RIPARTIRE DAL SOVRANISMO. Oltre le risposte “tappabuchi”

RIPARTIRE DAL SOVRANISMO. Oltre le risposte “tappabuchi”

di Mario Bozzi Sentieri

Tra crisi produttiva (confermata dalla caduta del 2,4 per cento del Pil  nel primo trimestre),   gap energico, aumento dell’inflazione ed emergenze internazionali, dove cercare  una risposta organica e complessiva che vada al di là delle tante (troppe) iniziative “tampone”? C’è spazio per scelte di metodo e di valore in grado di rimetterci in sesto e tracciare una rotta? E come declinare la domanda di autosufficienza produttiva abbandonando finalmente la  ricorrente  retorica sull’importanza di “essere aperti” e globali? Volenti o nolenti si deve guardare al sovranismo. E non tanto come battaglia di principio e “di bandiera”, ma come esigenza strategica, come base per costruire un progetto alternativo all’ establishment culturale, politico ed  economico. Sono i fatti a parlare.

Come prima esigenza  c’è il nodo, tuttora non sciolto, del rapporto tra identità nazionale e sviluppo economico globalizzato, tra crescita socialmente compatibile e commercio globale. Sul piano più concreto e diretto  l’opzione sovranista è in grado di articolare programmaticamente   la difesa del “made in Italy”,  ma anche la volontà di porre  freni alle “delocalizzazioni” e alle importazioni selvagge da quei Paesi dove a dominare è lo sfruttamento dei lavoratori, con forme di vero e proprio lavoro forzato; di  mettere un freno allo strapotere della finanza internazionale per “tornare al reale”, all’economia produttiva, ai territori; di  tutelare  la Nazione,  riperpetuandone  la vita, attraverso adeguate politiche demografiche.

A livello di rappresentanza popolare il tema  della libertà di azione di una data collettività e quello relativo alla sovranità si fondono, rendendo bene evidente  la partita in gioco. Al centro la domanda di partecipazione alle decisioni politiche (la democrazia come partecipazione di un popolo al proprio destino…) e l’inversione di tendenza rispetto alle “logiche” tecnocratiche e ai processi di “disintermediazione”, che stanno svuotando il sistema della rappresentanza popolare e la nostra economia.

Quanta “sovranità popolare” abbiamo visto negli ultimi tempi? Pensiamo al “ribaltonismo” parlamentare, che sembra essere diventata, di legislatura in legislatura,  una prassi consolidata, all’uso spregiudicato dei decreti del presidente del Consiglio, alle limitazioni della libertà individuale, giustificate dall’emergenza Covid, all’abuso dei voti di fiducia, per arrivare infine  al governo del Super tecnico, Mario Draghi.

In questo contesto può essere salvata la sovranità popolare? Si può parlare ancora di democrazia partecipativa allorquando una maggioranza di cittadini non riesce più a distinguere le rispettive posizioni politiche? Come ricostruire i necessari strumenti di intermediazione politica e sociale? Il sovranismo  deve misurarsi soprattutto  con queste domande e muoversi di conseguenza, analizzando le trasformazioni in atto e  facendo crescere nell’opinione pubblica una consapevolezza nuova rispetto alle ipocrisie dell’attuale Sistema e alla necessità di voltare veramente pagina.

In tempi di bassa tensione politico-ideale può sembrare un’ipotesi velleitaria. In realtà solo un richiamo forte può evitare di navigare a vista, misurandosi, giorno per giorno, con le tante emergenze, senza affrontare le più vaste questioni strutturali, senza avere una visione lunga. Solo una chiara consapevolezza  programmatica è in grado di  ridare dignità ad un’area vasta, ma non rappresentata, espressione di una “visione della Vita e del Mondo”, riconoscibile in alcuni, essenziali  principi di fondo:  famiglia, comunità, Nazione, solidarietà, primato della politica sull’economia, concezione spirituale dell’esistenza, amore verso la propria terra, regole certe per una convivenza civile, meritocrazia.

La prospettiva è tornare  finalmente a coniugare Paese reale e rappresentanza politica, società ed istituzioni, per dare forma alla “volontà popolare”, oggi messa ai margini. Per trovare le ragioni di un sovranismo che si fa azione politica, programma potenzialmente di governo. Per ridare voce e speranza al “popolo sovrano”, costruendo  ragioni nuove ed autentiche, capaci di trasformare  un’aspettativa in forza di cambiamento. Aprendosi alla società civile, all’Italia delle professioni e delle competenze, per immaginare, con esse, un destino condiviso. Su questi crinali il sovranismo ha un grande avvenire e grandi responsabilità,  con buona pace per chi strumentalmente  lo vorrebbe in crisi, mettendogli la sordina.

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