di Mario Bozzi Sentieri
“La riscoperta del futuro”: sfida complessa, ma affascinante, quella lanciata da “Limes”, la rivista italiana di geopolitica, in occasione dell’ ottava edizione del suo Festival (Genova, 19 – 21 novembre). Quesito di fondo: Come potrebbe configurarsi il mondo fra trent’anni, nel 2051?
Trent’anni sono oggi il tempo di una generazione, almeno in Europa e nella parte più agiata e pacificata del pianeta. Segmento dunque indicativo di una fase storica e dei suoi mutamenti. Esercitarsi su varie scale spaziali a immaginare quale possa essere l’assetto futuro, ma non troppo, delle diverse collettività, a cominciare dalla nostra Italia, non è – per gli animatori di “Limes” – solo una sfida intellettuale ma anche progettazione e memoria, a partire da tradizioni, idee, punti di vista caratteristici delle nazioni e delle comunità coinvolte. Senza ovviamente perdere di vista – aggiungiamo noi – l’ analisi geografica e demografica di situazioni socio-politiche concrete, di cui spesso ci si dimentica.
Nel suo intervento di apertura al “Festival di Limes”, Luca Caracciolo, direttore della rivista, ha guardato al quadro internazionale, con particolare attenzione a Stati Uniti e Cina, l’area dell’ordine e quella del caos, della stabilizzazione e del conflitto. In questo quadro generale e complesso, l’Italia – parte conclusiva dell’analisi di Caracciolo – pare avere ritrovato un rapporto con il cuore dell’Europa (nella triangolazione Roma-Parigi-Berlino) confermando l’asse verso Washington. Ciò però non è sufficiente per rimarcare una visione/dimensione del nostro ruolo presente e futuro. Intanto perché ancora troppo forte è il divario culturale tra la realtà geopolitica in cui siamo calati e la percezione diffusa che ne abbiamo, distratti come siamo rispetto alla sfida del futuro e alla consapevolezza del nostro essere e quindi del nostro ruolo.
Il vero tema è come il nostro Paese, immerso quasi totalmente nel mare Mediterraneo, debba recuperare la propria “naturale” dimensione marittima, stabilizzando le proprie frontiere verso sud e verso est, con lo sguardo rivolto all’Africa del nord ed oltre questa linea, alla cosiddetta “fascia di tensione saheliana”, delimitata ad Oriente da Gibuti e ad Occidente da Conakry.
Un Mediterraneo che va visto – è l’invito del direttore di “Limes” – come Medio Oceano, in quanto connessione tra l’Oceano Indo Pacifico (spazio del contrasto cino-americano) e l’Oceano Atlantico, oceano canonico della proiezione americana verso l’Europa, con al centro il Canale di Sicilia, una realtà strategica della quale non sembriamo essere particolarmente interessati. Eppure è qui – facile previsione – che si gioca la partita decisiva del nostro presente e del futuro, a fronte di una “pressione disintegrativa” immediata alla nostra frontiera, determinata dal sempre più forte gap demografico tra l’Italia ed i Paesi africani, gap destinato a crescere e quindi a condizionare i rapporti sull’intera area.
Il richiamo finale è alla Storia, all’Italia di Ottaviano Augusto e al suo impianto regionale, vista come progetto e – ci si passi il termine – come rivendicazione d’identità, laddove – è la chiosa di Caracciolo – “noi non siamo un’invenzione, non siamo all’ora zero, non veniamo dal nulla. Se c’è la persistenza della memoria, forse ci sarà anche la persistenza dell’Italia”.
Consapevolezza della sfida geopolitica, centralità del Mediterraneo, stabilizzazione delle frontiere, tensione demografica, rivendicazione di una Storia: su questi crinali si gioca la partita del futuro dell’Italia. A segnare la linea sono le competizioni geopolitiche correnti e prossime: un invito ad uscire fuori dal genericismo della politica-politicante, delle polemiche fini a se stesse, del facile moralismo, mascherato da solidarietà. Recuperare insomma le visioni lunghe, per rilanciare – com’è negli auspici di “Limes” – non solo una sfida intellettuale ma anche la “progettazione del futuro”.
L’Italia ne ha un assoluto bisogno. Per ritrovare se stessa ed il ruolo che le compete. Pena un inarrestabile tramonto.
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