di Ettore Rivabella
Da alcuni anni, ma soprattutto nel contesto della grave crisi economica e sociale generata dall’epidemia di Covid-19, si è sviluppato un dibattito – che vede coinvolti, tra gli altri, le Istituzioni europee e nazionali, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e gruppi di esperti – in merito a un cosiddetto “salario minimo europeo“. Il dibattito deve tenere conto del fatto che, ai sensi dell’articolo 153 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, l’eventuale definizione di un salario minimo rientra tra le competenze degli Stati membri.
Facendo seguito a una consultazione delle parti sociali suddivisa in due fasi, la Commissione europea ha presentato, il 28 ottobre 2020, una proposta di direttiva relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea (COM(2020)682) a fine di stabilire prescrizioni minime a livello dell’Unione per garantire sia che i salari minimi siano fissati a un livello adeguato, sia che i lavoratori abbiano accesso alla tutela garantita dal salario minimo, sotto forma di salario minimo legale o di salari determinati nell’ambito di contratti collettivi.
Infatti il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri: in 21 Paesi esistono salari minimi legali (l’ammontare di tale valore minimo varia in maniera significativa, da 312 euro mensili in Bulgaria a 2.142 euro mensili in Lussemburgo), mentre in 6 Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi.
Con riferimento alla Proposta di Direttiva, il Governo ha dichiarato che il ruolo dei salari minimi acquisisce un’importanza ancora maggiore nei periodi di recessione economica, in quanto la pandemia da COVID-19 ha colpito in maniera particolare i settori caratterizzati da un’elevata percentuale di lavoratori a basso salario, come il commercio al dettaglio e il turismo, e ha avuto un impatto maggiore sui gruppi più svantaggiati della popolazione. La Relazione del Governo sottolinea, con riferimento agli obiettivi della Direttiva Europea, la coerenza degli stessi con l’articolo 36 della Costituzione, relativo al diritto al giusto salario; con la dichiarazione solenne del principio della giusta retribuzione prevista all’art. 23 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e all’art. 7 del successivo Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali del 1966; con la convenzioni OIL in materia di salario minimo, in particolare nella Convenzione n. 26 del 1928, ove si dice espressamente che l’equo salario minimo è quello fissato dagli accordi collettivi; con l’art. 11 della Carta Comunitaria dei Diritti Sociali Fondamentali dei lavoratori stabilisce che il diritto alla retribuzione sufficiente deve essere determinato negozialmente in base alle modalità proprie di ciascun paese, conferendo un ruolo di primo piano ai soggetti sindacali e all’esercizio dell’azione collettiva. In effetti questo è proprio l’elemento di criticità relativo all’ipotesi di normare il “salario minimo” che ha una logica di tutela oggettiva nelle nazioni ad economia liberale e liberista classica ove la struttura del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro è debole o largamente inesistente.
Questo viene espresso in maniera esplicita dalla UGL che, attraverso le dichiarazioni del suo Segretario Generale Paolo Capone esprime la propria contrarietà alla proposta di introdurre per legge il salario minimo orario. “Il rischio concreto è quello di destrutturare la contrattazione collettiva indebolendo i lavoratori, a vantaggio di quelle aziende che concorrono esclusivamente agendo sulla leva del costo del lavoro. In particolare vengono evidenziati i forti rischi relativi a settori come i servizi operati dalle cooperative anche per la pubblica amministrazione, in cui oggi si registrano compensi orari minimi al di sotto di questa soglia. Il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del suo lavoro, così come giustamente disposto dall’articolo 36 della Costituzione, si persegue attraverso il potenziamento della contrattazione collettiva.
Oltre a definire la giusta retribuzione per il tipo di lavoro svolto, per il profilo professionale e le competenze possedute, infatti, il CCNL disciplina aspetti normativi di assoluta importanza quali l’orario di lavoro, la sua organizzazione, l’eventuale sistema di welfare, la previdenza complementare, la progressione di carriera e gli aggiornamenti professionali. A questo fine la UGL chiede quindi al Governo di riaprire quanto prima il tavolo della contrattazione per tutelare anche quelle categorie oggi escluse e restituire centralità al ruolo dei sindacati a difesa dei lavoratori”. In realtà questo è proprio uno dei punti maggiormente critici della Proposta di Direttiva Europea COM(2020)682 che non sembra fare adeguata menzione della complementarità fra salario minimo e contrattazione collettiva.
Più sfumata la posizione della CGIL che si dichiara favorevole allo strumento, che favorisce una convergenza salariale europea, ma contraria rispetto alle norme riferite alle possibili esclusioni di categorie o fasce escludibili dal salario minimo. Afferma l’esigenza di garantire un generico equilibrio tra salari minimi legali e contrattazione collettiva, ma tuttavia nel contempo considera negativo il fatto che la proposta di direttiva non prevede nell’articolato una soglia minima del salario. In buona fine la CGIL richiede di definire l’obiettivo che tutti i lavoratori debbano avere una copertura contrattuale e/o di salario minimo, equiparando almeno da un punto di vista teorico le due posizioni.
