IL TERZO TEMPO MUSSOLINIANO TRA MAZZINI, GENTILE, EVOLA E SPENGLER

IL TERZO TEMPO MUSSOLINIANO TRA MAZZINI, GENTILE, EVOLA E SPENGLER

Di Andrea Scaraglino

Un “tentativo” totalitario contro la borghesia

Il terzo tempo[1]mussoliniano, quello che dalla fondazione dell’impero arriva all’entrata in guerra del’ 1940, è uno dei periodi storici d’Italia meno studiati in assoluto. Le banalizzazioni in merito si sono susseguite per lunghi decenni – a parte l’opera defeliciana e il conseguente filone scaturitone, sia chiaro – accomunando il tentativo più vistoso del “fascismo regime[2] di prestare fede al suo sogno rivoluzionario, a quella che può essere considerata una “normale” azione di governo dettata da esigenze pregresse o esterne. Accomunata, dunque, ai primi anni del regime o a quelli a cavallo degli anni ’30 in cui i riverberi della crisi di sovrapproduzione statunitense si fecero sentire anche alle nostre latitudini.

Diversamente, il periodo che intercorse tra l’impresa etiopica e lo scoppio del secondo conflitto mondiale risultò profondamente rivoluzionario da un punto di vista politico, sociale e antropologico. Se è vero che per osservare il totale dispiegamento del potenziale rivoluzionario in campo economico da parte del fascismo si dovette aspettare il crepuscolo di Salò[3], nella seconda metà degli anni ’30 Mussolini diede il là a quella che è passata alla cronaca dell’epoca come rivoluzione antiborghese.

Una rivoluzione antropologica, dicevamo, che De Felice riconduce al bisogno fascista di mettere un freno alla crisi di civiltà che travagliava l’occidente [sanando i problemi demografici ed economici] ma a questo punto anche morali tout-court, dei vari popoli che questa crisi vivevano, italiano compreso”.[4]

Ci si proponeva, dunque, di creare un “uomo nuovo”, l’uomo fascista. Un individuo che non accettasse più, passivamente, decisioni prese dal governo ma che intimamente sentisse il bisogno di un rinnovamento morale e spirituale che lo riconducesse ad una dimensione più umana e in sintonia con la propria storia  – Mussolini lo chiamava uomo “autarchico” – e che abbandonasse le sirene dell’“egoismo borghese”. Al netto di un reale credo mussoliniano in merito[5], è importante constatare il confluire di anime diversissime, presenti da sempre nel  fascismo, all’interno di questa mastodontica opera di rivoluzione culturale che il regime pretendeva di portare a compimento. Partendo da presupposti diversi, Evola e Ricci, ad esempio, poterono trovare una base d’incontro nell’identificazione del nemico comune: il materialismo anglosassone che attraverso “il liberismo economico di marca savoiarda” aveva intossicato la storia nazionale sin dal Risorgimento. É in questi termini che la Rivolta contro il mondo moderno[6] del tradizionalista Evola trova un punto in comune con lo scagliarsi contro “la città del maiale”[7] – Chicago -di Ricci, esprimendo, dunque, una prima e vera sintesi delle anime del fascismo.

Risorgimento e fascismo

Per raggiungere tale scopo, il fascismo riscoprì prepotentemente la forza dell’idealismo gentiliano che grazie alla sua “storicità dello spirito”[8]indicava la via da seguire. Proprio la riscoperta del passato del popolo italiano doveva essere la chiave per la salvezza di quest’ultimo, secondo l’idea che “ogni tentativo di produrre speculazione non fondata sulla storia rimane del tutto estrinseco alla vita generale dello spirito e si perde per l’aria, inascoltato come voce solitaria e insignificante”.[9]

Ed è proprio nel pensiero di uno dei grandi del Risorgimento che le tesi mussoliniane affondano a piene mani per rinforzare la loro tesi speculativa di fondo. Stiamo parlando di Giuseppe Mazzini[10].

