“E’ UN SANTO, UN APOSTOLO EVVIVA IL DIRETTORE!” LA GENUFLESSIONE DI UNA CLASSE POLITICA

“E’ UN SANTO, UN APOSTOLO EVVIVA IL DIRETTORE!” LA GENUFLESSIONE DI UNA CLASSE POLITICA

Di Andrea Scaraglino

«Un  santo, un apostolo!» La famosa battuta di Paolo Villaggio e Gigi Reder in questi giorni è come un ritornello grottesco che affolla le menti degli italiani. Del resto, con la campagna pubblicitaria che i media hanno orchestrato per incensare la figura di Mario Draghi, è difficile ricordarsi dei suoi trascorsi. Dei moniti dell’ex presidente Cossiga, delle sue costosissime crociere e delle sue azioni “derivate” come  funzionario del Tesoro e presidente della Bce. Senza ritornare agli albori della sua carriera e alla svendita dell’industria pubblica nazionale – di per se un motivo più che valido per riporre il personaggio quantomeno nell’oblio – crediamo basti ricordare la vicinanza della Bce all’asse franco-tedesco nel “colpo di Stato dolce” del 2011. In quell’anno sciagurato, la Repubblica italiana perse definitivamente la sua sovranità tra due risolini  e una letterina firmata Draghi-Trichet. L’allora governatore di Francoforte si mosse per l’acquisto di Btp italiani solo nel 2012, dopo la svolta “tecnica” di Monti, che era stata favorita dall’aumento esponenziale degli interessi sui titoli di Stato in seguito alle massicce svendite della Deutsche Bank, unito al contemporaneo declassamento dei nostri titoli di Stato ordito dalle agenzie di rating, legate a triplo filo alla banche di investimenti che speculano sui debiti sovrani dove il nostro presidente incaricato ha lavorato per lunghissimo tempo. Iniziò allora l’epoca dell’austerità: innalzamento dell’età pensionabile, tassa sulla prima casa, svendita di nuove percentuali di aziende pubbliche.

All’epoca la politica si genuflesse all’economia sulla spinta della paura del default, oggi riviviamo la stessa identica situazione di sottomissione accompagnata da una paura diversa, quella sanitaria. Dunque, sembra che ogni scusa per la politica sia buona per abdicare ai propri doveri e rimettersi nelle mani di quei “santi” che dovrebbero salvarci dall’inettitudine della nostra classe dirigente. Com’è ovvio, solo una massiccia dose di ipocrisia può muovere gli addetti ai lavori in questa direzione; le manovre di Renzi – in prima battuta difficili da comprendere – per far cadere un governo che lui stesso aveva fatto nascere, ora hanno sicuramente molto più senso logico e di prospettiva. Bisogna anche ammettere che politicamente parlando, l’ex sindaco di Firenze ha avuto del coraggio, sicuramente più di Silvio Berlusconi – vittima di Draghi nel 2011 – e del duo padano Salvini–Giorgetti che si apprestano a salire sul carro del vincitore a giochi fatti e senza troppe difficoltà, sperando di poter recuperare il sicuro dispendio di approvazione elettorale nei prossimi anni di legislatura. Il vecchio asse giallo-fucsia si inchina prono e ubbidiente, da una parte i mutui dall’altra la famosa sudditanza al mondo della finanza. Il gioco parrebbe fatto, la maggioranza servita su un piatto d’argento, l’inquilino del Quirinale soddisfatto come il suo vecchio padre e gli italiani completamente annichiliti da paura e ignoranza. Il definitivo spolpamento dello Stato sociale è dietro l’angolo, con i duecento miliardi – di cui solo 44 a fondo perduto – si metteranno in sicurezza il sistema bancario e gli apparati collegati, la Nazione non vedrà un centesimo e si avvilupperà sempre di più nella spirale di impoverimento, economico e non, verso cui è stata indirizzata. Ah, con i tassi negativi di oggi e la distruzione del concetto artefatto del rapporto al 3 % tra deficit e pil, duecento miliardi l’Italia li piazza in tre aste di Btp, figuratevi se ci fosse un compratore di ultima istanza. Concetti banali e che chiunque potrebbe capire con facilità, eppure così difficili da far attecchire nell’opinione pubblica. Vero, cari professori  Borghi e Bagnai?  Vero, cari i nostri “honesti”? Vero, caro cavaliere?

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