Di Francesco Carlesi
Nei giorni scorsi, per celebrare i 150 anni dalla morte di Mazzini, Alessandro Trocino sulla newsletter del «Corriere della Sera» ha pubblicato un articolo in cui viene citato il libro di chi scrive, pubblicato da Eclettica edizioni, Mazzini, un italiano. L’apostolo della patria e del lavoro. Notando come il ricordo più forte del patriota genovese provenga oggi da “destra” (Trocino cita anche il Blocco Studentesco e Marcello Veneziani), l’autore tradisce un certo rammarico, pur spingendo per una visione del Risorgimento il più possibile scevra da condizionamenti ideologici. Si parla poi di un Mazzini quasi “rapito” dal fascismo per esigenze propagandistiche e mai ricostruito in tutta la sua complessità.
In questo senso, credo che il dibattito sia il benvenuto. Mazzini, come tanti autori e protagonisti storici di alto livello, ci ha lasciato un patrimonio culturale molto sfaccettato, che si presta a diverse interpretazioni. Non è inutile ricordare, inoltre, come «ogni storia è storia contemporanea» e risente sempre delle passioni e degli interessi del momento in cui viene scritta. Sulla scia delle intuizioni mazziniane nacquero associazioni e partiti che fecero dell’Europa (riproponendo l’idea di «Stati Uniti – liberi e associati – d’Europa»), dell’eguaglianza, della democrazia e dei diritti umani i loro capisaldi e per i repubblicani, in primis, Mazzini emerse sempre come un riferimento imprescindibile. Ma non riuscì mai a diventare un vero “padre della patria”.
Perché dopo ormai 150 anni si fatica ancora ad accoglierlo in maniera strutturata nel pantheon culturale della Nazione? Perché accanto a una forte spinta “umanitaria” Mazzini ha speso tutta la vita per valori che oggi sembrano non avere più “senso”: la Patria, il sacrificio, il dovere. Togliatti e il comunismo condannarono sostanzialmente lo spiritualismo del genovese e il suo feroce anti-marxismo; il mondo della cultura e dell’università si spese negli anni sempre più verso la “decostruzione” della Nazione, dei suoi miti e dei suoi simboli; negli ultimi anni, infine, il “vincolo esterno” e l’economicismo sembrano aver dato il colpo di grazia a qualsiasi visione comunitaria dell’uomo e della Patria. Mazzini ricordava sempre come la Nazione era il “tramite” imprescindibile tra l’uomo e l’umanità e come nell’economia non potesse risolversi l’orizzonte di senso del singolo, che doveva votarsi a qualcosa di superiore. È il Mazzini apostolo che, pur tra mille fallimenti, lascia un esempio forte e crea diverse associazioni operaie importanti. Anche sul piano del lavoro, la sua visione di “collaborazione di classe” (si rilegga La Questione sociale in tal senso), una vera e propria “terza via” oltre materialismo e individualismo, fu uno schiaffo in faccia non solo al comunismo ma anche al liberismo. Oggi, il dominio della tecnica e della finanza che caratterizza l’Occidente sembra ciò che di più lontano possa esserci da tutto questo.
Con tutti i rischi dei paragoni tra epoche diverse, sembrano aspetti che non possono essere sottaciuti. Aspetti che rendono tutt’altro che assurda, come pensano tanti studiosi, la “mitizzazione”di Mazzini durante il ventennio, seppur non univoca ma proveniente soprattutto dalle frange “sociali” del regime. Il sindacalismo rivoluzionario, il corporativismo e la socializzazione si muovono spesso in un terreno “arato” dal genovese. Ancor più, nel dopoguerra, la “sinistra nazionale” di Ernesto Massi e la “destra sociale” di Giano Accame recuperarono il messaggio del patriota per costruire modelli economico-sociali al servizio di una Nazione forte e indipendente. L’Istituto di Studi Corporativi di Gaetano Rasi, attivo dagli anni ’70 agli anni ’90, provò a collegare i principi della “terza via” a proposte volte a realizzare un sistema diverso da quella dei due blocchi capitalista e comunista. Si tratta di una lunga serie di scritti che spesso forniscono ancora spunti di riflessione: le questioni dell’indipendenza economica, del ruolo dello Stato, del partecipazione dei lavoratori, della lotta alle speculazioni e del patriottismo (“senza Patria siete i bastardi dell’umanità” diceva Mazzini) stanno tornado centrali, seppur con colpevole ritardo, in un’Italia e in un mondo sconvolti da pandemie, guerre ed emergenze continue. Ecco, un bel dibattito e una riscoperta di Mazzini a 360 gradi potrebbero aiutarci tanto nella riflessione storica (e sarebbe veramente vitale smetterla con gli “anatemi” e le discriminazioni in questo campo) quanto nella ricerca di ricette per cambiare e governare una realtà sempre sfuggente, nella nostra Italia in declino.
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