VOCI DALLE CAMPAGNE/ DIFFICOLTA’ E SPERANZE DELL’ORTO-FRUTTA FRIULANA NELLE PAROLE DI UNA GIOVANE AGRICOLTRICE. INTERVISTA ALL’AZIENDA AGRICOLA SGUBIN

VOCI DALLE CAMPAGNE/ DIFFICOLTA’ E SPERANZE DELL’ORTO-FRUTTA FRIULANA NELLE PAROLE DI UNA GIOVANE AGRICOLTRICE. INTERVISTA ALL’AZIENDA AGRICOLA SGUBIN

Intervista a cura del Gruppo di Studio Auser

Per la quarta intervista della nostra rubrica “Voci dalle Campagne” ci siamo spostati in Friuli Venezia-Giulia, nella regione che Antonio Saltini, nel titolo di un suo vecchio saggio dedicato all’agricoltura friulana, definì la “Basilicata del Settentrione”, perché le terre iscritte fra il Tagliamento e l’Isonzo furono, fino alle soglie del XX secolo, zone di arretratezza, desolazione e miseria rispetto alle più floride province piemontesi, lombarde e venete.

Oggi, la piccola regione del nord-est è invece, sempre secondo il giudizio di Saltini, “perla dell’agricoltura italiana” per la ricchezza e la varietà delle sue coltivazioni che spaziano dalla viticoltura d’eccellenza alla zootecnia da latte, dai seminativi alle orticole.

Varietà, appunto, che è anche il segno distintivo dell’Azienda Agricola Sgubin Daniele, sita in Fiumicello Villa Vicentina, provincia di Udine. Azienda specializzata in produzioni orto-frutticole, con vendita diretta in azienda, ma che impegna metà della superficie aziendale anche in seminativi.

Abbiamo scambiato due parole con la figlia del titolare, Sara Sgubin, giovane e volenterosa agricoltrice che sta portando avanti la tradizione familiare, con la speranza di poter innovare e far crescere ancora l’attività.

Sara ci ha raccontato un po’ la lunga storia dell’azienda, fatto un resoconto dell’attuale struttura e dato il suo personale punto di vista sulle difficoltà e le sfide della fase che stiamo attraversando.

  • L’Azienda Agricola Sgubin ha una lunga storia alle sue spalle. Puoi raccontarci qualcosa in merito a come è nata e si è sviluppata nel tempo?

I miei bisnonni erano mezzadri, lavoravano la terra per un proprietario terriero e in cambio potevano tenere la metà dei raccolti (anche se era sempre meno della metà). La casa in cui ora c’è il negozio di frutta e verdura è una delle più vecchie del paese, basti pensare che da un lato ha un muro spiovente che serviva per contenere le piene dell’Isonzo, che ora si trova a circa 1 o 2 km di distanza. È una casa molto grande e durante la Seconda guerra mondiale convivevano sia partigiani che tedeschi. I partigiani si nascondevano nel fienile e i tedeschi invece vivano in casa, ignari dei partigiani. La mia bisnonna Onorina era terrorizzata dal fatto che i tedeschi li potessero scoprire e perciò preparava e privava la famiglia di un’oca a settimana o li riforniva di abbondante vino. Il clima era quello di assoluta povertà e l’azienda agricola oggi inizia proprio dove ci sono i resti della trincea, che è stata nel tempo via via demolita a colpi di piccone.

È mio nonno Eolo, con mia nonna Enni che aprono l’azienda agricola. Coltivavano principalmente pesche, che erano al tempo il prodotto fiore all’occhiello di questa zona.  

Mentre sono i miei genitori i reali innovatori. Grazie a loro è aumentata la superficie aziendale e negli anni Duemila abbiamo cominciato la vendita diretta. Ciò giustifica la nostra ampissima diversificazione colturale.

  • Com’è strutturata oggi l’Azienda?

Abbiamo una superficie coltivata di 70 ettari, metà dedicati a colture orto-frutticole e metà a seminativi.

