RILEGGENDO “PROCESSO ALL’AGRICOLTURA”. Attualità e lungimiranza di un testo da riscoprire

RILEGGENDO “PROCESSO ALL’AGRICOLTURA”. Attualità e lungimiranza di un testo da riscoprire

Sandro Righini

La storia si ripete. Cambiano le forme, mutano gli attori, compaiono delle variabili, delle novità, si diversificano le reazioni e le risposte agli eventi, ma nella sostanza l’uomo, colui che produce la storia, ciclicamente si ritrova di fronte ad alcune cruciali questioni.

E se c’è un libro che può testimoniare alla perfezione, in ogni sua pagina, questo assunto, a quarantaquattro anni dalla sua prima pubblicazione, di certo è “Processo all’agricoltura” di Antonio Saltini.

La prima edizione del testo fu pubblicata nel 1977, rapidamente esaurita, a cui fece seguito una seconda nel 1979, con prefazione del ministro dell’agricoltura Giovanni Marcora, il ministro più amato dai nostri coltivatori, molti dei quali lo ricordano ancora con grande affetto.

Il libro nacque sull’onda di un ritorno d’attenzione verso l’agricoltura italiana, suscitato dalla dura crisi energetica esplosa in seguito alla guerra del Kippur nel 1973 e dagli ingenti acquisti di cereali effettuati dai russi nel 1972 sul mercato statunitense, i quali generarono una vorticosa impennata dei prezzi e crescenti preoccupazioni di penuria di derrate alimentari.

Nel nostro paese ci furono veri e propri episodi di psicosi violenta, tanto che a Napoli furono presi d’assalto alcuni forni, come nella più classica tradizione manzoniana. Episodio che fece scaturire in Antonio Saltini l’interesse nell’indagare le dinamiche (geo)politiche ed economiche celate dietro al commercio delle più importanti derrate agricole. Interesse che ha accompagnato l’intera opera di studioso dell’agronomo modenese. 

Ma torniamo al libro. Dopo un decennio di sostanziale dimenticanza del settore, nel 1962 era nata la Politica Agricola Comune e l’Italia aveva partecipato in modo distratto alla sua elaborazione, troppo invischiata nell’entusiasmo industriale dell’epoca e nelle beghe interne dei partiti, con il ministro dell’agricoltura Colombo che lasciava le trattative europee per un congresso romano della DC, la politica nazionale tornava, di colpo, ad occuparsi del primario.

Così descriveva questo ritorno di fiamma Saltini, nella prefazione alla seconda edizione del testo:

«il paese, affermavo, ha riscoperto l’agricoltura nella stretta della necessità e nell’ossessione delle importazioni: la concitazione con cui ha ripreso a disputare su di un tema troppo a lungo dimenticato non ha potuto mascherare la sostanziale incomprensione dei problemi agricoli, che accumunava politici, economisti e corsivisti all’uomo della strada, ignaro da troppo tempo dei problemi dell’agricoltura e del mondo rurale».

Antonio Saltini cercò allora di riportare un po’ di ordine nel dibattito, sollecitato dagli stimoli di Luigi Perdisa, economista agrario e decano della pubblicistica agraria con la casa editrice Edagricole e la rivista Terra e Vita, per cui Saltini lavorava, oltreché dall’interesse dell’attento e solerte ministro Marcora.

Le 160 pagine di Processo all’agricoltura delinearono un quadro sintetico, ma dettagliato, dell’agricoltura italiana del tempo. Un quadro da cui emergevano alcuni tratti nitidi ed essenziali che è utile ricapitolare per sommi capi in 10 punti, anche e soprattutto alla luce di quanto sta accadendo oggi.

1 – L’agricoltura nazionale non era così arretrata come sostenevano diversi politici e giornalisti dell’epoca. Anzi, se confrontata con le altre agricolture dei paesi sviluppati, aveva numerosi primati produttivi per unità di superficie, anche in derrate strategiche come i cereali e ottimi incrementi ponderali nell’ambito zootecnico.

2 – Questi progressi erano avvenuti soprattutto nelle aree di pianura, ma c’era il problema delle aree collinari e montane, ovvero di larga parte del territorio italiano, ancora scarsamente affrontato e sostanzialmente fermo alle acquisizioni di lungimiranti agronomi e tecnici del XIX° secolo.

3 – L’aumento di produttività nelle aree di pianura non era comunque riuscito a star dietro, in modo proporzionale, all’impennata dei consumi, esplosi in modo vertiginoso nel passaggio da nazione agricola a nazione industriale del dopo guerra.

