una mentalità, che accomuna soggetti politici disparati ben oltre la destra e la sinistra[4]

Del resto, si inseriscono bene in questo discorso le teorie formulate da Chantal Mouffe ed Ernesto Laclau. Lei politologa e lui filosofo (sono stati sposati fino alla morte di Laclau), da un punto di vista militante hanno entrambi evocato più volte la necessità di un populismo di sinistra. E, da una prospettiva più scientifica, hanno correttamente interpretato il populismo come la riemersione del «politico» in senso schmittiano, ossia del conflitto, all’interno delle società occidentali anestetizzate dal verbo neoliberale[5]. Insomma, l’equazione populismo = destra è, di fatto, infondata. Anche perché il populismo – che non è affatto una categoria metastorica – è nato nell’Ottocento in Russia come una corrente di sinistra[6]. Anzi, come ha affermato il politologo francese Guy Hermet, il populismo russo altro non è che «un ramo spezzato del socialismo»[7].

Il sovranismo, una bandiera in attesa di essere impugnata?

Detto del primo luogo comune, passiamo al secondo. Il sovranismo è una categoria politica che solo di recente è entrata nel dibattito pubblico italiano, e che quindi sta facendo fatica a conquistare una sua autonomia. Finora sono usciti pochi volumi sul tema, che si configurano peraltro come dei primi tentativi di circoscrivere la materia di studio. Rivolgendoci a «destra», hanno dedicato pagine importanti al sovranismo Paolo Becchi con il suo Italia sovrana (2018) e, più di recente, Manifesto sovranista (2019), nonché Marco Gervasoni con La rivoluzione sovranista (2019). Si tratta di due opere scritte da docenti universitari che hanno scelto la forma del saggio per iniziare a mettere a fuoco l’oggetto dell’indagine e, al contempo, per fornire idee e indirizzi all’ampio e variegato «fronte sovranista».

Libro più «militante» è invece Sovranismo (2019) del trio Sofo-De Bernardi-Fratus, testo uscito a ridosso delle elezioni europee e partorito dagli ambienti identitari della Lega salviniana. Non molto distante, a livello temporale, è stata la pubblicazione di Europa sovranista di Francesco Giubilei, che ha tentato di mappare i partiti e i movimenti – più o meno – sovranisti presenti nel Vecchio continente. Tutte queste opere si situano prevalentemente nel campo nazional-conservatore, alla pari di Sovranismo di Giuseppe Valditara (2018), che è stato tra i primi ad essere pubblicato. Da una prospettiva nazional-rivoluzionaria si può invece leggere l’interessante Trattato sul sovranismo (2019) di Guido Taietti, esperto di comunicazione politica.

All’appello, tuttavia, non è mancata neanche la – purtroppo minoritaria – «sinistra» antiglobalista. Da segnalare sono in particolare le opere di Alessandro Somma Sovranismi (2018) e Sovranità o barbarie di Thomas Fazi e William Mitchell (sempre del 2018). Senza dimenticare il pregevole saggio breve del politologo Carlo Galli dal titolo Sovranità (2019), nonché Glebalizzazione di Diego Fusaro che, pur affrontando il tema più generale della globalizzazione, ha dedicato ampio spazio anche al sovranismo. Per quanto riguarda il fronte avverso, invece, i globalisti sono perlopiù rimasti indietro: ancora dediti a occuparsi di populismo, i teorici globalisti stanno tentando pian piano di affrontare l’argomento senza mischiarlo con il populismo. Pensiamo all’ibrido, fin dal titolo, Populismo sovrano del giornalista Stefano Feltri (2018), ma anche al più recente L’epidemia sovranista del liberal-conservatore Sergio Romano. Un’opera, quest’ultima, francamente imbarazzante, il cui titolo è non solo sensazionalistico e ben poco scientifico, ma anche quantomai intempestivo, visto che poco dopo la sua pubblicazione è arrivata un’epidemia vera e propria, che non aveva certo la faccia di Salvini che si fa un selfie con pane e Nutella.

Chiusa questa breve rassegna, arriviamo al punto: al di là di alcuni elementi comuni (come ad esempio la critica alle élite dominanti e il superamento di destra e sinistra), populismo e sovranismo non sono la stessa cosa. Il primo è uno stile, una mentalità politica, che può essere messo al servizio dei programmi più disparati. Il sovranismo, al contrario, ha tutti i crismi per diventare una vera dottrina politica, visto che può contare su alcuni capisaldi programmatici irrinunciabili: identità, popoli, nazioni, confini, frontiere ecc. Questo programma di massima, ovviamente, può essere fatto proprio sia da partiti populisti che da «partiti tradizionali». Sia di destra che di sinistra. Anzi, per chi scrive, il sovranismo ha un futuro solo se saprà essere insieme identitario e sociale. Ossia se saprà essere autenticamente antiglobalista, opponendosi tanto al cosmopolitismo quanto al neoliberalismo.

Insomma, il sovranismo è sì un cantiere ancora aperto, ma è comunque una categoria politica che non ha i tratti evanescenti dello stile populista. È una bandiera che, forse, sta ancora attendendo che un soggetto politico degno di questo nome la impugni e la faccia garrire al vento. 


[1] Cfr. J.-W. Müller, Cos’è il populismo? (2016), trad. it., Egea, Milano 2017; C. Mudde – C. Rovira Kaltwasser, Populismo. Una breve introduzione (2017), trad. it., Mimesis, Milano-Udine 2020.

[2] I. Diamanti – M. Lazar, Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie, Laterza, Roma-Bari 2018.

[3] Per una visione d’insieme cfr. M. Tarchi (a cura di), Anatomia del populismo, Diana, Napoli 2019.

[4] Cfr. A. de Benoist, Populismo. La fine della destra e della sinistra, trad. it., Arianna, Bologna 2017.

[5] La loro opera più celebre è E. Laclau – Ch. Mouffe, Egemonia e strategia socialista. Verso una politica democratica radicale (1985), trad. it., il melangolo, Genova 2011. Ma cfr. anche E. Laclau, La ragione populista (2005), trad. it., Laterza, Roma-Bari 2008 e Ch. Mouffe, Per un populismo di sinistra, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2018.

[6] L’opera di riferimento è il classico F. Venturi, Il populismo russo, 3 voll., Einaudi, Torino 19722.

[7] G. Hermet, Il populismo nella storia, in M. Tarchi (a cura di), Anatomia del populismo, cit., pp. 67-73, qui p. 67.

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