Nei 35 ettari ad ortaggi e frutta coltiviamo tutto quello che ci permettono le stagioni. Radicchi, cavolfiori, spinaci, zucche, cardi in autunno/inverno; asparagi, insalate, zucchine, fragole in primavera; ciliegie, albicocche, pesche, susine, pere, mele, carote, peperoni, melanzane, pomodori in estate.

Negli altri 35 ettari a seminativi coltiviamo mais (bianco o giallo per uso zootecnico), frumento tenero (da seme o biscottiero), soia (da seme o per uso zootecnico). Per questo colture ci affidiamo per lo più a contoterzisti specializzati, anche se a volte le concimazioni o le preparazioni dei terreni le fa mio padre. Invece, alcune operazioni, specialmente quelle di raccolta, sono gestite totalmente o dalla cooperativa agricola o dai contoterzisti della zona, perché il costo di una mietitrebbia non verrebbe ammortizzato dalla nostra superficie A seconda della filiera il prodotto viene destinato a contoterzisti, essiccatoi, consorzio agrario.

A livello di personale abbiamo un dipendente fisso e, a seconda delle esigenze, dai 3 ai 5 stagionali.

  • Tu rappresenti la quarta generazione familiare. Cosa significa per una giovane come te, al giorno d’oggi, decidere di dedicarsi all’agricoltura?

Penso che i miei coetanei mi ritengano un po’ una sfigata o almeno è quello che percepisco io. Perché “ho tanto studiato e son sempre in mezzo al fango” o perché faccio un lavoro davvero di fatica. Ci resto male, ma non posso farci molto.

Ma la verità è che mi appassiona un po’ tutto quello che riguarda il mondo dell’agricoltura e il mio percorso di studi l’ho incentrato proprio su di essa. Ho frequentato Scienze e Tecnologie Agrarie all’Università di Padova, sia per quanto riguarda la triennale, sia per magistrale. Ho scelto alla magistrale il percorso di Difesa, incentrato sulla fitopatologia ed entomologia agraria e mi sono laureata lo scorso luglio. Attualmente sto frequentando un master in agricoltura di precisione offerto dall’Università degli studi della Tuscia in collaborazione con tantissime altre università italiane, centri di ricerca e importanti aziende agricole

A dicembre 2021 ho sostenuto l’esame di stato e da qualche mese sono iscritta all’ordine dei dottori agronomi e forestali del Friuli-Venezia Giulia.

Invece, a livello familiare c’è un fisiologico “scontro” generazionale con mio padre, che è molto geloso della sua azienda e al momento non sono ancora riuscita ad apportare i miglioramenti che vorrei all’interno della nostra attività.

Pian pianino vedremo cosa succederà. 

  • Passiamo al lato commerciale. Quanto incide la vendita diretta sullo smercio dei vostri prodotti e come stanno funzionando le vendite on-line?

Durante la pandemia abbiamo subito un grosso calo della vendita diretta e anche ora penso che le persone abbiano ancora paura o nel tempo abbiano instaurato nuove abitudini. La vendita on-line funzionava molto bene, ma abbiamo dovuto interrompere per mancanza di personale. Inoltre, pensare di affidare le spedizioni a terzi, con trasporto refrigerato ed entro 24 ore incide per più della metà della spesa. Non rientravamo nei costi. Durante il lockdown consegnavo le spese personalmente. E prima della consegna le confezionavo con mia mamma. Se mancava qualcosa andavo a raccoglierla in campo. Insomma, era un delirio. A me piacerebbe molto riprendere, spero di trovare qualche collaboratore e di avere uno spazio apposito per il confezionamento che attualmente manca.

  • Spesso sentiamo i produttori orto-frutticoli lamentarsi dei prezzi all’ingrosso e di quelli della Grande Distribuzione Organizzata.  Qual è la vostra esperienza in merito?