4 – L’esodo dalle campagne – inevitabile, giacché i progressi tecnici e tecnologici avevano ridotto la necessità di manodopera – non era però stato gestito a dovere, ma subito passivamente, creando non pochi problemi riguardanti poi la gestione del territorio, gli accorpamenti fondiari, la marginalizzazione delle comunità.

5 – Era possibile fare qualcosa di più in ambito produttivo, a patto di tutelare adeguatamente le aree più fertili del paese, ovvero le pianure faticosamente strappate all’acquitrino dal millenario lavoro dell’uomo, sforzandosi di evitare che finissero in balia di una cementificazione irrazionale. Oltre al problema del suolo, c’era il problema dell’acqua e di una sua futura, probabile, scarsità.

6 – Lo sviluppo agricolo nazionale era avvenuto in modo meccanico, senza una reale programmazione politica, ma solo su impulso della competizione con le aree del nord Europa, a cui avevano risposto principalmente le aree padane.

7 – Mancava una visione dell’agricoltura italiana nel contesto mediterraneo. Le istituzioni si dimostravano obsolete, inadeguate alle sfide ed attaccate alle proprie rendite di posizione.

8 – Le neonate regioni davano già l’idea di acuire ulteriormente le problematiche esposte nei punti 6 e 7, andando a creare nuovi feudi e nuove consorterie di potere, di contro ad una visione unitaria e nazionale delle politiche agricole nel più ampio contesto europeo.

9 – Avevamo tecnici molto preparati e competenti, ma era scarso l’apporto di una ricerca scientifica agraria di baseal progresso agricolo e mancava un’industria nazionale, davvero competitiva, di riferimento.

10 – Iniziava ad affacciarsi il problema dell’agri-power a stelle e strisce, il quale, già all’epoca, dava segni di minacciare la produttività agricola europea per riversare i propri surplus sui ricchi mercati del vecchio continente.

Ad oltre quarant’anni di distanza, la totalità di questi punti è ancora, drammaticamente, attuale, con l’aggravante che il mix combinato di emergenza pandemica e guerra in Ucraina rappresentano una vera e propria scossa tellurica su di una struttura già profondamente lacerata dalla crisi finanziaria del 2008. Un cambio di paradigma dai risvolti incerti e potenzialmente pericolosi.

Ma ciò che più ci preoccupa, ragionando di agricoltura, è notare come in Italia le reazioni alle problematiche agrarie, già evidenti in passato, ma tornate all’ordine del giorno prima con le interruzioni delle catene di approvvigionamento causate dalle quarantene, poi con una guerra coinvolgente due attori di peso sullo scacchiere internazionale dei cereali, dei semi oleosi e dei fertilizzanti, siano pressoché identiche a quella degli anni ’70.  

Un profluvio di articoli sui giornali che parlano di agricoltura, approvvigionamento, derrate, sicurezza alimentare, dove si alternano molte dichiarazioni, tante proposte, proclami altisonanti, critiche peregrine. Ovvero, in estrema sintesi: una profonda confusione.

Sun Tzu scriveva che bisogna imparare: «a non contare sul mancato arrivo del nemico, ma a fare affidamento sulla tua preparazione».

La domanda è dunque: potevamo farci trovare maggiormente preparati?

Si, potevamo. Magari partendo dal dare ascolto a tutti gli agricoltori, i tecnici, gli operatori e gli studiosi del settore che già in tempi non sospetti ammonivano sulle miopi scelte italiane ed europee in materia di politica agricola. Invece, abbiamo preferito ascoltare chef, gastronomi, eco(il)logisti e ciarlatani vari e adesso dovremo correre, col rischio di commettere diversi errori, perdere “pezzi” lungo il tragitto e senza la certezza di giungere ad un approdo.

Raccorciare le distanze fra mondo agricolo, politica ed opinione pubblica, ristabilendo un clima di fiducia, basato sulla conoscenza e la comprensione, è un primo doveroso passo da compiere. Ma, ovviamente, non può bastare.

C’è bisogno di un ulteriore passaggio, su cui proveremo a scrivere qualcosa nei prossimi giorni, con l’obiettivo di suscitare – pensando in piccolo – un confronto aperto e trasversale e magari – pensando in grande – aprire un “nuovo” filone di studi e approfondimenti legato al mondo dell’agricoltura.

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