OLTRE LA CRISI DEMOGRAFICA. C’E’ VOGLIA DI GENITORIALITA’

OLTRE LA CRISI DEMOGRAFICA. C’E’ VOGLIA DI GENITORIALITA’

di Mario Bozzi Sentieri

L’Italia si sta restringendo. Non è una novità. Da qualche anno a questa parte il nostro Paese fa registrare un calo costante di popolazione: i morti sopravanzano i nuovi nati. Ed il “tasso di sostituzione” incombe. Uno studio recente, pubblicato su PLOS One dall’Università di Shizuoka, lo aggiorna, delineando un quadro inquietante. Mentre per decenni si è ritenuto che 2,1 figli per donna fossero sufficienti a mantenere stabile una popolazione, i nuovi modelli matematici dimostrano che servirebbero invece 2,7 figli per donna per garantire la sopravvivenza a lungo termine di una comunità umana.

La situazione italiana appare particolarmente critica. Con un tasso di fertilità di appena 1,18 figli per donna nel 2024 (dati Istat), il Paese si colloca ben al di sotto sia della soglia tradizionale che di quella riveduta.

L’anno scorso le nascite sono scese a 370.000, toccando il minimo storico dall’Unità d’Italia. Non c’è proprio speranza? In realtà la novità, rispetto al passato, è che il 69,4% dei giovani adulti – uomini e donne tra i 11 e i 19 anni – dichiara di volere figli e tra questi l’80% ne desidera due o più. E’ quanto emerge dal Dossier “Cambiare Paese o cambiare il Paese. Dossier 2025: dai numeri alla realtà“, presentato alla Luiss e realizzato dalla Fondazione per la natalità in collaborazione con ISTAT.

Il report fotografa una crisi demografica sempre più profonda: tuttavia, questo crollo non riflette un disinteresse verso la genitorialità. Anzi, i dati mostrano con chiarezza che la volontà di avere figli resta forte. Quello che si evidenzia è un paradosso drammatico. A fronte di un desiderio diffuso di costruire una famiglia, solo una donna su tre riesce ad avere tutti i figli che vorrebbe. Il divario tra progetti familiari e realtà è spiegato da ostacoli concreti e sistemici: motivi economici, precarietà lavorativa, carenza di servizi per l’infanzia e difficoltà abitative costringono molte coppie a rimandare – o addirittura rinunciare. Non si tratta di una semplice evoluzione culturale, ma di una scelta spesso obbligata, dettata dall’instabilità occupazionale e dall’assenza di condizioni favorevoli per conciliare famiglia e lavoro

Nel contempo, sul piano economico, si manifesta un paradosso preoccupante: le imprese cercano giovani, ma loro se ne vanno. Dal 2012 al 2023 abbiamo perso, infatti, quasi un milione di italiani, soprattutto laureati, con una percentuale di giovani Neet del 19%, quasi il doppio della media UE. La crescita del PIL dal 2000 è stata appena del +9,3%, contro il +30% della Francia e il +45% della Spagna. Questa la fotografia della realtà, oggettivamente disarmante  anche  per le conseguenze della crisi demografica, che avranno – sempre di più – un peso determinante sul sistema pensionistico (con la diminuzione della massa dei contribuenti e l’aumento dei beneficiari), sul sistema sanitario  (sostenuto da una popolazione attiva ridotta), sulle dinamiche socio-economiche nel loro complesso (sempre più “frenate”) e sulle relazioni tra le diverse aree del mondo (con un’evidente sproporzione delle nascite tra il nord ed il sud del pianeta).

Che fare dunque? Ad oggi le indicazioni appaiono decisamente poco aggressive e troppo ripetitive. Scontati i richiami alle politiche sulla famiglia, alla precarietà lavorativa ed esistenziale, ai servizi insufficienti, al welfare inaccessibile. Oltre non si va. Da qui la nostra ulteriore domanda: e se imparassimo a “copiare” esperienze già fatte da altri Paesi ?  Ecco qualche esempio.

In Germania, il congedo parentale è flessibile e retribuito fino al 67% dello stipendio per entrambi i genitori, una misura che favorisce una maggiore equità e permette alle famiglie di vivere con meno stress la nascita di un figlio. In Ungheria le madri con quattro figli sono esentate dall’IRPEF per tutta la vita. In Polonia il governo ha lanciato campagne mediatiche che promuovono la famiglia come pilastro della società. In  Russia, con il “Maternity Capital”, ogni figlio nato dà diritto a un aiuto economico che può essere usato per la casa, l’istruzione o la pensione. In Francia sono previste agevolazioni fiscali che aumentano più che proporzionalmente con il numero di figli (di età inferiore a 21 anni, o 25 se studenti). Una coppia con due figli può risparmiare fino a 3.140€ di tasse, che arrivano fino a 6.280€ con 3 figli; le famiglie con almeno due figlie ricevono assegni per ogni figlio a carico, che aumentano con il numero di figli circa il 56% dei bambini sotto i 3 anni accede a servizi per l’infanzia, come asili nido sovvenzionati dallo Stato. La Svezia offre a ogni coppia di genitori 480 giorni di congedo retribuito, con una retribuzione che per 365 giorni consiste nell’80 percento dello stipendio pregresso, congedo che deve essere diviso fra madre e padre.

Al fondo va “coltivata” ed esaltata la rinnovata voglia di genitorialità, evidenziata dalla recenti indagini. A cominciare da un chiaro segnale di riconoscimento del valore sociale della maternità e della paternità. Anche attraverso campagne mediatiche di informazione.

Consapevolezza (dei gravissimi rischi determinati dalla crisi demografica) e responsabilità (per i singoli e la comunità nazionale): di questo, alla prova dei fatti, c’è un gran bisogno, ancora prima che degli asili, degli  assegni familiari e degli incentivi per le famiglie. Che pure servono, ma non bastano per rispondere ad una crisi epocale che richiede un profondo cambiamento culturale. Parte dell’opinione pubblica, specie giovanile, sembra esserne consapevole. A chi di dovere assecondare queste nuove tendenze e dare le risposte adeguate.

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