La decisa battaglia contro “l’egoismo borghese” e “l’Infinita vigliaccheria delle classi cosiddette superiori della società” si rispecchia nelle righe mazziniane tratte dal Dei doveri dell’uomo: “Tutte le scuole rivoluzionarie predicarono all’uomo, ch’egli è nato per la felicità, che ha diritto di ricercarla con tutti i suoi mezzi…[ma] I milioni che vivono alla giornata sul lavoro delle loro braccia, hanno forse acquistato una parte del ben essere sperato e promesso? No.” E ancora: “Non era erano i beni materiali e cose desiderabili innanzi a tutte? Perché diminuirsene il godimento a vantaggio altrui? S’aiuti dunque chi può”.[11] È evidente il filo ideologico che lega il rivoluzionario pisano a quello romagnolo, soprattutto è evidente la continuità che Mussolini volle dare al suo regime con la parte di Risorgimento che fino ad allora fu più nascosta. Non è un caso che la riscoperta di Mazzini, al di là di una sterile incensazione di comodo, avvenne all’indomani della proclamazione dell’Impero. Il parossismo del potere mussoliniano, del resto, permise la riscoperta di fenomeni come il repubblicanesimo – in un aspetto meramente culturale –  e la definitiva consacrazione dello Stato totalitario, aspetti che fino a quel momento trovavano nella monarchia un nemico indefesso. Proprio quest’ultimo aspetto del totalitarismo, gentilianamente inteso, è messo in relazione contraria con quello che Mussolini definisce “supercapitalismo”. Ovvero, la causa, della nascita di una società “cinica e superficiale” che imbrigliava l’uomo in una visone atomistica che lo rendeva un “individuo distruttore e sabotatore, quando non, […] del tutto asociale”[12].Un concetto, anche questo, riscontrabile in Mazzini che lo racchiude in un discorso più ampio, sfociante in un attacco alla società protestante e al suo concetto di predestinazione: “A quei che sostengono la sola coscienza dell’individuo essere la norma del vero e del falso, ossia del bene e del male, basta ricordare, che nessuna religione, per santa che fosse, è stata senza eretici, senza dissidenti convinti e presti ad affrontare il martirio in nome della loro coscienza. Oggi il protestantesimo si divide e suddivide in mille sette tutte fondate sui diritti della coscienza dell’individuo […] vera e sola sorgente della discordia che tormenta socialmente e politicamente i popoli dell’Europa”.[13]

L’individuazione del nemico nell’individualismo anglosassone – nonché nel collettivismo marxista[14] – spinge il Mussolini maturo ad approdare a quelle che sono concezioni di razzismo spengleriano[15] da cui scaturisce il concetto di “razze spirituali”[16]. Un insieme di saperi ancestrali, dunque, che a seconda dell’epoca e della capacità politiche delle “aristocrazie dello spirito”– èlite -riemergeranno per condurre verso i lidi sicuri dell’ “idealismo eroico”[17] le diverse nazioni. Un concetto di universalismo che si basa sull’uguaglianza delle diverse Patrie e che Mazzini teorizzava già diversi decenni prima della lotta italiana per l’equiparazione della sua dignità con quella della altre nazioni europee: “Non rinnegherete mai le Nazioni sorelle. La vita della Patria si svolgerà per voi bella e forte, libera di paure servili e di scettiche esitazioni, serbando per base il popolo, per norma le conseguenze dei suoi principii logicamente dedotte  ed energicamente applicate, per risultato il miglioramento di tutti, per fine il compimento della missione che Dio le dava”.[18] La commistione tra l’azione del regime fascista e il concetto spiritualistico di nazione di Mazzini è più che evidente, la lotta con le “nazioni plutocratiche” un passaggio scontato e che per causa di forza maggiore porterà il fascismo a teorizzare l’equiparazione del lavoro al capitale, affinché l’uomo si possa dire finalmente libero sia in terra che nello spirito. L’ennesima, è più sostanziale, somiglianza tra i due pensieri la ritroviamo, infatti, in quest’ultimo fattore. Mazzini afferma:

Il lavoro associato, il riparto dei frutti del lavoro, ossia del ricavato della vendita dei prodotti, tra i lavoranti in proporzione del lavoro compiuto e del valore di quel lavoro: è questo il futuro sociale. In questo sta il segreto della vostra emancipazione. Foste schiavi un tempo; poi servi; poi salariati; sarete fra non molto, purché  lo vogliate, liberi produttori e fratelli nell’associazione”. [19]

