(5. QUALE SOVRANISMO?) POPULISMO E SOVRANISMO SVELANO LA CRISI, MA NON SONO LA CURA

(5. QUALE SOVRANISMO?) POPULISMO E SOVRANISMO SVELANO LA CRISI, MA NON SONO LA CURA

Di Marco Bachetti

‘Populismo e sovranismo sono ben diversi. Il primo non è un’ideologia bensì una mentalità, uno stile politico trasversale che è possibile ritrovare tanto in esperienze di destra quanto di sinistra. Il secondo invece presenta tutti i crismi di una nuova dottrina politica i cui pilastri sono rappresentati dalla difesa dell’identità nazionale, la riaffermazione della sovranità popolare, il contrasto alla globalizzazione senza limiti e frontiere.’

Partirò da questa considerazione molto diffusa, specialmente a destra, ma dal mio punto di vista solo in parte veritiera per un’analisi del populismo e del sovranismo, secondo le categorie proprie della scienza politica moderna e della storia delle dottrine politiche dell’età contemporanea. Come ci insegna uno dei padri del costituzionalismo Montesquieu, ogni singolo ordinamento politico elabora una costituzione sulla base delle propria storia, dei propri costumi, delle proprie tradizioni e del proprio tessuto sociale ed economico. Cercherò dunque di non discostarmi troppo dalle faccende di casa nostra, peccando forse di un eccesso di localismo ma nella convinzione che il rendimento delle categorie politiche in Italia presenti delle peculiarità e delle specificità tali da poter restringere l’oggetto dell’analisi, per poi allargare lo sguardo allo stato patologico degli assetti democratici in Occidente.

Culture politiche e dottrine politiche

Si ritiene innanzitutto opportuno operare la distinzione tra dottrine e culture politiche. Le dottrine politiche sono un insieme organico di idee che costruiscono modelli e schemi di azione per il governo della società in cui operano. Il concetto di cultura politica è di più difficile definizione e può essere genericamente intesa come un orientamento, un atteggiamento situato nella dimensione del prepolitico, dunque dell’antropologico e del culturale, che trascende le singole dottrine politiche e si lega a fattori di carattere storico, religioso,  sociale, familiare. Si può dunque procedere ad una tripartizione delle dottrine politiche fondamentali dell’Italia contemporanea che sono il liberalismo, il socialismo e il popolarismo.

Le culture politiche si suddividono invece tra conservatorismo e progressismo. Mentre le dottrine politiche si definiscono primariamente sulla base del rapporto tra autorità e libertà, dunque tra esercizio del potere pubblico e libertà dei cittadini, le culture politiche attengono ad un altro piano ossia il nostro rapporto con il mondo circostante. Parafrasando Hegel, potremmo osare che per un conservatore ciò che è reale è razionale; per un progressista ciò che è razionale è reale. Il conservatore è dunque “un realista che crede che esista una struttura della realtà indipendente dalla sua volontà e dal suo desiderio” (Weaver), il progressista invece “non vede la sua identità in termini di attaccamenti ereditati, ma in termini di esperienze che aumentano la sua libertà” (Scruton). Se dunque conservatore e progressista sono una condizione prepolitica, ben possono combinarsi, senza una relazione di necessità, con le tre differenti dottrine politiche: conservatori e progressisti possono essere liberali, popolari, socialisti, perché l’adesione ad una dottrina politica piuttosto che ad un’altra avviene in un secondo momento, inevitabilmente risente del retroterra culturale e prepolitico ma la scelta di per sé presenta carattere autonomo. Nella prima repubblica, i partiti politici rappresentavano dei palinsesti nei quali culture e dottrine politiche si combinavano, sviluppando modelli e direttrici di azione. A titolo esemplificativo, vi erano ben tre partiti che seguivano elementi della dottrina liberale: il Partito liberale italiano aveva un retroterra certamente più conservatore mentre il Partito repubblicano e il Partito radicale erano culturalmente progressisti. Dopo la dissoluzione dei partiti tradizionali, le categorie sopra menzionate sembrano appartenere al passato o, nel migliore dei casi, all’elaborazione teorica ma non trovano più spazio nella pratica politica quotidiana. Nuove categorie del populismo, sovranismo, europeismo, globalismo e chi più ne ha più ne metta hanno preso il loro posto nella narrazione mediatica. 