Pienamente favorevole la CISL che ritiene che l’obiettivo della proposta perfettamente in linea con i principi sanciti dal Pilastro europeo dei diritti sociali del 2017 ed in particolare il diritto a un reddito minimo e una retribuzione equa. Tuttavia ritiene che i sistemi contrattuali ben funzionanti come quello italiano debbano essere protetti e l’autonomia delle parti sociali debba essere garantita e rafforzata Inoltre la CISL ribadisce la necessità di agire per garantire il rispetto del principio della libertà contrattuale ed il rispetto dei diritti relativi alle conseguenti attività, dei lavoratori, dei rappresentanti dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali, nella gestione delle dinamiche contrattuali. Infine la CISL segnala alcune possibili criticità che andrebbero prese in attenta considerazione, tra esse si evidenziano: – la specificazione ulteriore delle differenze tra salario minimo contrattuale e salario minimo legale, evitando qualsiasi interferenza; – l’introduzione di una garanzia del diritto alla contrattazione collettiva e che i piani di azione da adottare nei paesi che sono al di sotto della copertura del 70% siano obbligatori; – la specificazione del contenuto che devono avere dei piani di rafforzamento della contrattazione collettiva volta al raggiungimento della copertura del 70%; – la previsione di procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri che non adottano misure per rafforzare la contrattazione collettiva, che possono essere presentate anche dalle parti sociali; – l’introduzione di specifiche misure per il rafforzamento e il rispetto dei diritti alla contrattazione e le libertà sindacali; – per il solo salario minimo legale, la definizione degli obiettivi minimi di adeguatezza pari al 50% del salario medio e 60% del mediano, definito con il pieno coinvolgimento delle parti sociali.
Infine la UIL che ribadisce che i CCNL, sottoscritti dai Sindacati maggiormente rappresentativi, rappresentano lo strumento essenziale per aumentare i salari nei diversi settori economici, nonché per migliorare le condizioni di lavoro e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, garantendo un’equa redistribuzione della ricchezza La UIL inoltre afferma che solo attraverso la contrattazione si può promuovere una crescita economica sostenibile e inclusiva, e limitare, in tal modo, le disparità tra e all’interno di Stati e regioni.
Concludendo si evidenzia quindi complessivamente una certa diffidenza da parte delle Organizzazioni Sindacali, giustamente motivata perché purtroppo, ormai da svariati decenni il Movimento Sindacale presenta grosse difficoltà nell’impostazione di una strategia, che superi i concetti ormai desueti di “conflittualità permanente” o quelli non più applicabili di “concertazione irresponsabile”, giocando essenzialmente in difesa o di rimessa, vedendosi costretto a ridurre progressivamente le aree di tutela e puntando sovente a rappresentare i lavoratori dei settori storicamente presenti, non riuscendo ad intercettare le pressanti richieste di supporto ed aiuto da parte di quella enorme “area grigia” che ormai caratterizza il lavoro di quei “prestatori d’opera” in massima parte giovani o persone precedentemente espulse dal sistema produttivo in conseguenza delle innumerevoli crisi aziendali non risolte e dell’assoluta assenza di reali politiche attive per il lavoro, non certo risolte, ma anzi spesso aggravate da soluzioni tampone quali il “Reddito di Cittadinanza”.
In quest’ottica possiamo ben dire che attraverso la “foglia di fico” del “Salario Minimo” rischiamo di livellare le retribuzioni di alcuni comparti relativamente deboli o borderline in termini di appartenenza ed inquadramento ad esistenti CCNL, a valori inferiori agli attuali, allineandoli proprio a quel salario minimo legale non sempre auspicabile.
Diventa quindi sempre più impellente da parte del Sindacato l’esigenza di recuperare una visione strategica che ormai si è smarrita da vari decenni, questo ci riporta a due articoli della Costituzione che, se attuati, avrebbero un impatto importante sulla contrattazione e, quindi, sui livelli retributivi: l’articolo 39, sulla registrazione e l’acquisizione della personalità giuridica da parte dei sindacati, e l’articolo 46, sul diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Inoltre devono essere affrontate e combattute alcune malattie ormai endemiche delle Organizzazioni Sindacali, quali il processo di burocratizzazione delle sue strutture, che spesso assumono il ruolo di vere Holding Finanziarie imprenditoriali e la mancata volontà di assumere una posizione chiara sulla ormai ineludibile questione morale, che intacca la credibilità del Movimento Sindacale nel suo complesso.
Tuttavia la crisi dei partiti, del sistema di Democrazia Parlamentare, gli obiettivi limiti e contraddizioni del liberalismo e del liberismo economico, aprono ampi spazi ad un Sindacato Partecipativo e ritorna opzionabile una ipotesi Corporativa.
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