ASPI, CDP E I “CANGURI VAMPIRI” DI MACQUARIE

ASPI, CDP E I “CANGURI VAMPIRI” DI MACQUARIE

Di Flaminia Camilletti

La vicenda di Autostrade per l’Italia, complice l’emergenza del Covid, sembrerebbe passare sotto traccia. Nelle ultime settimane tuttavia sono numerose le vicende che starebbero portando la trattativa tra Aspi e Cdp verso una concreta realizzazione. Si è discusso ampiamente del tema dell’inserimento della clausola della manleva richiesto da Cassa depositi e prestiti nel contratto di acquisizione. Si parla quindi di un “esonero da responsabilità” chiesto da Cdp che non intende rispondere di eventuali esborsi futuri – a titolo di risarcimento danni – legati a quello che emergerà nel processo sul crollo del ponte Morandi del 14 agosto 2018. Allo stesso tempo Atlantia, una volta ceduta la concessionaria, non vuole restare vincolata a eventuali cause risarcitorie, perché, sostiene di aver risolto il suo debito ricostruendo il Ponte di Genova e accettando un intervento finanziario compensativo di 3,4 miliardi di euro.

Nella seconda metà di ottobre 2020 sono state confermate le indiscrezioni su un’eventuale partecipazione dei fondi Blackstone e Macquarie che insieme a Cdp equity acquisterebbero l’88,06% di Aspi. La composizione azionaria di Autostrade con l’ingresso di Blackstone e Macquarie diventerebbe in parte straniera (ancora da stabilire quanta parte) e l’idea di consegnare un asset così importante in mani estere non fa sperare per il meglio. Un’inchiesta del “Fatto Quotidiano” ha pubblicato un approfondimento sul fondo australiano, il meno conosciuto: Macquarie, che sembrerebbe interessato all’Italia anche per l’acquisizione del 50% di Open Fiber. 

Macquarie si avvale della consulenza e della collaborazione di ex manager provenienti proprio dalle società con cui Macquarie potrebbe apprestarsi a fare affari, che per ovvi motivi ne conoscono a fondo i meccanismi e le aree di attività: Claudio Costamagna, ex presidente di Cdp, Tommaso Pompei, ex amministratore delegato di Open Fiber, e Fulvio Conti, ex numero due di Enel.

Gli inglesi chiamano i manager di Macquarie i “canguri vampiri”, proprio per questo modo di gestire gli affari. L’esperienza degli australiani in Gran Bretagna non è stata infatti delle migliori. L’autorità di controllo Ofwat ha scoperto che, durante gli 11 anni nei quali Macquarie ha posseduto Thames Water, la società delle acque che serve Londra, si pagavano dividendi per 1,2 miliardi di sterline, mentre il debito cresceva da 1,6 a 10,6 miliardi. Nel frattempo però, le imposte versate ammontavano solo a circa 100mila euro e TW generava rendimenti annui compresi tra il 15,5 e il 19%. Nello stesso periodo – sempre come riportato dal “Fatto Quotidiano” – la Scottish Water, concorrente pubblica, ha garantito efficienza e qualità simili, senza indebitarsi, nonostante le tariffe più basse e investendo il 35% in più.

Adesso risulta chiaro per quale motivo i dirigenti di Macquarie guadagnano stipendi da milioni l’anno. Il loro mercato iniziato prima in Sud America, adesso si è decisamente spostato sull’Europa, che sempre di più, sembra esser diventata terra di conquiste.

Il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Paola De Micheli ha cercato di rassicurare chiunque avesse dubbi chiarendo che a garanzia di tutta l’operazione ci sarà Cdp. 

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