Populismo e sovranismo

Giungiamo dunque al punto focale della presente analisi: cosa sono il populismo e il sovranismo? Sono nuove dottrine politiche? Riprendendo la considerazione iniziale, sento di poter aderire alla definizione di populismo quale mentalità o stile politico, così come ci è stata autorevolmente trasmessa da Marco Tarchi (il più importante studioso italiano del fenomeno populista). Se in effetti le caratteristiche peculiari del populismo sono la presenza di un capo carismatico, la disintermediazione tra il capo e la folla, l’antielitismo e l’esaltazione demagogica delle virtù naturali del popolo, questi sono elementi indipendenti dall’adesione ad una dottrina politica o ad un’altra. Nella storia politica italiana ritroviamo il Fronte dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini che era un movimento populista culturalmente conservatore e politicamente liberale o anche il Movimento 5 Stelle che nella sua fase grillina embrionale era un movimento populista allo stato puro, culturalmente progressista e politicamente eclettico. E invece il sovranismo? Può essere ricondotto alla categoria delle dottrine politiche? Io credo di no, anzi ritengo che il sovranismo sia un fenomeno parallelo al populismo, anche se molto più recente, e che entrambi siano sintomi della crisi dei nostri sistemi democratici. Mentre il populismo si manifesta quale sintomo della crisi della rappresentanza parlamentare (ed infatti sono consustanziali al populismo argomenti quali la critica alla partitocrazia, la democrazia diretta, la web democracy, l’introduzione del vincolo di mandato), il sovranismo è invece un sintomo della spoliticizzazione della società nell’ultimo trentennio e della fine del primato della politica. Un politologo come il prof. Carlo Galli, che potremmo ascrivere al ‘sovranismo di sinistra’, ha spiegato con estrema chiarezza cosa significa oggi parlare di sovranità; quanto il concetto di sovranità sia strettamente connesso non tanto ad un rigurgito di nazionalismo o ad un’anacronistica esaltazione dello Stato-nazione ma piuttosto alla difesa della democrazia e dell’autonomia della politica.

“Parlare di sovranità davvero vuol dire parlare di democrazia oggi. Sovranità è democrazia oggi, perché significa porsi la domanda sul come fa un popolo a essere signore del proprio destino […] Sovranità è riprendere il volante, non accettare più il pilota automatico.” 

Il sovranismo nasce dunque da una domanda di democrazia, intesa non in senso meramente formale e neanche in senso sostanziale come Stato sociale, bensì come volontà di “tenere aperta la discussione e la praticabilità dei fini della politica“. Non è più possibile accettare l’assenza di alternative al modello politico, economico e sociale dominante ma soprattutto non è più possibile accettare l’impotenza della politica rispetto ai processi che teoricamente sarebbe chiamata a governare. Da qui nasce il sovranismo, che quindi non è affatto una nuova dottrina politica dal momento che può dare origine a tentativi di ripoliticizzazione della società di differente matrice ideologica. Se il populismo mette alla luce le insufficienze e le contraddizioni della democrazia rappresentativa, il sovranismo invece denuncia lo svuotamento delle democrazie da parte dell’impero globale del denaro e invoca dunque il ritorno della sovranità nazionale e popolare.

Per concludere, le democrazie occidentali si sono ammalate, populismo e sovranismo ne rendono palese la sintomatologia ma non costituiscono la cura. Possono individuare il malanno, prevederne gli effetti ma di per sé non hanno strumenti terapeutici sufficienti. Il populismo propone una soluzione probabilmente sbagliata (di tipo plebiscitario) ad una problema reale, ossia il criterio di selezione della classe dirigente politica dentro la crisi dell’istituto del mandato parlamentare. Il sovranismo invece è un sussulto, il tentativo di affermare un principio, non così distante sul piano funzionale da ciò che fu il costituzionalismo agli albori dello Stato liberale nella sua contrapposizione all’assolutismo monarchico. Non è dunque il sovranismo una dottrina politica ma può svolgere una  importante funzione di denuncia, riaffermare il diritto dei popoli e ingenerare un circolo virtuoso, che possa portare al risveglio di una società assuefatta allo svuotamento degli spazi di democrazia e alla degradazione della sua esistenza politica. 

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