UN PENSIERO STRATEGICO PER L’AGRICOLTURA

UN PENSIERO STRATEGICO PER L’AGRICOLTURA

Dall’esempio francese, uno stimolo per l’Italia

di Sandro Righini

La sicurezza alimentare è una questione strategica

Questa breve enunciazione, così semplice e cristallina e perciò densa di significati, è contenuta nella prefazione del ventisettesimo numero, anno 2020, della rivista francese Le Déméter, la quale rappresenta una sorta di unicum nel panorama della cultura agraria europea.

Nata nel 1993 in seno all’IRIS (Institut de Relations Internationales e Stratégiques), una delle principali palestre del pensiero geopolitico transalpino, la rivista Le Déméter viene pubblicata una volta l’anno ed ha la peculiarità di affrontare le grandi questioni dell’agricoltura europea e internazionale unendo al punto di vista scientifico, storico e sociologico, anche quello strategico. Bastano alcuni titoli degli articoli contenuti nelle pagine della rivista a darci l’idea della sua impostazione:

  • Agricoltura, ricchezza e potere: una lettura storica in termini di metabolismo sociale ed egemonia
  • Nazionalismo e agricoltura: passato e presente di un rapporto complesso
  • Fosfati e agricoltura: dalla geologia alla geopolitica
  • Recupero, potere, appartenenza: priorità (agricole) per tutti
  • Alimentazione: il cibo attraverso il prisma della geopolitica

E non è assolutamente un caso che si tratti di una rivista francese, dato che la République è rimasta l’unica vera e propria potenza agricola del vecchio continente, come ci dimostrano le sue percentuali di auto-approvvigionamento in alcune delle principali produzioni agro-zootecniche: mais (134%), frumento tenero (186%), orzo (221%), girasole (118%), latte (126%), carni suine (110%), carni avicole (105%), carni bovine (95%).  Ad esclusione della carne avicola, i cugini d’oltralpe ci superano in tutte le produzioni base del settore primario. Certamente, è anche una questione di spazi e di caratteristiche pedo-climatiche a favorire l’agricoltura francese in determinate produzioni, ma c’è dell’altro.

La Francia pensa ancora in grande, ha una vasta rete di relazioni internazionali, maturata anche in virtù del suo passato coloniale, è una potenza nucleare, seppur minore, anche sul piano militare e questo, al di là di alcune evidenti velleità e di profonde contraddizioni interne all’esagono, che non risparmiano nemmeno il settore primario francese, tuttavia, si riverbera nella sua agricoltura.

Se si escludono quei giganti geografici come, ad esempio, alcuni stati del Sud America, che sono però dei “nani” politici, ovvero territori sostanzialmente in appalto all’agri-power americano e oggi contesi dalla sottile e pertinace penetrazione cinese, ogni nazione che aspiri ancora a dire la sua sugli scacchieri internazionali non può che guardare all’agricoltura con occhi ben diversi dai nostri.

La recente esplosione del conflitto in Ucraina ha rimesso in luce non solo la centralità dell’agricoltura e del cibo in un mondo in repentino e turbinoso cambiamento, ma anche la loro funzione e il loro utilizzo nelle dinamiche conflittuali.

Antonio Saltini ha scritto: << dal confronto per la rotta del frumento delle regioni pontiche che si concluse con l’incendio di Troia, il grano è stato il complemento essenziale delle armi in ogni scontro armato >>. È la dimensione del settore primario legata al cosiddetto hard power, nel duplice aspetto di fonte di riserva alimentare durante contesti bellici, ma anche come capacità di imporre al nemico la penuria o la fame vera e propria, semplicemente bloccando le esportazioni.

Ma c’è anche la dimensione del cosiddetto soft power, ovvero l’utilizzo del cibo e di tutto l’indotto scientifico, industriale e commerciale di riferimento, come strumento di penetrazione dove si vuole stabilire una propria area d’influenza. Dalle ditte sementiere, ai supermercati, dagli istituti di ricerca, alle industrie di trasformazione.

In Italia, ad esclusione del sempre presente Antonio Saltini e di pochi altri studiosi, oggi riuniti attorno alla benemerita rivista I Tempi della Terra ( https://www.itempidellaterra.it ), manca quasi del tutto l’elaborazione di un pensiero strategico legato all’agricoltura. Per lo più si ragiona solo in ambito meramente economico o di politica spicciola, senza aprire gli orizzonti a più vasti ordini di riflessione. Inoltre, vi è una sorta d’isolamento tra chi si occupa di questioni legate all’agricoltura e il resto del mondo culturale, in special modo di quello legato alle relazioni internazionali e strategiche. Abbiamo importanti riviste e validi analisti di geopolitica, riconosciuti a livello mondiale, ma che dedicano a mala pena qualche riga al settore primario, spesso in modo un po’ confuso.

Se è vero che “la mappa non è il territorio” e quindi ogni elaborazione del pensiero deve poi scontrarsi con la “realtà”, tuttavia noi procediamo per mappe – geografiche, politiche, mentali – al fine di rappresentare e decifrare il caos che ci circonda, parafrasando il professor Salvatore Santangelo. Ne riconosciamo i limiti, ma ne abbiamo bisogno come il pane perché sono alla base del nostro agire nel mondo.

Nei prossimi mesi potremmo affrontare, anche sul vecchio continente, la penuria di alcune derrate alimentari primarie, mettendo in seria difficoltà alcuni comparti produttivi, come quello zootecnico, già pesantemente provato e incidendo inoltre sulle spese delle famiglie meno abbienti. Intanto, dirimpetto a noi, in Nord Africa, ma anche in Medio-Oriente, il rischio di veder scaturire situazioni ben peggiori a quelle appena prospettate non è per niente remoto.

È tardi, siamo in ritardo di decenni come ricordavamo nel precedente articolo su “Processo all’agricoltura” e di certo questo non ci eviterà di subire pesanti contraccolpi. Tuttavia – è convinzione di chi scrive – dobbiamo provare a gettare le prime fondamenta di un ponte fra il mondo della cultura agraria e quello della geopolitica, stimolando agronomi, economisti agrari e tecnici del settore a dialogare e confrontarsi con gli analisti strategici. Iniziare a pensare in modo diverso all’agricoltura è la premessa necessaria per iniziare anche ad agire in modo diverso.    

Questo è dunque una sorta di appello lanciato dall’Istituto “Stato e Partecipazione”, il quale si dice pronto a svolgere una funzione mercuriale, di contatto, fra questi mondi, tanto più che oggi dispone di una preziosa rivista trimestrale – PARTECIPAZIONE:  http://www.ecletticaedizioni.com/newsite/prodotto/abbonamento-rivista-partecipazione/ – che potrebbe fungere proprio da fertile terreno d’incontro. Senza pregiudizi ideologici, ritorniamo a pensare in grande; a sviluppare dibattiti trasversali e di largo respiro; ad ascoltare la voce dei produttori, delle categorie, dei territori; a scontarci dialetticamente e soprattutto a progettare, a Costruire

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