Consegniamo i nostri prodotti sia al mercato all’ingrosso sia alla GDO. Sono dei mondi diversi, ognuno con dei pro e dei contro. Se abbiamo una sovrapproduzione di qualche prodotto il mercato all’ingrosso qualche volta ci salva, ma si guadagna molto poco e i pagamenti sono dilazionati nel tempo.  La nota positiva è che almeno non si spreca. La GDO invece è molto più esigente, vuole un prodotto perfetto, confezionato ad hoc e richiede quindi costi più alti e lavorazioni più lunghe. Nemmeno la GDO paga moltissimo, ma paga subito.

  • Riguardo invece gli enti pubblici – regione, provincia, comune – sono abbastanza attenti, dal punto di vista normativo, di assistenza, di consulenza, alle esigenze degli agricoltori?

Secondo me no o non abbastanza, ma è, anche e forse soprattutto, colpa degli agricoltori perché nel momento in cui viene organizzato qualcosa c’è scarsa partecipazione o passa il concetto per il quale sono tutti “boins di fa nuie”, che tradotto significa buoni a niente.

  • Data la tua esperienza diretta, quali sono oggi le maggiori difficoltà che incontra un’azienda ortofrutticola nello svolgimento della propria attività?

Al momento la maggiore difficoltà è la ricerca di personale per la raccolta, specialmente per quanto riguarda gli asparagi.

È un momento di grandi incertezze, in cui è davvero difficile anche fare progetti per il futuro. Diciamo pure che viviamo giorno per giorno a seconda di come si evolve la situazione mondiale.

  • A proposito di situazione mondiale, secondo il tuo punto di vista, in questo momento così turbolento, tra pandemia e guerra, l’agricoltura e gli agricoltori italiani sapranno rispondere alle nuove sfide e alle difficoltà che si presenteranno? 

Spero di sì, e voglio essere positiva, ma richiederà un drastico cambiamento della mentalità, soprattutto dal punto di vista della tutela dell’ambiente e del territorio. Riguardo alla guerra, l’Ucraina è il granaio del mondo e questo causerà grosse carenze di materie prime. Comporterà anche e, in parte, la sta già comportando, una reazione a catena con pesanti danni a tutti i settori, in primis a quello zootecnico. Tuttavia, questa potrebbe essere vista come un’opportunità per l’Europa di rivedere le politiche comunitarie: non è solo necessario produrre di più, ma farlo meglio.

  • Produrre non solo di più, ma farlo anche meglio. Dal tuo punto di vista, cosa dobbiamo fare per perseguire questo obbiettivo?

Penso che sia fondamentale avere una mente aperta verso l’innovazione e credo fortemente nella formazione continua. Lo strumento fondamentale ritengo sia la tecnologia. Con tecnologia intendo quella meccanica, applicata alle macchine agricole e alle operatrici, ma anche e soprattutto quella genetica

Oggi si parla tanto di agricoltura 4.0 e molte aziende, compresa la nostra, hanno acquistato nuovi trattori con il satellitare. Benissimo, ma la spinta contributiva deve essere veicolata anche all’assistenza. I nostri agricoltori, spesso d’età avanzata, hanno molte difficoltà ad imparare tutte le funzionalità di queste macchine. Per non parlare della gestione dei dati che possono essere raccolti.

Per quanto riguarda la tecnologia legata alla genetica agraria serve una svolta politica a livello comunitario. Piante resistenti a malattie, insetti o resilienti al cambiamento climatico devono essere viste come un’opportunità, non come un nemico da combattere. E le NBT non hanno niente a che vedere con i primi eventi di transgenesi. In mezzo ci sono quasi 50 anni di ricerca e i progressi fatti sono stati enormi, anche se fortemente ostacolati. 

Strumento indispensabile in questi casi è la comunicazione. Gli agricoltori in questo campo non sono molto bravi, anzi. Custodiscono gelosamente i loro segreti professionali. Ritengo invece che la condivisione di esperienze possa essere fonte di ispirazione e crescita per tutti. 

Last but not least: l’agroecologia. E su questo fronte possono essere fatti passi da gigante. Gli Agricoltori (con la A maiuscola) sono sempre stati e sempre saranno protettori del paesaggio e della biodiversità. D’altro canto: terreni poco fertili non producono. 

Sara Sgubin

I frutti della terra, di passione, tradizione e innovazione

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