Non è forse questa la base della socializzazione delle imprese del ’44? Non è forse questo il nocciolo della corporazione proprietaria teorizzata da Spirito nel ’32 a Ferrara? Non rappresenta in toto la rivoluzionaria visione del fascismo “terza via tra capitalismo e comunismo”?[20]

Se è giusto, dunque, storicizzare definitivamente il fenomeno fascista e gli uomini che lo vivificarono, superando il concetto crociano di “calata degli hyksos”[21], non si può non porre l’attenzione sulla vicinanza che intercorre tra questo e il Risorgimento. Riconoscere tutto ciò è dovere dell’accademia, spinta istintiva per la nazione e diritto per i posteri; del resto Gentile ci ricorda: “Stranissimo che il Fascismo si trovi perfettamente d’accordo con Mazzini e con Gioberti nel concetto etico e religioso della vita e nel modo di intendere la relazione dell’individuo con lo Stato; e che tragga consapevolmente una delle ispirazioni più profonde e delle sue più potenti energie dalla coscienza di sé che il popolo italiano acquistò e fece valere appunto nell’età del Risorgimento”.[22]


[1] Titolo di un “fondo” del Popolo D’Italia suggerito da Mussolini stesso in cui si tratteggiavano le tappe del novo corso politico che il regime avrebbe intrapreso negli anni futuri. Terzo tempo, in “Il Popolo d’Italia”, 15 agosto 1929.

[2] Sulla differenziazione defeliciana tra “Fascismo movimento” e “Fascismo regime” si veda E. Gentile, Fascismo, storia e interpretazione, Laterza edizioni, 2002, Roma, p. 43.

[3] In merito si veda R. De Felice, Mussolini l’alleato – La guerra civile ’43-’45, Einaudi, Torino 1997, nonché G. Passera, La nobile impresa, Il Cerchio, Milano 2015 e volendo A. Scaraglino, La Verità di Nicola Bombacci. Semeta, Sezze 2019.

[4] R. De Felice, Mussolini il duce – Lo staro totalitario ’36-’40, Einaudi, Torino 1981, p. 297.

[5] In merito a questi concetti consultare N. D’Aroma, Mussolini segreto, Cappelli edizioni, 1958, pp. 115 sg. e 214 sg.

[6] J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, 2007, Roma (prima edizione 1934).

[7] F. Carlesi, Damnatio memoriae, Eclettica edizioni, 2019, Massa, p. 124.

[8] R. Sideri, Con Mussolini e oltre, Settimo sigillo edizioni, 2020, Roma, p. 16.

[9] Ivi, pp. 16-17.

[10] In merito mi permetto di rimandare a un saggio in uscita tra una settimana (7 novembre) : A. Scaraglino, La dottrina sociale del fascismo dalla Carta del lavoro alla Rsi, in Civiltà del Lavoro, Altaforte edizioni, 2020, Roma.

[11] G. Mazzini, Cosmopolitismo e nazione, a cura di Stefano Recchia e Nadia Urbinati, Elliot, 2011, Roma, pp. 114-115.

[12] R. De Felice, Mussolini il duce – Lo staro totalitario ’36-’40, Einaudi, Torino 1981, p. 297.

[13] G. Mazzini, op. cit., p. 119.

[14] “Il comunismo, fra gli altri, ci mostrerebbe, se potesse mai trapassare allo stato di fatto, come condanni a petrificarsi la società togliendole ogni moto e ogni facoltà di progresso”. Ivi, p. 120.

[15] Le parole di Spengler non lasciano dubbio alcuno sul fatto che la politica di Mussolini sia stata influenzata in merito: “Trasmessici dagli antenati, noi custodiamo nel sangue gli unici elementi che promettono solidità all’avvenire: idee senza parole”.  G. Accame, La morte dei fascisti, Mursia, 2010, Milano, p. 245.

[16] R. De Felice, op. cit., p. 297-298.

[17] Ibidem.

[18] G. Mazzini, op. cit., pp. 132-133.

[19] Ivi, p. 143.

[20] R. De Felice, op. cit., p. 299.

[21] A. Scianca, Mussolini e la filosofia, Altaforte edizioni, 2020, Roma, p. 4.

[22] R. Sideri, Fascisti prima di Mussolini, edizioni Settimo sigillo, 2018, Roma, p. 34.

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